“L’ufficiale e la spia”: lo straordinario ‘J’accuse’ di Roman Polanski
Vincitore del Gran Premio della Giuria a Venezia 76, il film è la summa dell’intera produzione cinematografica del regista polacco, ma ne rappresenta anche un vertice assoluto
CIMEMA – L’ufficiale e la spia (che nel titolo originale francese si rifà esplicitamente all’omonimo pamphlet composto dal giornalista e scrittore Émile Zola, indirizzato come lettera aperta all’allora presidente della Repubblica Félix Faure e pubblicato il 13 gennaio 1898 sulle pagine de “L’aurore”), vincitore del Gran Premio della Giuria a Venezia 76, è, certo, la summa dell’intera produzione cinematografica dell’86enne regista polacco, ma ne rappresenta anche un unicum, un vertice assoluto.
Vi si possono ravvisare innumerevoli echi di suoi film precedenti, dal primo lungometraggio, Il coltello nell’acqua (1962) a L’inquilino del terzo piano (1976) al più recente Il pianista (2002), solo per citarne alcuni.
Poi, c’è anche l’influenza del grande cinema, quello d’autore, che Polanski conosce alla perfezione: vengono, giustamente, citati Eric Rohmer, per la costruzione delle scene a livello estetico, Roberto Rossellini, per l’intento educativo, didattico. Enormi riferimenti, oltre che al mezzo cinematografico, al mondo dei mass media in generale (carta stampata, illustrazioni) che – in quello scorcio fin de siècle in cui scoppiò il clamoroso Affaire Dreyfus – muovevano i primi, fondamentali passi.
Polanski traspone il romanzo di Robert Harris L’ufficiale e la spia (pubblicato in Italia nel 2014), con la collaborazione dello stesso romanziere, di cui aveva già messo in scena nel 2010 L’uomo nell’ombra: l’esito è di grande rigore narrativo e visivo, con scene geometricamente orchestrate attraverso impeccabili campi-controcampi, wide shots che penetrano nell’oscurità di interni-simbolo di un potere gerarchizzato e oppressivo, viraggi in seppia nei flasback e cromatismi freddi per immergere il tutto nell’asettica neutralità di un punto di vista più cronachistico che finzionale, grazie al lavoro del fedele direttore della fotografia Pawel Edelman.
Perché è palese, secondo Polanski, e non vi può essere più animosità alcuna nell’affermare ciò che la Storia ha oramai sancito da molto tempo: il capitano dell’esercito di origine ebraica Alfred Dreyfus (qui interpretato da un granitico Louis Garrel), accusato di alto tradimento nei confronti dello Stato, è un perseguitato, l’agnello sacrificale per eccellenza, vittima degli intrighi politici e sociali del proprio tempo che assurge a simbolo (per l’avvenire e mediante la pubblica denuncia del sopruso operata da Zola, l’intellettuale che ribadisce il ruolo critico della cultura all’interno della comunità) della perenne lotta tra verità e finzione, cronaca pura e semplice e manipolazione mediatica.
La prospettiva da cui il film restituisce la vicenda – dall’arresto e conseguente degradazione di Dreyfus nel 1894 alla sua lenta riabilitazione nel 1906 – è quella del colonnello Georges Picquart (un ottimo Jean Dujardin), a capo dell’ufficio informazioni dello Stato Maggiore, che per primo sospende il giudizio, iniziando a indagare personalmente nei misteri e nelle zone opache di quanto accaduto, portandone alla luce, infine, fantasmi minacciosi e temibili che funesteranno l’Europa novecentesca (l’antisemitismo, in primis, e poi il razzismo, anche culturale, le ingiustizie sociali).
Viene spontaneo (e non è affatto un pensiero peregrino) istituire un collegamento, a livello simbolico, tra l’episodio raccontato da Polanski e le molteplici accuse, lo scandalo sessuale che lo ha degradato agli occhi dell’opinione pubblica a partire dal lontano 1977. La pellicola non va analizzata o – peggio ancora – valutata sulla base delle esperienze private del regista, per quanta ripercussione mediatica possano aver innescato: L’ufficiale e la spia è – a prescindere – una tra le opere più mature e riuscite di Polanski, seppur attraversata (ma senza che questo ne pregiudichi l’obiettività) dai personali fantasmi del suo autore, che ha dichiarato al “Corriere della Sera”: «Ci sono delle persone che muoiono per la verità. Molte lo hanno fatto e nel mio film ho voluto rappresentare lo scontro tra la fedeltà alla Ragion di Stato e quella alla verità. […] Volevo ribadire che anche oggi viviamo in tempi simili, nell’epoca della post-verità, dove l’emozione è più importante della realtà. Anche tutto quello che si scrive su di me risponde maggiormente alle emozioni che ai fatti reali. Per questo ho voluto fare un film dove si dice che in nome della verità bisogna sacrificare ogni cosa. Anche se poi alla fine bisogna imparare a fare i conti con il fatto che c’è qualcosa di ancora più forte della verità, l’opinione pubblica. […] Sono invecchiato, naturalmente, ma penso anche di essere molto cambiato. Come regista ho imparato molto e mi sembra di fare meno errori: cerco di raccontare senza dover far vedere troppo, come quei pittori giapponesi che inseguono la purezza. Da giovane ero più esuberante, influenzato dal surrealismo e dal teatro dell’assurdo. Oggi mi sembra di essermi allontanato da tutto questo. Oggi mi sembra di essere più saggio».
L’ufficiale e la spia (J’accuse)
Regia: Roman Polański
Origine: Francia, Italia, 2019, 132′
Sceneggiatura: Roman Polanski (dall’omonimo romanzo di Robert Harris), Robert Harris
Fotografia: Pawel Edelman
Montaggio: Hervé Deluze
Musica: Alexandre Desplat
Cast: Mathieu Amalric, Jean Dujardin, Louis Garrel, Grégory Gadebois, Emmanuelle Seigner
Produzione: Rai CInema, Légende Films, Kinoprime Foundation, Kenosis, Horus Movies, Gaumont, France 3 Cinéma, France 2 Cinéma, Eliseo Cinema, RP Productions
Distribuzione: 01 Distribution