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    Stefano Musso - redazione@alessandrianews.it  
    22 Giugno 2011
    ore
    00:00 Logo Newsguard

    Un coro di voci per fermare l’amianto

    Intervista al portavoce dell’Associazione Vittime dell’Amianto di Casale Monferrato, nei giorni del maxiprocesso Eternit. "Dagli atti emerge il modo di operare doloso della multinazionale. Dalla sentenza ci attediamo giustizia"

    Intervista al portavoce dell?Associazione Vittime dell?Amianto di Casale Monferrato, nei giorni del maxiprocesso Eternit. "Dagli atti emerge il modo di operare doloso della multinazionale. Dalla sentenza ci attediamo giustizia"

    L’aria che porta la micidiale fibra è la stessa con cui sventolano, a Casale, le migliaia di bandiere con la scritta “Eternit: Giustizia”. Non è bastato il sarcofago di cemento che ha sepolto i resti della fabbrica di via Oggero, per chiudere la storia dell’Eternit in questa città. Dal 1907 al 1986 lo stabilimento ha prodotto milioni di tonnellate di ondulino e di altri fabbricati, con l’illusione di avere finalmente un prodotto ignifugo, resistente e durevole. Ma intanto il polverino spandeva sulla città numeri di morte: 1700 decessi ad oggi, nella sola Casale.

    Su un angolo della grande piazza Castello c’è la sede dell’Associazione Vittime dell’Amianto. La nota bandiera in vetrina, centinaia di fascicoli bianchi e gialli all’ingresso: “sono relativi alle vittime di questa storia, non solo lavoratori della fabbrica (i plichi bianchi), ma anche e soprattutto i cittadini comuni (in giallo), 40 – 50 nuovi casi ogni anno” – ci spiega Bruno Pesce (nella foto), coordinatore della Vertenza Amianto.  

    Ma come è nata l’Associazione e di cosa si occupa?

    L’associazione, presieduta da Romana B. Pavesi, è nata nel 1988 ma è la naturale prosecuzione dell’attività sindacale degli anni ’70 e ’80. Suo scopo è informare ed assistere i malati e i loro familiari, dal punto di vista previdenziale. Perseguiamo inoltre la lotta all’amianto, sotto tre profili: la giustizia, la bonifica e la ricerca. 

    Come mai Casale è diventata, suo malgrado, un riferimento così importante per la lotta all’amianto? Anche altre realtà, in Italia e nel mondo, hanno avuto degli impianti di produzione.

    Per capirlo bisogna ripercorrere alcune tappe importanti: negli anni ’70 e ’80 i sindacati hanno iniziato un lavoro capillare di denuncia di cause individuali; poi nel 1981 una celebre sentenza stabilì la presenza del rischio amianto in tutti i reparti. Nel 1986, dopo aver rinunciato a produrre con fibre alternative e cercando di non attirare ulteriori attenzioni sulla vicenda, la fabbrica venne chiusa per fallimento. Ma i tentativi di riaprire una qualche produzione all’Eternit proseguirono con una proposta dal ramo francese dell’azienda, che fu fermata dalla storica decisione del sindaco Riccardo Coppo di bandire l’Eternit dal territorio comunale: anno 1987. La fine della produzione non sortì, come altrove, la fine della nostra battaglia, anzi la vertenza amianto, uscita dalla fabbrica, si allargò alla città e al territorio, con una cooperazione stretta tra Associazione, ASL, Comune basata sulla partecipazione dei cittadini. Veniamo così al risultato di questo sforzo: portare i singoli processi svolti a Casale ad un livello superiore. Ad una causa nazionale.

    Avete incontrato delle resistenze?

    Non c’è alcun dubbio. Prima che la consapevolezza del fenomeno fosse diffusa, trovammo molto scetticismo. Non solo noi, ma anche i medici e gli specialisti che sollevavano la questione e venivano accusati di allarmismo. Ma soprattutto, dalla fabbrica venne il tentativo prima di negare il rischio di tumore, e poi, quando i dati divennero evidenti, di minimizzare, sostenendo che ormai i lavoratori erano dotati di apparati di sicurezza adeguati.

    Una teoria che viene ripetuta oggi in altri Paesi del mondo.

    Non un teoria, ma una strategia, che la multinazionale prosegue oggi in India, in Cina, in Brasile, dove ci siamo già recati tre volte. 

    Non solo in Italia, infatti, gli occhi sono puntati sul Maxiprocesso in corso a Torino, guidato dal P.M. Raffaele Guariniello, che vede imputati il barone belga Louis de Cartier de La Marchienne e il magnate svizzero Stephan Schmidheiny. Le ultime udienza si sono svolte il 14 e il 20 giugno scorsi: quali sono le novità?

    La novità è la ricostruzione che la procura sta facendo, in cui emerge chiaramente come il dolo non fosse occasionale ma pianificato. Mediante una lunga e costante serie di interventi a livello locale e internazionale,volti a nascondere i dati sulla mortalità, a distorcere le informazioni e a comprare (o “cooptare” come dicevano loro) scienziati, giornalisti, sindacalisti. A Casale, l’Associazione è stata fatta spiare da C. Bruno, com’è ormai noto alla stampa.

    Cosa vi proponete in futuro? A cosa aspirate?

    Confidiamo in una sentenza, basata su atti processuali, che dimostri in modo chiaro una realtà a noi ben nota, che la procura sta ricostruendo in modo inequivocabile. Una sentenza esemplare contribuirà non certo a ripagare il prezzo altissimo in vite umane, ma almeno ad ottenere giustizia. In Europa e nel mondo, una sentenza definitiva darebbe l’esempio per fermare questa tragedia silenziosa. Ricordiamo che è uno dei primi processi a livello internazionale, a sezionare i metodi a volte spietati di una multinazionale.

    Giustizia, dunque.

    Non solo, anche bonifica: servono ancora finanziamenti per rimuovere l’eternit presente ovunque; e sanità: per rafforzare lo sforzo nella diagnosi, nella cura e nella ricerca sulla malattie provocate dall’amianto.

    Non sarà un caso che proprio nei versi di un medico casalese, Pier Luigi Porta, troviamo la più ferma condanna di questi: “Olocausti ignari/ sacrificati/ a venditori/ di morte/ al massimo profitto”. Una lezione amara da una città che prevede di costruire un parco della memoria, sul sito della vecchia fabbrica, per guardare di nuovo con fiducia al futuro. 
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