Un PO di attenzione
Nel tratto di fiume che va da Casale a Valenza sono stati fatti molti interventi di ripristino e di messa in sicurezza in seguito agli eventi alluvionali del94 e del 2000, poco noti al pubblico
Nel tratto di fiume che va da Casale a Valenza sono stati fatti molti interventi di ripristino e di messa in sicurezza in seguito agli eventi alluvionali del94 e del 2000, poco noti al pubblico
Mancano spesso le parole. Il lessico tecnico degli addetti ai lavori: “vasche di laminazione” sono le aree di sfogo dove il fiume si allarga in caso di piena; “fasce fluviali” sono invece le diverse zone di pericolosità in base alla morfologia del suolo.
Solo così si possono leggere le carte. Quelle trasversali delle sezioni del fiume, su cui si vedono le profondità delle sponde e i rilievi degli argini, e quelle panoramiche dall’alto che fotografano la distribuzione dei campi e dell’abitato per indicare divieti e rischi di alluvione.
Le “carte tecniche regionali” sono state aggiornate negli anni, perché dal 2000 ad oggi molto è stato fatto per evitare nuovi disastri: “Abbiamo abbattuto caseggiati che stavano all’interno dell’area di piena; il ponte sul Po è stato allungato di una campata e sono stati eretti argini capaci di sopportare analoghi eventi. Soprattutto, il sistema arginale è ora continuo: dal casalese fino alla zona di Valenza”. A parlare è uno dei tecnici dell’AIPO, l’autorità…, che si occupa di studiare e intervenire nell’area fluviale.
Ma cosa bisogna fare per rendere i fiumi non più pericolosi nei momenti di forti piogge e prolungate?
La maggiore sicurezza si può conseguire non aumentando ancora gli argini (il che sposta semplicemente a valle il problema), ma riducendo i livelli di piena.
Cosa vuol dire?
Anziché alzare gli argini, bisogna lasciare delle aree golenali dove il fiume, com’è naturale nel suo ciclo annuale, si possa sfogare, senza danni per le attività umane, ad esempio arretrando gli argini in alcuni punti. Nel Casalese, alcuni interventi, come quello nella zona di Cascina Consolata presso il ponte della ferrovia, sono già in fase avanzata, mentre altri sono ancora da fare.
Bisogna che il fiume rioccupi delle aree naturali da cui era stato escluso per degli interventi antropici.
La tipica osservazione comune, ripetuta spesso dalla gente, secondo cui bisogna togliere la ghiaia dal fiume per evitare le alluvioni, ha un fondamento?
No! Perché si confonde l’alveo del fiume, cioè la zona tra le sue sponde in cui scorre nei momenti normali, con l’area tra i due argini, dove è previsto che si allarghi in fase di piena. Per capirci: l’alveo è in media larga 300 metri, la zona tra i due argini può arrivare ai 3 chilometri. È insufficiente asportare alcuni centimetri di fondo dall’alveo, quando il volume di acqua in arrivo è di ordini di grandezza superiori. Anzi, il Piano di Assetto Idrogeologico prevede attività di estrazione della ghiaia, ma appunto per ripristinare le aree golenali, e non in mezzo all’alveo.
Ci sono stati degli ostacoli che hanno compromesso i lavori?
In questi anni molti è stato fatto. Oggi i lavori vanno un po’ più lenti, perché dalla fase di emergenza siamo tornati ad un’amministrazione normale, con procedure più lunghe. Ma è il dovuto rispetto della normativa che lo prevede, e questo ha i suoi meriti.
La scostante attenzione delle persone, ha quindi da imparare dal lavoro metodico degli specialisti: il fiume richiede, vogliamo dire, più “attenzione”, non ristretta agli eventi di piena. E richiede anche più rispetto, nel continuo e mai finito gioco di equilibrio che si instaura tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. Forse i nostri nonni che ancora andavano a Po, senza formule e calcoli, già lo sapevano!