Lamberto Bava: il cinema, la pandemia e un’umanità sofferente ma speranzosa
CINEMA- Il celebre regista Lamberto Bava ha ereditato la predilezione per il fantastico dal padre Mario, tra i massimi esponenti del cinema horror italiano negli anni Sessanta: Alessandria l’ha ospitato nel 2018, durante il festival di critica cinematografica organizzato in quell’anno dal circolo Ferrero e dall’associazione La Voce della Luna.
Gli abbiamo rivolto alcune domande sull’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e sul suo ultimo romanzo, Il terzo giorno (Edizioni Cut Up), un thriller apocalittico con una nota di speranza.
Come ha trascorso il recente periodo di quarantena? Quali emozioni e pensieri hanno attraversato l’artista e l’uomo?
Il 21 febbraio scorso, quando si è verificato il primo caso italiano di contagio da coronavirus, mi trovavo a Bali e sono stato fortunato nel riuscire a fare ritorno in Italia. Vista anche la mia età e il timore della malattia, me ne sono stato tranquillamente a casa, continuando a coltivare i miei soliti interessi: leggere, vedere film, scrivere. Diciamo che, nonostante tutto, ho vissuto questo periodo con una certa serenità.
Il suo ultimo romanzo di prossima uscita, Il terzo giorno, collega spazi e tempi diversi, fotografando con estrema precisione il momento attuale. Perché ha voluto raccontare proprio questa storia?
Credo sia opera del fato! Ho scritto questo libro tra la fine di luglio e agosto 2019: ritengo di aver avuto una sorta di premonizione, anche se la mia storia è decisamente più drammatica. Ho iniziato a immaginare un ipotetico futuro, fra circa trent’anni, in cui i pochi sopravvissuti a una terribile pandemia vivono in modo radicalmente diverso rispetto a noi. Due ragazzi molto giovani decidono di allontanarsi dalla loro piccola comunità per andare alla scoperta di quello che è accaduto nel mondo tanti anni prima: a questo punto, ho istituito un ideale collegamento fra i due protagonisti del futuro e altri due personaggi, appartenenti al passato.
Come mai, fra tutte le ambientazioni possibili, ha scelto proprio la città di Roma?
La prima ragione è che sono romano, la seconda si collega al fatto che è difficile trovare un libro di fantascienza ambientato in Italia. Roma ha dovuto affrontare parecchie devastazioni nel corso della sua storia, dall’irruzione dei Visigoti al sacco dei Lanzichenecchi alle pestilenze; mentre scrivevo mi sono venuti in mente anche I promessi sposi del Manzoni. Ho evocato certi paesaggi pittorici del 700, con le rovine dei monumenti che emergono dalla vegetazione.
Che cosa o chi secondo Lei può essere d’aiuto all’umanità per non cadere nel baratro della distruzione totale?
Ritengo che dobbiamo continuare a fare attenzione a ciò che ci accade intorno, compresa la drammatica esperienza che stiamo vivendo. Tutta la nostra società è fondata sugli interessi economici e non so se sia giusto. Negli anni 50, quando avevo sei o sette anni, in villeggiatura sull’Adriatico andavo in cerca di cavallucci marini, che oggi non si vedono più. Ho immaginato due bambini che tra cinquant’anni giocano in un mondo fatto di plastica, dove afferrano una lattina vuota e la mangiano con i denti d’acciaio. I due ragazzi protagonisti del mio romanzo incarnano la freschezza della nuova generazione, il futuro appartiene a loro. Ma quanto durerà questo futuro?
È prevista una trasposizione cinematografica de Il terzo giorno?
Il terzo giorno – sia come taglio delle scene, sia come lunghezza – è già adatto a una trasposizione cinematografica, ma preferirei lavorarci più da sceneggiatore che da regista. Il cinema, la regia sono per certi versi come una gara d’atletica, quindi molto faticosi.
Se un ipotetico lettore le domandasse una motivazione per la quale leggere il suo libro, che cosa risponderebbe?
La motivazione sta nella possibilità di esplorare, attraverso una storia fantasy, un mondo devastato ma, nello stesso tempo, migliore, immaginando quello che potrebbe succedere e che speriamo non si verifichi mai. Il mio libro tocca alcuni argomenti di estrema attualità in questo momento. Mi interessava raccontare le conseguenze di un’epidemia, ma anche un’umanità sofferente che non ha dimenticato la speranza.