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Viaggio nell’immigrazione: dalla Nigeria all’Albania, la stessa voce
Storie incrociate di immigrazione, tra la ricerca di un lavoro e di occasioni di partecipazione
Storie incrociate di immigrazione, tra la ricerca di un lavoro e di occasioni di partecipazione
Interno della Casa di Riposo di Casale. “Siamo qui da tre mesi, veniamo dalla Libia dove abbiamo vissuto per molti anni. Siamo arrivate per nave a Lampedusa, mentre altre barche accanto a noi sono affondate. Ci hanno divisi in tutta Italia, venivamo da una guerra orribile”.
Ecco le storie dei telegiornali, precipitate qui nelle facce di otto persone: Evigleris, Christi, Blasy, Julia, Betti, Ketz, Gloria, Pattie. “Non ci conoscevamo prima, anche se veniamo tutte dalla Nigeria. Non pensavamo di venire qui; ma vorremmo un futuro in Italia, perché la Libia è cambiata dopo la guerra e quello che avevamo è andato distrutto. Per il lavoro, siamo disposti ad adattarci: faremmo volentieri le pulizie!” La struttura che li accoglie offre loro un tetto, un pasto, un corso di lingua italiana. Ora che le rivoluzione in Libia è finita, le domande per il diritto di asilo saranno esaminate da una commissione, che valuterà anche la bontà delle loro parole. Ma quanti conoscono queste storie?
In effetti, tra le vie della città, le persone si incrociano come fantasmi: comunità invisibili che non parlano, persone dal volto diverso che non comunicano. Senza sapere che invece il loro destino è comune.
Caffè di via Mameli, al tavolino di un bar. “Sono qui da gennaio 2010, ho raggiunto mia moglie che era venuta quattro anni fa. Avevo studiato a Pisa nel 2001, per questo parlo italiano”. Klodian viene dall’Albania, lavora part-time per l’associazione E-forum, dove si offre sostegno e formazione ai migranti. “Mi trovo molto bene qui, e ho scelto di vivere non da straniero. Frequento italiani, marocchini, albanesi a prescindere dalla loro nazionalità, perché più sento mia una città, più lei mi sente suo”.
Non sempre però l’immigrazione è una scelta, e a Casale il problema dell’integrazione esiste: “Molti pensano che se non ci sono casi di violenza il problema non sussista, ma l’integrazione non è assenza di violenza, bensì partecipazione, conoscenza, scambio”.
E a Casale cosa manca? “Un po’ di tutto: ci sono realtà positive come il C.T.P., l’E-Forum, Serydarth e i Patronati, ma non si riesce a mettere in rete queste realtà, che danno risposte individuali, ma da sole non riescono a fare comunità”.
Per quanto esistano molte differenze tra i diversi gruppi di immigrati, un elemento resta costante: “La clandestinità spesso è provocata dagli ostacoli burocratici. Il crimine, però, si crea nelle situazioni di difficoltà e allora bisogna aiutare le persone a essere in situazioni di legalità. Non il contrario”.
La comunità albanese ha per lo più superato la prima fase di ambientazione (casa, lavoro, legami), ma occorre fare il passo successivo: “manca loro una rappresentanza e un’occasione costante di confronto. La vera integrazione è reciproca: se così fosse, è la città che vive bene “. C’è chi pensa che perderemmo la nostra identità: “Si dimentica che ogni cultura è frutto di scambio; non avere paura dell’altro è ciò che arricchisce”.
Ecco le storie dei telegiornali, precipitate qui nelle facce di otto persone: Evigleris, Christi, Blasy, Julia, Betti, Ketz, Gloria, Pattie. “Non ci conoscevamo prima, anche se veniamo tutte dalla Nigeria. Non pensavamo di venire qui; ma vorremmo un futuro in Italia, perché la Libia è cambiata dopo la guerra e quello che avevamo è andato distrutto. Per il lavoro, siamo disposti ad adattarci: faremmo volentieri le pulizie!” La struttura che li accoglie offre loro un tetto, un pasto, un corso di lingua italiana. Ora che le rivoluzione in Libia è finita, le domande per il diritto di asilo saranno esaminate da una commissione, che valuterà anche la bontà delle loro parole. Ma quanti conoscono queste storie?
In effetti, tra le vie della città, le persone si incrociano come fantasmi: comunità invisibili che non parlano, persone dal volto diverso che non comunicano. Senza sapere che invece il loro destino è comune.
Caffè di via Mameli, al tavolino di un bar. “Sono qui da gennaio 2010, ho raggiunto mia moglie che era venuta quattro anni fa. Avevo studiato a Pisa nel 2001, per questo parlo italiano”. Klodian viene dall’Albania, lavora part-time per l’associazione E-forum, dove si offre sostegno e formazione ai migranti. “Mi trovo molto bene qui, e ho scelto di vivere non da straniero. Frequento italiani, marocchini, albanesi a prescindere dalla loro nazionalità, perché più sento mia una città, più lei mi sente suo”.
Non sempre però l’immigrazione è una scelta, e a Casale il problema dell’integrazione esiste: “Molti pensano che se non ci sono casi di violenza il problema non sussista, ma l’integrazione non è assenza di violenza, bensì partecipazione, conoscenza, scambio”.
E a Casale cosa manca? “Un po’ di tutto: ci sono realtà positive come il C.T.P., l’E-Forum, Serydarth e i Patronati, ma non si riesce a mettere in rete queste realtà, che danno risposte individuali, ma da sole non riescono a fare comunità”.
Per quanto esistano molte differenze tra i diversi gruppi di immigrati, un elemento resta costante: “La clandestinità spesso è provocata dagli ostacoli burocratici. Il crimine, però, si crea nelle situazioni di difficoltà e allora bisogna aiutare le persone a essere in situazioni di legalità. Non il contrario”.
La comunità albanese ha per lo più superato la prima fase di ambientazione (casa, lavoro, legami), ma occorre fare il passo successivo: “manca loro una rappresentanza e un’occasione costante di confronto. La vera integrazione è reciproca: se così fosse, è la città che vive bene “. C’è chi pensa che perderemmo la nostra identità: “Si dimentica che ogni cultura è frutto di scambio; non avere paura dell’altro è ciò che arricchisce”.