La gestione dell’acqua dopo il referendum
Sono le vene e le arterie di ogni territorio, ma come funzionano gli acquedotti e chi li gestisce? Siamo andati a scoprirlo negli uffici di due consorzi del Casalese.
Sono le vene e le arterie di ogni territorio, ma come funzionano gli acquedotti e chi li gestisce? Siamo andati a scoprirlo negli uffici di due consorzi del Casalese.
Nel territorio del Monferrato operano due acquedotti, con storie e filosofie in parte diverse. Il primo è l’Acquedotto del Monferrato, nato per Decreto Regio nel lontano 1930, che porta l’acqua a 101 Comuni divisi su tre province: 1300 Km di fognature, 2000 Km di acquedotto e 680 depuratori, fanno del Consorzio uno dei più estesi in Italia, su un territorio tanto vasto quanto poco abitato, fatto di paesi e cascine. Diversa è la situazione dell’altro acquedotto, quello di Casale, che si concentra sull’omonima città e su 15 comuni limitrofi: tanta gente e poco spazio dunque. In questo caso, la data chiave è il 1986, quando in seguito ad un drammatico inquinamento delle falde acquifere, il Comune di Casale ottenne dei finanziamenti statali per i nuovi pozzi di Frassineto e di Terranova, a patto che l’acquedotto municipale diventasse un consorzio, che dal 1989 è gestito dall’A.M.C., una società per azioni, anche se partecipata unicamente da Comuni. Due acquedotti pubblici, dunque, ma con forme diverse di gestione: una società l’uno e un ente pubblico l’altro.
“Se ci è segnalato un disservizio in una cascina, di domenica, noi interveniamo comunque” – afferma Aldo Quilico, direttore dell’acquedotto monferrino – “perché è il nostro modo di intendere il servizio pubblico.” Ma il problema del bilancio interessa tutti: come lo affrontate? “Abbiamo ottenuto la gestione del servizio nel 2003 (prima il gestore era privato, e la rete pubblica) con un pesante deficit economico. Siamo intervenuti con un miglioramento degli allacci e della centrale di sollevamento da un lato, e con una struttura snella dell’ente dall’altro: a fronte di una rete molto vasta, abbiamo solo 14 persone impiegate. Completando in futuro il telecontrollo, inoltre, riusciremo a garantire una gestione ancora migliore ed efficiente.”
Negli uffici dell’A.M.C. ci accoglie invece l’ingegner Garaventa, direttore dell’acquedotto di Casale, anche lui soddisfatto per un bilancio che, tra costi e ricavi, definisce “equilibrato”; “anche in confronto con altre società piemontesi” – aggiunge – la nostra infrastruttura può ritenersi buona. Di recente abbiamo potenziato le strutture di depurazione, di accumulo e di analisi”. E sul modello di gestione, dice: “Non abbiamo il mito del privato, ma nemmeno quello del pubblico.”
Per entrambi gli amministratori, comunque, il giudizio sul referendum è univoco: “è una conferma della nostra gestione”. Occorreva fermare le speculazioni, ma occorre anche non promettere tagli tariffari, perché gli investimenti servono e le spese ci sono, per l’acqua, le fognature e la depurazione. Il Referendum, soprattutto, ha evitato l’obbligo di cedere ai privati una quota della propria attività, lasciando libertà di scelta. Il problema di reperire i finanziamenti, infatti, resta aperto, ma sarebbe stato drastico cedere un servizio che, in molti casi, è frutto di buona amministrazione e del lavoro collettivo. Ciò che infatti resta, da un breve viaggio negli acquedotti monferrini, è la componente “personale” di chi in questi ambiti ha speso il proprio tempo e il proprio impegno: dagli operai che posarono a mano le prima tubature, ad amministratori come Paolo Ferraris che molto fece nel 1986 per risolvere il dramma dell’acqua inquinata.
Fu proprio allora che i due acquedotti di cui parliamo agirono in sinergia: in tempi ristrettissimi fu creato un allaccio da Casale all’acquedotto del Monferrato per portare acqua sicura ai cittadini che da giorni vivevano con le cisterne. Così come oggi si sta completando l’allaccio tra il consorzio monferrino e l’acquedotto di Asti, le cui fonti si sono in parte ridotte. Una cooperazione resa possibile dalla grande disponibilità idrica della falda di Saluggia, vera “Arabia Felix dell’acqua” – dice Quilico. Su cui pesa, però, la vicinanza col deposito di scorie del nucleare italiano. Ma questa, signori, è un’altra storia…