Equilibri rari: cinque artisti per cinque personali
Dal 21 aprile al 1° maggio al Castello del Monferrato di Casale Michelle Hold, Giovanni Bonardi, Ilenio Celoria, Franco Gervasio e Peter Nussbaum. Vernice venerdì 20 aprile
Dal 21 aprile al 1° maggio al Castello del Monferrato di Casale Michelle Hold, Giovanni Bonardi, Ilenio Celoria, Franco Gervasio e Peter Nussbaum. Vernice venerdì 20 aprile
Dopo la vernice di venerdì 20 aprile alle 18 la mostra resterà aperta nei seguenti orari: festivi e prefestivi dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19.
Cinque artisti per cinque personali. Il motivo unificante è dato dall’identico atteggiamento nei confronti dell’Arte: la percezione che essa è un mezzo per universalizzare il proprio sentimento poetico. Si comprende subito, appena si osservano i lavori esposti, l’energia con cui questi artisti attendono al compito, a quella che, in altri tempi, qualcuno avrebbe definito missione. Michelle Hold, Giovanni Bonardi, Ilenio Celoria, Franco Gervasio e Peter Nussbaum si esprimono attraverso un’identica grammatica che però si compone in strutture sintattiche completamente diverse.
Se proprio si volesse indicare ulteriori caratteri comuni, si potrebbero trovare degli elementi che uniscono tutt’al più coppie di artisti, attraverso l’uso della materia, o del colore, o della geometria. Forse è il tempo filosofico, inteso come tentativo di giungere alla rappresentazione di una realtà continua, omogenea, immutabile e trascendente gli eventi, che sembra affascinare più di altro gli artisti in questione. Ma si tratta solo di una sensazione: ciascuno procede su piani di ricerca differenti, indagando gli effetti delle cromie e della luce, a volte intersecando il lavoro di un altro. Il tempo è solo uno di questi punti di contatto, casuali e momentanei.
Nei lavori di Michelle Holdnon esiste nell’immediatezza della loro fruizione un piano di comprensibilità della realtà che ci circonda. Tutto appare astrattamente accennato, costretto all’interno di una sorta di liquefazione onirica. Però, seguendo i ricami cromatici delle sue pitture ci si accorge che esse non mancano di riferimenti spazio/temporali. Ma questi, appena percepiti nello loro forma complessiva, sembrano dissolversi dentro un fluido fatto di colori e di sovrapposizioni di essi. Hold propone una pittura molto istintiva ma estremamente poetica e efficace. È come se si cimentasse con un’improvvisazione musicale, seguendo le note che via via si compongono in un brano che alla fine appare completo in tutte le sue parti. Fondamentale risulta dunque l’uso dei colori che si aprono sulla superficie delle sue tele come dei fiori, mischiandosi all’interno di una caleidoscopica giustapposizione pulsante. In fondo, e questo risulta essere l’elemento centrale dell’arte di Hold, la pittrice costruisce le sue immagini cercando di raffigurare quei flussi energetici che, invisibili, si muovono in natura e che, per mezzo di queste costruzioni, riusciamo a percepire come predominanza esplosiva proprio di certi colori.
Incontrare l’opera di Franco Gervasio significa immergersi in una ricerca estetica che ha al centro la luce. L’artista è un attento osservatore del paesaggio, e quasi seguendo un percorso a ritroso che dal panorama giunge al particolare, egli lo rappresenta con sintetica efficacia. Il suo segno è spesso espressione del mischiarsi di colori che si avvicinano giustapponendosi, pur mantenendo intatte le loro peculiarità. I colori determinano quindi delle forme dinamiche che vengono somatizzate all’interno di un rapporto totale con la natura dei luoghi. Non si deve pensare che Gervasio sia attirato soltanto dagli spazi aperti, quelli immersi nella luce solare, che egli riproduce affrontando una precisa analisi spirituale. Parte del suo lavoro è invece notturno, alla ricerca di quella frattura nel elemento urbano provocata dalla luce artificiale, quella creata industrialmente. Il risultato è esplicitato da numerose fotografie che indagano un mondo pieno di fascino, spesso privo di presenze umana. Giorno e notte, dunque, pittura e fotografia. Ma tra gli universi filosofici di Gervasio vi sono numerosi legami. Non si tratta di monadi leibniziane non interagenti tra loro: spesso parte dell’esperienza di una ricerca defluisce nell’altra, creando zone di ibridazione che risultano estremamente stimolanti, ma sempre aventi come epicentro la luce e la sua azione sul colore.
Peter Nussbaum ha il pieno controllo della sua arte, nel senso che i suoi lavori si esprimono attraverso una precisa razionalizzazione geometrica che agisce sullo spazio determinandone nettamente i confini. Nel modo in cui affronta la pittura e la scultura si riconosce qualcosa delle teorizzazioni rinascimentali, in particolare quella volontà albertiana di dare una inequivocabile connotazione matematica a ciò che ci circonda, in modo da poter possedere appieno la realtà. Ma non è solo questo che intriga del lavoro di Nussbaum. Lasciando da parte la tecnica da lui utilizzata, comunque fondamentale per ottenere ciò che esprime, il pittore austriaco riesce a fornire la concretizzazione di uno dei più misteriosi elementi metafisici, individuando, attraverso una serie di movimenti calibrati delle sue strutture geometriche, il trascorrere del tempo, il Kronos, cioè il susseguirsi infinito di istanti. La sua più recente produzione artistica risulta così rappresentare simbolicamente il movimento cosmico che può ripetersi ad infinitum, in qualsiasi parte dell’universo. Tutto si manifesta avvolto in uno stimolante monocromo che pur apparentemente annullando quasi tutti i colori, ne afferma invece la totale presenza con sapienti e calibrate citazioni iridescenti.
La fotografia di Ilenio Celoria è l’attuale punto di arrivo di una ricerca cominciata vari anni fa. Anche lui è interessato alla rappresentazione del movimento, ma se per la pittura esso può essere evocato con espedienti simbolici, con la fotografia, grazie alle sue tecniche, esso appare come elemento fruibile senza ulteriori apporti connotativi. Infatti, la documentabilità del dinamismo nel lavoro seriale di Celoria avviene per mezzo di alcune rielaborazioni tecniche attuabili attraverso la meccanica. Nell’opera di Celoria ci si trova di fronte a due tipi di rapporto con la realtà. In alcuni casi si tratta di inquietanti fermo immagine che disegnano senza alcun dubbio la stessa momentanea immobilità del mondo, presentata in modo assoluto, e per questo in grado di essere recepita come attimo di pausa tra due azioni. In altri, si fa riferimento a una più evidente forma dinamica. In questo caso, la rappresentazione nasce dalla compenetrazione di sequenze di movimento e di stasi. Il dinamismo delle immagini si stravolge in un non immediatamente riconoscibile confondersi di linee e di luci. Ciò che appare come metafora diventa concettualmente comprensibile quando viene messo in relazione all’immobilità della porzione di spazio urbano che fa da fondale all’azione che Celoria documenta.
L’opera di Giovanni Bonardi è incentrata sulla rappresentazione che un artista contemporaneo può avere del passato. È chiaro che questo aspetto non deve essere recepito in modo errato. Il passato diventa la citazione di un frammento che affiora tra antiche rovine e viene a fare parte del mondo in cui attualmente viviamo. La sua produzione artistica, in particolare quella plastica, si copre di un’affascinante patina di mistero. Percepiamo la potenzialità di qualcosa che avrebbe potuto essere, di un frammento di grandezza che, perduto tra le pieghe dei secoli, ritorna alla luce per comunicarci che prima di noi c’è stato altro, ci sono stati altri uomini e donne che hanno vissuto. Per questo, il lavoro di Bonardi colpisce per il suo carattere di unicità. La sua arte, pittura o scultura che sia, è solo apparentemente realistica, forse perché si rifà in modo palese a immagini conosciute, ma essa è da collocare su un più vagamente idealizzante piano metafisico. Queste opere nascono dal ripensamento in chiave moderna delle teorie platoniche, a vantaggio di una più umana visione ellenistica, in cui le figure si allungano e si assottigliano, si svuotano delle loro certezza per alleggerirsi e guadagnare quella diafanità che identifica la relatività dell’universo in cui si trovano.