A Ozzano ricordati Piacibello e i caduti delle guerre
L'intervento dell'oratore ufficiale Sergio Favretto
OZZANO – Il 28 ottobre ricorreva l’anniversario del sacrificio del partigiano Alfredo Piacibello, Medaglia d’oro al Valor Militare. Venne fucilato nel 1944 nel piazzale della stazione di Ozzano Monferrato, dove oggi sorge una targa in suo onore.
La commemorazione ha avuto luogo ieri con orazione ufficiale dell’Avvocato Sergio Favretto, storico e rappresentante dell’Anpi Casale Monferrato. Nella stessa giornata anche le celebrazioni del IV novembre, a cura del Comune di Ozzano e del gruppo Alpini.
Di seguito l’intervento integrale di Favretto: “Il sacrificio di molti nella Grande Guerra e il coraggio-testimonianza nella Resistenza”
«Oggi ricordiamo due drammatici distinti eventi. Il sacrificio di ozzanesi e monferrini nella Grande Guerra del 1915-18 e il coraggioso contributo per la Libertà dell’antifascista e partigiano Alfredo Piacibello, ucciso il 28 ottobre 1944. Potrebbero apparire due vicende storiche differenti e lontane, ma giustamente oggi vengono abbinate, perché per entrambe l’obbligo della memoria ci motiva ad una riflessione attualizzata. Sono anche questi i fatti che costituiscono l’identità di una popolazione, di un paese, di una area più vasta.
La Grande Guerra nel Monferrato
Se interrogassimo un passante o un giovane, forse non ci illustrerebbe la ragione dell’ingresso in guerra dell’Italia nel 1915. Ci direbbe che fu un evento epocale, un fatto drammatico che coinvolse tutta l’Italia. C’è oggi, infatti, la percezione che quegli anni determinarono la storia del nostro Paese. Nel corso del 2018 sono stati pubblicati una ventina di saggi su questo tema, molti documentari televisivi hanno approfondito le vicende vissute allora dalla popolazione italiana; è stata allestita una varia e significativa programmazione di momenti celebrativi, la scuola e l’informazione hanno diffuso studi e ricerche. Qui, oggi, il mio compito è non certo di celebrare, ma di far riflettere ed insieme assumere uno spirito nuovo di autentica democrazia e libertà di popolo.
L’evento guerra
Se pensiamo che la Grande Guerra coinvolse le maggiori nazioni europee e la Russia, che vide fasi successive di belligeranza fra alleanze imperiali e l’Intesa a partire dal 28 luglio del ’14 e poi dal 24 maggio del ’15 per l’Italia; che annoverò ben 780.000 soldati italiani deceduti, dei quali ben 406.000 per cause belliche dirette, 274.000 per malattia, 100.000 nei campi di prigionia stranieri; che i soldati feriti ed ammalati furono più di 1.000.000, che i civili deceduti a seguito e in costanza della guerra furono più di 500.000, che moltissimi furono gli immigrati all’estero per non partecipare al conflitto e tantissimi furono poi gli italiani invalidi permanenti; che interi territori vennero bombardati e distrutti, che intere comunità e popolazioni vennero falcidiate e private di identità, allora cogliamo la portata distruttiva di un evento bellico irripetibile. Nel caso di Ozzano Monferrato, si ebbero ben 45 vittime e caduti direttamente in guerra. In tutto il Monferrato, annoveriamo centinaia di deceduti, paese per paese, monumento per monumento, ricordo per ricordo.
Effetti nella società e nell’economia
La Grande Guerra e la Guerra del 1940-45 non furono solo conflitti fra nazioni, fra eserciti, fra comandi in competizione. Furono, purtroppo, parentesi inconsulte e irrazionali tese a regolare rapporti internazionali fra Impero ed Intesa, fra stati e sovranità differenti, fra vocazioni dittatoriali e obiettivi espansionistici, con lo scontro in armi. Molto spesso si ricordano le vittorie e le sconfitte, le imprese ardite, i grandi generali, i singoli eroismi, ma si dimenticano gli effetti della guerra sulle famiglie, sui paesi di frontiera, sulle comunità e sul territorio. Ogni conflitto porta con se un derivato ed un connesso fatto di distruzione, di spreco, di arretramento culturale e sociale, di blocco economico. Nelle due guerre mondiali tutto avvenne in modo esponenziale, perché non fu una guerra lampo ed una guerra circoscritta, ma una tragedia lunga e coinvolgente l’intera Italia. Nel 15-18, non dobbiamo dimenticare come, pur a fronte della dialettica interventisti e non interventisti, vi fu una adesione di massa alla guerra, pilotata dai politici e dall’esercito; come per anni la società italiana non vide altre speranze ed obiettivi se non quelli di vincere, pur registrando costi immani. Tutto si inceppò: la demografia, i percorsi del lavoro e dell’istruzione, il progresso scientifico, la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del Paese, la corretta e normale gestione del territorio agricolo e turistico. Nel nostro Monferrato, anche se non scenario bellico di frontiera, società ed economia si fermarono. L’incertezza dell’esito, le partenze dei giovani al fronte, l’impoverimento generale delle piccole realtà contadine ed operaie, le famiglie private della forza lavoro più esperta sono i fattori che produssero un arresto sociale collettivo.
Persona e famiglia
Con il reclutamento dell’esercito, con i giovani anche volontari, venne coinvolta grande parte di una generazione. Nelle trincee e nelle battaglie campali, nelle varie imprese belliche, ogni singolo giovane portava con se il senso patrio accanto all’affetto familiare. Si inviavano lettere, si tessevano rapporti, si scrivevano poesie e si componevano canti popolari e di guerra. Il combattente non era isolato, la famiglia era forse l’unico ancoraggio in un contesto di rischio e di incertezza di vita. Eppure i progetti di vita mutarono; le ipotesi di matrimonio si rinviarono, interi nuclei vennero sconvolti dai decessi e dalle invalidità. Molti reports e memorie pervenute fino a noi, molti messaggi e lettere ci regalano uno spaccato di forte intensità emotiva. Lontano dalla guerra, nei nostri comuni, anche qui a Ozzano, le famiglie si mobilitarono per sostenere ed assistere i soldati feriti o mutilati ritornati a casa; vennero costituiti dei fondi di denaro, delle associazioni volontarie, si alimentarono sottoscrizioni; anche i comuni intervennero con il loro sostegno organizzativo. Per molti anni, il volontariato e le istituzioni assicurarono riconoscenza e sostegno alle famiglie delle vittime della guerra.
Memoria e letteratura
Nei vari archivi, nelle stamperie prima e poi nelle librerie, nelle biblioteche, nei primi decenni dal termine della guerra si intensificarono le redazioni e pubblicazioni di memorie, di diari ed appunti. Si raccolsero scritti, si riordinarono relazioni ed appunti di guerra. Anche nell’archivio di Ozzano, di Asti e di Casale e di altri comuni monferrini vi sono prodotti e documenti di grande rilievo memorialistico. Sono tutti elementi che servono allo storico e al ricercatore per contestualizzare l’impatto bellico nella società di riferimento, per ricostruire l’apporto dei singoli all’interno ad una esperienza collettiva di guerra. Non solo. Dalla memorialistica si pervenne molto presto alla vera letteratura di guerra o sorta sull’incipit della guerra: si pensi a “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Enrich Marie Remarque, a “Un anno sull’altopiano” di Emilio Lussu, a “Addio alle armi” scritto da Ernest Hemingway, a “Giornale di guerra e di prigionia” di Carlo Emilio Gadda, alle opere di Umberto Saba e di Beppe Ungaretti, di Eugenio Montale. Recentemente è uscito il romanzo “Aiutavo il destino” di Corrado Bertinotti, storia romanzata del nonno calciatore del Casale Football Calcio, soldato partito per il fronte in Carnia e Friuli dopo aver vinto lo scudetto nel 1914. Tutta una letteratura scritta dal fronte, che ha tratto ispirazione dalla guerra e dal sacrificio dei militari sul fronte. Le pagine della letteratura ci consegnano un respiro profondo del clima della Grande Guerra, fatto di sacrifico umano e di tanta coscienza civile e coraggio singolo.
Pace ed europeismo
L’assurdità e la crudeltà di una guerra imponente e diffusiva ci devono portare ad una nuova considerazione ed apprezzamento dell’antipodo della guerra e cioè la pace. I 100 anni che ci separano dalla data della conclusione del conflitto hanno visto altre guerre nei vari scenari europei, dalla Seconda Guerra Mondiale alle guerre nei Balcani, dalle guerre sulle sponde del Mediterraneo alle guerre nel Medio Oriente. L’intera Europa deve essere preservata da ogni ipotesi di conflitto, perché la maturità di un popolo e di una nazione si misura innanzitutto dalla sua propensione per la pace, dalla sua operatività per la pace.
Il partigiano ed antifascista Alfredo Piacibello
La Resistenza nel Monferrato casalese ebbe puntuali e inequivocabili connotati: fu una Resistenza difficile, per il contesto socio-economico turbato da decenni di presenza fascista organizzata, per la capillare occupazione tedesca con un controllo serrato delle vie di comunicazione stradale e ferroviaria, per la centralità del territorio rispetto ad Alessandria, Asti, Chivasso e Vercelli; fu una Resistenza cruenta, per le molte vittime annoverate, fra giovani e ex militari, fra operai ed agricoltori; fu una Resistenza corale e pluralista, per le diverse componenti culturali e sociali che la animarono con le varie formazioni partigiane (comunisti, socialisti, cattolici, liberali e badogliani; ex militari, carabinieri, operai, studenti, sacerdoti, artigiani e contadini); fu una Resistenza identitaria, perchè seppe unificare le attese di tutti verso una nuova spiaggia di libertà, proprio facendo leva sulle caratteristiche e sulla storia del territorio.
Il Comune di Ozzano, nell’immediata cintura di Casale, per i tedeschi occupanti e per le Brigate Nere e la nuova RSI, costituì allora un’area da osservare e controllare attentamente. Per Ozzano, transitava molto traffico sulla strada provinciale per Asti e lungo la ferrovia. Già nella primavera ’44, alcuni partigiani, esperti sabotatori con esperienze militari, si dedicarono a minare ponti stradali, impedire offensive tedesche, assalire colonne motorizzate; sabotare linee telefoniche, officine, depositi di carburanti, deviare scambi ferroviari.
Emblematico il gesto di Vinicio Cortese (nato a Catanzaro, quasi laureato; chiamato alle armi, lasciò l’esercito ed entrò nella lotta partigiana nelle brigate Matteotti) e di Rolando Berluti di Genova. Il 26 agosto 1944, all’altezza della località Castagneto, fra Ozzano e Treville, i due accettarono di fare brillare un ponte per ostacolare l’attività di rastrellamento dei nazifascisti. Mentre erano al lavoro per il minamento, sopraggiunsero quaranta di tedeschi. Furono accerchiati; il Cortese, tenne impegnati i tedeschi per un’ora, sparando con fucile e pistola, coprendo il compagno Berluti. Fu ucciso da una mitraglia; a duecento metri, i tedeschi raggiunsero anche il Berluti. Lasciarono i cadaveri nel bosco, uccisero un giovane civile e si diressero verso Casale. Al Cortese venne attribuita la medaglia d’oro al valore militare.
Nell’autunno ‘44 venne decisa una dura offensiva, programmata su tutto il territorio del Monferrato, dalla RSI e dal Comando Tedesco di Casale. Nel pieno dello svolgersi di questa offensiva, paese per paese, con duri attacchi alla ricerca dei renitenti alla leva e dei gruppi partigiani, in data 28 ottobre 1944, ad Ozzano Monferrato, venne catturato e ucciso Alfredo Piacibello.
Un gruppo di Garibaldini uscì, il mattino, per un servizio di avvistamento. All’altezza di Castagnone di Pontestura avvenne lo scontro con un’ottantina di militi della Brigata Nera di Casale, fornitissimi di armi. I partigiani si videro subito circondati sui tre lati. Piacibello decise allora di affrontare il nemico per coprire la ritirata dei compagni. Scaricò il moschetto e poi mise mano a due bombe che rimasero però inesplose. Continuò a sparare con la pistola. Esaurite tutte le munizioni, venne circondato e catturato. Anche se ferito, venne legato con una corda al retro camion e dovette correre. In queste condizioni venne trasportato fino ad Ozzano. Qui, i fascisti tentarono un processo pubblico, invitando la gente a partecipare, ma nessuno si offerse; fu celebrato un processo sommario. Venne poi spogliato dei vestiti, bastonato e deriso dai fascisti, percosso ancora nel piazzale della stazione. Messo al muro per la fucilazione, gli venne offerta una sedia per sedersi. La rifiutò. Col braccio teso e il pugno chiuso esclamò: “Sono contento di quello che ho fatto. W l’Italia libera”. Una raffica di mitra lo abbattè.
Sulla cattura e fucilazione di Piacibello propongo una pagina inedita, una narrazione sconvolgente che ci viene dalla testimonianza di una fascista di allora. Ottavio Leporati, casalese, venne arrestato il 27 aprile 1945. Il 16 giugno, nelle carceri di Casale, davanti a tre funzionari incaricati che lo interrogavano circa l’imputazione di favoreggiamento dei nazi-fascisti e di aver fatto parte delle Bande Nere, Leporati espose a verbale e sottoscrisse: “…il secondo rastrellamento ebbe luogo il 28 ottobre 1944, in Valle Cerrina al di sopra di Quattrocasotti, verso Cerrina, mentre si proseguiva lungo la strada di detto Comune. In detto luogo, transitando su tre autocarri, fummo attaccati da una squadra di partigiani. In quell’occasione si procedette alla cattura del partigiano Piacibello, avvenuta come segue: un tiratore della G.N.R. rispondendo al fuoco feriva subito ad una gamba il Piacibello che pertanto riparava in un campo di meliga, mentre gli altri riuscivano a fuggire. Il Piacibello veniva arrestato e trasportato sull’autocarro dove mi trovavo io. Trasportato ad Ozzano, il Piacibello fu fucilato nello stesso giorno per ordine di Danè (Giuseppe Danè), comandante dell’ufficio politico, che in precedenza aveva impedito a me di medicarlo. L’esecuzione avvenne da parte di Delrosso, un giovane romano della mia compagnia, e di Vivian, anche lui giovane di origine veneta. Preciso che Danè mi ritirò la cassetta dei medicinali coi quali volevo medicare il partigiano ferito. Non ho assistito all’esecuzione perché con altro uomo di cui non ricordo il nome, ero comandato di controllo ed impedimento al transito distante 400 metri dal fatto…”.
Alfredo Piacibello era nato a Casale il 1° febbraio del 1912. I genitori erano operai e commercianti. Alfredo aveva i fratelli Mario ed Angelo, la sorella Rosa. La famiglia era di idee democratiche. I fascisti casalesi lo minacciarono spesso, controllavano i vari movimenti. Il fratello maggiore Angelo, operaio in un cementificio a Casale, dovette emigrare a Nizza, in Francia, come tanti altri antifascisti. Alfredo, dopo le scuole elementari, fece l’apprendista elettricista. Poi, nel ’38, venne assunto all’ospedale di Casale Monferrato. Nel ’31 aveva sposato Maria Borla, da cui ebbe l’unica figlia Giuseppina. Dal fratello Angelo ricevette molte lettere; in esse, vi erano narrati i fatti e le prime forme di dissenso organizzato contro il regime fascista, le cui redini erano tenute dalla Francia. Alfredo venne sempre informato dal fratello Angelo anche in merito alla partecipazione di militanti antifascisti italiani alla guerra civile spagnola.
Durante i primi anni di guerra, Piacibello rimase tecnico-elettricista all’Ospedale di Casale, dove, negli scantinati, creò un primo nucleo di Resistenza. Qui, si raccoglievano armi, vestiti, viveri, mezzi tecnici da inviare alle formazioni in collina. Si ammalò di tubercolosi, ma non rinunciò ad un’attiva militanza. Partigiano appartenente alla Brigata “Fox” della X Divisione Garibaldi “Italia”, operante in Val Cerrina, al comando di Rinaldo Ronco (nome di battaglia di “Orlando Orlandi”), venne poi incaricato di un ruolo ispettivo nelle Brigate Garibaldi. Alla sua morte gli venne dedicata una Brigata, la 181 °Piacibello. Gli venne riconosciuta la medaglia d’oro al valore militare.
Assieme all’arresto di Piacibello venne ucciso, nella stessa operazione, anche Silvio Bondesan, comandante della formazione. Bondesan era nato a Gavello (Rovigo) nel 1922; fece fuoco fino all’ultimo, ma consideratosi perso si sparò per non farsi catturare. Gli altri partigiani si salvarono.
In merito alla figura di Piacibello, merita attenzione un accorato ricordo di Barberis Amedeo, soprannominato Piave, vicecomandante della Brigata 181ª Piacibello.
In una testimonianza scritta, così rievoca: “Il 28 ottobre 1944 i partigiani della 181ª brigata Garibaldi operante in Valle Cerrina, tra Moncalvo e Mombello, si scontrarono con un reparto delle Brigate Nere in località Quattro Casotti. Durante il breve combattimento, il comandante Alfredo Piacibello di Casale Monferrato viene ferito ad un ginocchio e catturato. Lo legano per i piedi ad un camion e lo trascinano, per più di un chilometro, fino ad Ozzano, lo mettono contro un muro su una sedia; ormai più morto che vivo, trova ancora la forza di alzarsi in piedi, ma cade subito, abbattuto da una raffica. La notte seguente, quattro partigiani ed io, andammo a raccoglierlo con un calesse e lo portammo nel cimitero. La schiena e parte del viso non c’erano più, si vedevano le ossa. I suoi resti riposano ora nel Sacrario dei Partigiani nel cimitero di Casale. Venne poi decorato di medaglia d’oro al valore della Resistenza. Nella primavera del ’45 la nostra brigata venne ribattezzata con il suo nome e il 25 aprile dello stesso anno, verso le dieci del mattino, la ‘Piacibello’ entrava in Casale per liberare definitivamente la città. Venne disarmato il presidio tedesco che si era già arreso senza combattere e venne catturato l’intero comando fascista che si era asserragliato in una scuola. I capi: Zola, Barbano, Iannuzzi ed altri, che avevano sulla coscienza, tra l’altro, anche l’eccidio della Banda Tom finirono in carcere, ma non vennero giustiziati. Quando arrivarono gli alleati furono consegnati a loro. Non seguimmo la loro sorte, sappiamo però che non vennero uccisi e quando arrivò l’amnistia furono liberati.(…)”,
Alfredo Piacibello è testimone di una fase drammatica della storia italiana, di un tempo violento e incerto; ebbene, Piacibello non esitò, si spese perché convinto dei principi di libertà e di democrazia. Anche i nostri soldati del 15-18 vissero un tempo violento, obbedirono ad una chiamata di guerra senza senso e per obiettivi non noti, ma solo perché la Patria chiamava. Furono oggetto di violenza, senza libertà, senza alternative. I due eventi ci fanno capire quanto sia preziosa la convivenza nella pace e nella giustizia, una giustizia non formale e elitaria, ma per tutti».