Non festeggio
Non cè nulla da festeggiare: tanto i noini, quanto i siini (i neologismi sono stati efficacemente proposti da persona attenta e stimata) non avrebbero né da festeggiare (i primi), né da recriminare (i secondi); avrebbero invece molto da valutare e ripensare sulle vicende che hanno accompagnato la campagna referendaria: per più motivi
Non c?è nulla da festeggiare: tanto i noini, quanto i siini (i neologismi sono stati efficacemente proposti da persona attenta e stimata) non avrebbero né da festeggiare (i primi), né da recriminare (i secondi); avrebbero invece molto da valutare e ripensare sulle vicende che hanno accompagnato la campagna referendaria: per più motivi
OPINIONI – Un gruppo di amici, che peraltro godono della mia amicizia e della mia stima e coi quali ho spesso condiviso opinioni e comportamenti politici, mi hanno invitato a festeggiare la vittoria del no al Referendum confermativo delle riforme costituzionali: ho declinato convintamente. Tuttavia per evitare equivoci dirò da subito che avrei evitato di festeggiare anche una vittoria del si, Il motivo più comprensibile sta nella constatazione, alla portata di tutti, che il merito delle materie sottoposte al voto ha interessato né più né meno che un’esigua minoranza dei votanti, il 30% del totale. Gli altri 70% hanno scelto per motivazioni assolutamente estranee alle questioni sottoposte al voto. Ciò non significa che non sia andato a votare e mi sia astenuto da esprimere una preferenza: ma questo è altro discorso.
Non c’è nulla da festeggiare: tanto i noini, quanto i siini (i neologismi sono stati efficacemente proposti da persona attenta e stimata) non avrebbero né da festeggiare (i primi), né da recriminare (i secondi); avrebbero invece molto da valutare e ripensare sulle vicende che hanno accompagnato la campagna referendaria: per più motivi.
Sorvolo sul fatto ripetuti da più parte che nelle norme sottoposte a referendum c’erano aspetti condivisibili ed altri meno; e sorvolo almeno per due valutazioni: intanto perché mi ripeterei, e poi per il fatto già dichiarato che non lì (il merito) c’è stata la causa della scelta, ma in altre componenti. E vengo ad alcune osservazioni che mi interessano e che mi impediscono qualunque partecipazione al festeggiamento dei vincitori. Per intanto proverei un disagio imbarazzante a trovarmi in sintonia, sia pure del tutto casuale ed episodica, con Matteo Salvini e Beppe Grillo, i vincitori senza se e senza ma; tuttavia le osservazioni che vorrei proporre sono di altra natura.
La sconclusionata campagna elettorale ha evidenziato tre fallimenti. Il fallimento del leader come dichiarata soluzione a fronte di una personalizzazione della politica, fenomeno che sta imponendosi con caratteristiche di dubbia efficacia democratica, ma a dire di molti inarrestabile; il fallimento (salvo miracoli improbabili) del Partito Democratico (P.D.); il fallimento del sistema dei partiti come tali.
Sul fallimento del leader c’è poco da dire; non vedo come si potesse pensare se non a Matteo Renzi ed il fallimento della sua proposta politica è sotto gli occhi di tutti. Dopo una degenerazione confusa degli obiettivi anche ambiziosi è intervenuta la caduta rovinosa. Qualcuno potrebbe fare i nomi di Salvini e di Grillo. Nulla di più lontano dai caratteri della leadership: sono dei capi/popolo, non dei leader. Il leader sa leggere le prospettive e le forze in gioco e la loro probabile evoluzione ed orientare le scelte su proposte risolutive, in confronto dialettico con le proposte alternative ed in convergenza di consenso. I due summentovati sono il primo (Salvini) l’interprete della reazione reazionaria che si oppone alla inevitabile globalizzazione dei popoli e dunque del tutto indifferente ad un evento e ad un processo in atto; il secondo (Grillo) il simpatico capo/popolo che si oppone all’unica soluzione istituzionale in grado di assicurare un futuro all’Europa, la relativa federazione.
E veniamo al fallimento del P.D. Tutto sanno che il Referendum ha avuto gli esiti conseguenti al disagio sociale dei giovani privi di prospettiva ed ai fenomeni sempre più inquietanti di una fragilità dei ceti medi, legata allo squilibrio economico che si è determinato nei decenni del secondo novecento, ed oggi insostenibile. Tra l’altro, un bel risultato per una politica dei sindacati confederali che proprio come tali avrebbero dovuto impedire che si rompesse l’equilibrio di chi sta troppo bene e chi sta troppo male. E non soltanto per un vero e proprio scompenso generazionale.
Ora il P.D. che avrebbe dovuto assicurare grazie alla convergenza di tutte le forze riformiste, cattoliche e laiche, una democrazia progressiva attenta ai diritti personali e delle comunità, senza esclusioni si è trovato a gestire una difficile e strutturale situazione, senza incidere minimamente sul disagio sociale che, al contrario, si è cristallizzato nell’ultimo decennio, anche per l’assenza (ma non solo) dei contratti pubblici. Dal secondo dopo/guerra si parla di democrazia progressiva, ma nei fatti si è sempre fatto il contrario. Si sono consolidate le caste, si sono rafforzati i privilegi e non si è promosso il merito a servizio di tutti. Sembrava che il P.D. potesse farlo e non l’ha fatto e si è incartato e si sta sfaldando per faide interne fomentate dai “nostalgici” del proprio perduto potere e dei rottamatori che non sanno riconoscere l’importanza e la portata politica della memoria storica.
Ed infine il più generale fallimento dei partiti politici legata a forme di comunicazione che solo una leadership convincente sarebbe stata in grado di controllare ed indirizzare. Si lega così il terzo fallimento al primo: quello del leader. Non esiste più la possibilità di determinare la politica della Nazione da parte di tutti i cittadini riuniti nella forma del partito, meglio non è più sufficiente il contenitore tradizionale. Purtroppo l’ascolto diretto delle reazioni popolari e la loro interpretazione impongono un diverso rapporto tra il leader ed il partito di riferimento, quando sia capace di fronteggiare le nuove sfide che ci tocca di affrontare.
Ma se manca il leader e manca il partito, cosa rimane per salvare la democrazia? Con tutta onestà, non c’è motivo per fare festa!