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    “Noi
    Il dancing la Cometa di Sale
    Generic, Home, Società
    16 Aprile 2020
    ore
    10:07 Logo Newsguard
    La replica

    “Noi della Cometa non siamo gli untori”

    Domande e considerazioni dell'amministratore del celebre dancing di Sale

    SALE – “Mi chiamo Roberto Bruno e sono l’amministratore della società Cometa Music Hall S.r.l. Scrivo questa mia in quanto, nell’ultimo periodo, il nome della Cometa è stato affiancato in più occasioni a quello del coronavirus sulle pagine del vostro e di altri giornali dando l’impressione che il nostro locale sia stato la causa scatenante del contagio”.

    Comincia così un comunicato il cui il titolare del celebre dancing di Sale fa chiarezza su quanto accaduto, spiegando che “La Cometa  è una società che ha sempre ottemperato alle varie disposizioni delle autorità, e mi riferisco alla chiusura imposta prima per DPCM dal 24/02 al 1/03, poi per ordinanza sindacale del 4 marzo, e successivamente di nuovo per DPCM. E’ una società che conta 15 dipendenti in regola, 10 collaboratori esterni, circa una quarantina di orchestre e gruppi musicali che settimanalmente si esibiscono sul nostro palco, fornitori e consulenti vari. Lascio a voi il conto totale delle persone impegnate dalla nostra attività”.

    Poi la “chiarezza sui fatti”, partendo dall’appello fatto dall’Unità di crisi con cui si invitavano i frequentatori della Cometa (dal 17 febbraio in poi) a sottoporsi al test per verificare eventuali infezioni: “Tutto ciò ha determinato una situazione surreale: nostri dipendenti a cui è stato rifiutato l’ingresso in luoghi pubblici e clienti e collaboratori ai quali è stato impedito l’accesso sul posto di lavoro solo per il fatto di essere stati alla Cometa. Lascio a voi giudicare. Ora, mi chiedo: ma se il musicista risultato colpito dal coronavirus ha suonato da noi in data 14 febbraio, perché dunque soltanto a coloro che sono stati nostri ospiti tre giorni dopo è stato rivolto l’appello di sottoporsi al test? E poi, come mai il primo caso di Corona virus accertato in Italia è quello di Codogno e risale al 21 febbraio? ovvero quattro giorni più tardi. E inoltre, possibile che nessuno del personale impegnato nelle serate in questione, e sto parlando di persone a diretto contatto con il pubblico (maschera, baristi, guardarobiera, camerieri…) abbia mai avuto il minimo sintomo del virus, visto la virulenza del focolaio? Grazie a Dio tutte le persone che hanno collaborato con noi stanno bene!”.

    Bruno aggiunge: “Ma è possibile che, stando alle cifre dichiarate, sei persone che sono state, dicono, contagiate proprio presso di noi possano trasformare un locale nell’unico centro di contagio di tutta la provincia? Supermercati, negozi, poste, banche, bar, bocciofile, circoli e circolini per anziani, bar, ristoranti, altri locali da ballo (abusivi e non)… Erano tutti chiusi in quel periodo? Possibile che essere stati contagiati in un altro posto sia stato proprio così… impossibile? Serviva forse trovare qualcuno a cui affibbiare la patente di “untore”? Un capro espiatorio per giustificare eventuali mancanze da parte di chi avrebbe dovuto intervenire magari più velocemente? Possibile che tutti i decessi della provincia di Alessandria siano stati originati dalla Cometa?“

    Domande comprensibili con amara considerazione: “Ancora oggi, a più di un mese di distanza, leggo articoli dove il ruolo di focolaio continua ad essere affibbiato alla Cometa. Anche noi in questa disgrazia abbiamo perso parenti, amici e conoscenti. Per questo anche noi ci riteniamo vittime di quello che sta accadendo e non siamo più disposti a tollerare chi ci indica come untori, in quanto non è provato in alcun modo che la persona e/o le persone risultate positive al virus lo abbiano contratto nella sala da ballo! Il reiterarsi di queste accuse danneggia la nostra immagine con le conseguenze del caso. Pertanto, se l’accusa verso la Cometa di essere focolaio non sarà suffragata da certezze più che concrete, mi ritengo in dovere, per tutelare azienda, posti di lavoro e clientela, di sporgere denuncia/querela per diffamazione, e/o per ogni altro reato meglio visto, nei confronti di chiunque continui a lanciare queste accuse non comprovate su qualsivoglia mezzo di comunicazione, social compresi”.

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