Quando sei al fondo, chiudi i pugni e attacchi
Dopo i recenti episodi di straordinaria violenza accaduti ad Alessandria e i conseguenti commenti, proviamo ad inserirci nel dibattito locale sperando che ciò non sia letto come una paternale buonista ma come una contributo aperto per leggere il nostro territorio
Dopo i recenti episodi di straordinaria violenza accaduti ad Alessandria e i conseguenti commenti, proviamo ad inserirci nel dibattito locale sperando che ciò non sia letto come una paternale buonista ma come una contributo aperto per leggere il nostro territorio
Questi tre eventi di cronaca hanno stimolato, come è naturale, immediati commenti di cittadini e politici locali. I primi, i cittadini, almeno quelli che ho potuto ascoltare io, hanno provato ad analizzare i fenomeni con commenti meno “da bar” e superficiali di quanto si possa pensare. Spesso la responsabilità è stata attribuita alle generiche difficoltà economiche e occupazionali che sta vivendo la nostra zona. Sebbene gli avvenimenti vedessero protagonisti dei cittadini extracomunitari, alcuni facevano notare come certe situazioni andassero oltre queste differenze di cittadinanza e potessero facilmente vedere protagonisti anche “i nostri”, sempre più in difficoltà ed esasperati. Di questo avviso, naturalmente, anche i sindacati e gli operatori dei servizi, sfortunati protagonisti di alcune delle vicende (* doveroso citare anche la vicinanza a queste posizioni delle organizzazioni della sinistra extra-PD).
Mi vorrei concentrare, però, sui secondi, sulle opinioni pubbliche degli esponenti politici locali. Mi sembra di poter dire che essi si siano divisi in due gruppi. C’è chi (minoranza di governo in città), con atteggiamento certamente esagerato ma anche un po’ retrò, ha cercato di utilizzare gli episodi per cavalcare il generico tema dell paura, tentando di dimostrare le debolezze della maggioranza nella gestione delle cose in città. Gli altri, la maggioranza, rispondono “scaricando il barile” sulla Prefettura e chiedendo un tavolo sulla sicurezza. Come se quello della sicurezza fosse il problema originario e non il prodotto di politiche economiche e sociali, anche locali, inesistenti prima che sbagliate.
Le due posizioni che intuisco mi sembrano sbagliate, esagerate o mal indirizzate. Cerco di spiegare velocemente perché.
La sicurezza, qui da noi
Ricordo una risposta che un caro amico centramericano (del Costa Rica, Paese senza esercito e primo nelle classifiche internazionali sulla qualità della vita percepita, tra l’altro) mi diede alla domanda “cosa ti piace di più dell’Italia?”. La risposta mi rimase impressa: mi disse che la cosa più bella dell’Italia (e dell’Europa), secondo lui, è la possibilità di godersela tutta, a piedi, senza paura. Non esistono, come invece nel suo Paese e, ben peggio, in zone degli Stati Uniti e del Sud America, quartieri o intere aree in cui le persone non possono entrare perché il pericolo di essere rapinati, feriti o uccisi è reale e altissimo. Baby gang o criminalità organizzata che controlla direttamente ampi territori, fuori dalla legislazione e dalla pratica democratica. Questo mi fece sentire immediatamente molto fortunato e molto fragile, contemporaneamente.
Fortunato perché, oltre a vivere in Europa, abito nel nord Italia, zona tra le più tranquille del continente, e in una cittadina “a misura d’uomo” come Alessandria, tra le più quiete del nord, a parere mio e delle classifiche sulla piccola criminalità in Italia. Fragile perché, come con tutte le cose belle, sei preoccupato di poterla perdere.
Qui non abbiamo problemi di sicurezza, quindi. Non esageriamo. Questa è la mia prima conclusione.
Il tessuto socio-economico, qui da noi
Da qui nascono i problemi, a parer mio. Gli strumenti a sostegno dell’economia locale che un’amministrazione comunale può mettere in campo sono pochi, specie di questi tempi. Avremmo avuto bisogno di un progetto almeno provinciale d’investimenti congiunti (quando le risorse c’erano). Avremmo potuto mettere “in fienile” qualche infrastruttura moderna (informatica, amministrativa, culturale, prima che stradale e ferroviaria) utile a gestire meglio questi momenti di crisi. Abbiamo perso tempo, da noi come in tutto il Paese. Ora siamo dove siamo e di progetti ampi di riqualificazione delle nostre zone non se ne vedono all’orizzonte. La conseguenza di questa situazione è un territorio in difficoltà nel mantenere i livelli occupazionali sia del pubblico che del privato.
Perdi il lavoro, perdi la casa, perdi dignità e poi perdi la speranza. Quando sei al fondo, raccogli le ultime energie, chiudi i pugni e te la prendi con tutto e con tutti, anche con te stesso (bisognerebbe monitorare gli episodi di suicidio). Spaesato, disperato, poco lucido come può arrivare ad essere solo chi non ha più niente e nessuno a cui aggrapparsi. Basta un impiegato dell’URP che non ti asseconda o un servizio del Cissaca che pensavi ti fosse dovuto… basta veramente poco…
Non bisognerebbe giudicare questi eventi prima di essersi immaginati in quella situazione.
Non dobbiamo concentrarci sui tavoli per la sicurezza, quindi, ma su tavoli permanenti per il lavoro e per le politiche sociali. Questa è la mia seconda conclusione.
Non tutto è politica locale e, anzi, alcuni problemi strutturali hanno bisogno di un contesto nazionale ed europeo differente per essere risolti ma è anche corretto dire che alcuni segnali fondamentali possono essere dati anche nella dimensione cittadina o provinciale.
Concludo riferendomi ad un altro aspetto più volte intuito dai racconti di alcuni amici europei ed extraeuropei: quando la situazione diventa insostenibile per un territorio (ampio o ristretto che sia), la classe politica e dirigente, pressata duramente dai cittadini, riesce a fare un passo indietro reale ed anteporre, almeno per po’ l’interesse collettivo a qualsiasi gioco strategico delle parti. In questa città, io non vedo le istituzioni dialogare in modo continuativo e costruttivo tra loro e con i cittadini.