I classici del cinema orientale: “Viaggio a Tokyo” di Jasujiro Ozu
Il capolavoro del regista giapponese Jasujiro Ozu, nonché uno dei vertici del cinema mondiale, è fruibile mercoledì 25 marzo dalla piattaforma streaming Mymovies
CINEMA – Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari, letteralmente Una storia di Tokyo) è considerato, non a torto, il capolavoro del regista giapponese Jasujiro Ozu, nonché uno dei vertici del cinema mondiale.
Tra i film più famosi del Maestro, altissima espressione di quel realismo che inizia a pervadere i suoi lavori a partire dagli anni Trenta (Ozu inizia la carriera come operatore di macchina, per poi passare alla regia nel 1927: gran parte delle sue prime opere sono andate perdute, così come molte delle successive. Non ha subito lo stesso destino, per fortuna, Giorni di gioventù – 1929 – il lungometraggio d’esordio), si rivela ad ogni nuova visione un insuperabile esercizio di stile e abilità narrativa, sospeso fra classicità e innovazione.
Innamorato del cinema occidentale (era un cultore di Ernst Lubitsch) ma, nello stesso tempo, narratore rigoroso e attento delle tradizioni domestiche del proprio Paese, in Viaggio a Tokyo Ozu rivolge lo sguardo (siamo nel 1953) alle profonde e spesso laceranti trasformazioni del tessuto sociale e familiare che affondano le radici nell’immediato dopoguerra, con l’acceleramento del progresso industriale che cambia il rapporto tra città e campagne, l’urbanizzazione selvaggia, l’allentarsi del rapporto intergenerazionale.
La storia, dolorosa e – pur nell’imperturbabile armonia esteriore delle relazioni tratteggiata dal regista – a suo modo tragica, inizia con la decisione dell’anziana coppia formata da Shūkichi (Ryū Chishū) e Tomi (Higashiyama Chieko) di lasciare temporaneamente la propria dimora in campagna, a Onomichi, per far visita ai due figli – Kōichi (Sō Yamamura) e Shige (Haruko Sugimura) – che vivono e lavorano a Tokyo. Le aspettative dei due genitori nei loro confronti andranno ben presto deluse, alla luce dell’indifferenza che pare aleggiare sovrana nei comportamenti e nelle scelte di vita, dominate dal materialismo, della giovane generazione.
Quello di Shūkichi e Tomi, più che un viaggio con il soddisfacimento finale di un obiettivo ben preciso, assomiglierà a un vagabondare senza costrutto, da Onomichi a Tokyo e ritorno, passando per Osaka – dove vive un’altra figlia, Keizō (Shiro Osaka) – e le terme di Atami, espressione di un ambiente marino che non ha più nulla da offrire ai loro cuori stanchi.
L’unico supporto emotivo, anch’esso fragile ma sincero, è rappresentato da Noriko (Hara Setsuko), loro nuora e vedova del figlio Shōji, disperso in guerra da otto anni: ma il tempo e lo spazio di un incontro meno peregrino sono circoscritti entro una società nipponica che – proprio come in Occidente – sta smarrendo ogni dimensione umana.
Uscito nelle sale italiane solo a metà degli anni Sessanta – come la maggior parte dei suoi film non andati perduti – Viaggio a Tokyo è una riflessione lirica e amarissima sul cambiamento dei costumi, il trascorrere dell’esistenza e l’impossibilità da parte dell’uomo di superare i propri limiti fisici e mentali, ma senza giudizio e colpevolizzazione alcuna da parte di Ozu, che con il suo stile quieto, limpidamente narrativo eppure non soggiacente ai canoni del cinema di registi a lui contemporanei (vedi Mizoughi o Kurosawa) compone un affresco di assoluta modernità.
Immagini in alternanza (in un bianco e nero profondo e ricco di contrasti), long take, suoni e rumori naturali a fare da corollario e sfondo vengono miscelati senza soluzione di continuità, fluendo come la narrazione entro un tutto omogeneo.
Marca distintiva di Ozu, la macchina da presa è posizionata a terra, fissa e al centro della scena: la cosiddetta “altezza tatami”, che pare voler andare oltre – dal punto di vista estetico – il semplice rispecchiamento di un’abitudine conviviale giapponese.
«Non è una leggenda», spiega Dario Tomasi, massimo esperto di cinema orientale, autore nel 1996 di “Ozu Jasujiro. Viaggio a Tokyo”. «Ozu è il primo ad abbassare la macchina da presa e ad inventarsi un’inquadratura. Prima e diversamente da Welles e Toland in Quarto Potere con le loro angolazioni dal basso, Ozu mantiene l’obiettivo basso, la m.d.p. parallela a terra. Qualcuno riconduce la scelta ad un’esigenza legata al modo di sedersi tra giapponesi, modello tatami, ma il regista la usa anche in luoghi “occidentalizzati” nei suoi film come gli uffici».
Ne deriva – parafrasando Visconti – un “gruppo di famiglia in un interno” autocentrato, come se nulla di realmente importante potesse compiersi o avere respiro al di fuori dello spazio domestico, spesso angusto, al di là dei sorrisi e dei rituali di superficie.
Di Viaggio a Tokyo, vertice dell’arte di un regista che ha fatto scuola per molte generazioni a venire – compreso uno tra gli emuli recenti più famosi, Hirokazu Kore-eda – si fissa nella mente dello spettatore una battuta emblematica, pronunciata da Kyoko (Kyōko Kagawa), l’ultimogenita di Tomi e Shūkichi, in un dialogo con Noriko: «La vita è deludente».
Una speculazione molto amara, che Ozu, tuttavia, fa rientrare con naturalezza e senza acredine in quel continuo gioco di specchi, quel contraltare di dolori e gioie che nulla aggiunge e nulla toglie al fluire indifferente della vita.
Viaggio a Tokyo è fruibile mercoledì 25 marzo alle ore 21 dalla piattaforma streaming Mymovies, su prenotazione gratuita.
Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari)
Regia: Yasujiro Ozu
Origine: Giappone, 1953, 136’
Interpreti: Chieko Higashiyama, Chisū Ryū, Eijirō Tōno, Haruko Sugimura, Hisao Toake, Kuniko Miyake, Kyōko Kagawa, Sō Yamamura, Setsuko Hara, Setsuku Hara, Shirō Osaka
Sceneggiatura: Kōgo Noda, Yasujirō Ozu
Fotografia: Yūharu Atsuta
Montaggio: Yoshiyasu Hamamura
Colonna sonora: Kōjun Saitō
Produzione: Shochiku
Distribuzione: Tucker Film