Clint fa 90: i mille volti di un artista fedele a se stesso
"Devi avere il film bene in mente ancora prima di realizzarlo. Se non ce l’hai, non sei un regista, sei uno che tira a indovinare"
CINEMA – Nel 1992 Clint Eastwood – già osannato come regista a livello internazionale anche se periodicamente soggetto a qualche tenace esercizio di dissenso da parte della critica – dedica il suo ultimo film, Gli spietati (vincitore, l’anno seguente, di quattro premi Oscar), alle due personalità che più hanno influenzato il suo modo di fare cinema: Sergio Leone e Don Siegel. «Sergio e Don sono due persone con cui ho lavorato in momenti importanti della mia vita e, per uno scherzo del destino, sono morti entrambi negli ultimi due anni», sottolinea Eastwood nel corso dell’intervista rilasciata in quel periodo alla prestigiosa rivista “Cahiers du cinéma”. «Per questo ho voluto rendere omaggio a questi due uomini, che hanno avuto una così forte influenza su di me, al di là che abbiano o meno avuto a che fare con questo film. Mi piace pensare che avrebbero apprezzato la storia. Forse no, ma penso che a Don sarebbe piaciuta tantissimo».
E così, il ragazzetto di San Francisco che a 25 anni, nel lontano 1955, esordisce come attore con ruoli secondari in pellicole di diverso genere, arrivando a farsi notare – tra il 1964 e il 1966 – nel ruolo del solitario e laconico pistolero protagonista della cosiddetta “trilogia del dollaro” di Sergio Leone (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più Il buono, il brutto, il cattivo), a 62 anni sembra ottenere una sorta di rivalsa nei confronti di quella battuta, subito divenuta leggendaria, che gli è pesata per lungo tempo sulla carriera, condizionandola: «Avevo bisogno più di una maschera che di un attore, e Eastwood a quell’epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello». Del resto, al di là dell’esternazione del pioniere del genere “spagnetti-western”, la parte iniziale del lungo viaggio nel cinema di Eastwood – come interprete – è stata fiaccata da molti pregiudizi relativi al suo aspetto fisico: «Per anni ho vagato in cerca di un lavoro ed era sempre la stessa storia: avevo la voce troppo bassa, dovevo farmi incapsulare i denti, strizzavo troppo gli occhi, ero troppo alto…».
Qualche anno dopo la fruttuosa collaborazione con Sergio Leone (e la partecipazione a un episodio di Le streghe di Vittorio De Sica, 1967), Eastwood inizia l’altro sodalizio importante della sua parabola artistica, quello con Don Siegel, declinato tra il 1969 e il 1979 in cinque film: L’uomo dalla cravatta di cuoio, Gli avvoltoi hanno fame, La notte brava del soldato Jonathan, Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! e Fuga da Alcatraz.
Nasce, così, il personaggio del poliziotto Harry Callaghan, apprezzato dal pubblico ma inviso a una parte della critica per i suoi modi spicci e i metodi di indagine poco ortodossi. Un’ulteriore affermazione del talento attoriale di Eastwood, condito da un ingrediente aggiuntivo, rilevato dallo stesso Siegel: «Trovavo Clint molto competente nella realizzazione dei film, molto bravo nel capire come gestire la macchina da presa […] Spesso faceva proposte sulle inquadrature […] e anche se decidevo di non accoglierle, mi davano comunque altre idee».
Con il tempo la critica è arrivata anche a comprendere il profondo coinvolgimento creativo dell’attore americano nella caratterizzazione monocorde e poco espressiva dell’Uomo senza volto nelle pellicole di Leone.
Mentre prosegue con le avventure di Dirty Harry (Harry la carogna nel doppiaggio italiano) in Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan di Ted Post (1973) e Una calibro 20 per lo specialista di Michael Cimino (1974), alle soglie dei quarant’anni e dopo aver fondato – nel 1967 – una propria casa di produzione, la Malpaso, Eastwood esordisce nella regia con un thriller teso, dagli influssi hitchcockiani: Brivido nella notte (1971).
Da allora a oggi l’ex ragazzo di San Francisco, figlio di un operaio e di un’impiegata alla Ibm, giramondo a seguito del padre e studente poco regolare sino alla prima giovinezza, poi sperimentatore dei mestieri più disparati (compresi il pianista e il trombettista di jazz, che evidenziano la sua grande passione per la musica: nel 1989 vincerà il Golden Globe come miglior regista per Bird, sul jazzista afro-americano Charlie Parker) e addirittura soldato in Corea, ha girato quaranta film, distinguendosi per la classicità narrativa e insieme l’originalità del suo stile, mai tendente a facili soluzioni.
La Malpaso si distingue nel novero delle case di produzione americane per produttività e insieme parsimonia nelle spese: Eastwood ha vinto complessivamente cinque premi Oscar (due nel 1993 per il malinconico e atipico western Gli spietati, due nel 2004 per il durissimo e commovente Million Dollar Baby, ambientato nel mondo della boxe, e uno nel 1995 all’interno della sezione in memoria di Irving G. Thalberg, come miglior produttore creativo).
Con enorme versatilità l’ex “texano dagli occhi di ghiaccio” ha saputo raccontare la contemporaneità (vedi, ad esempio, Invictus – L’invincibile, 2009, su Nelson Mandela e i mondiali di rugby del ’95 che costituirono una pietra miliare nella lotta contro la segregazione razziale; o il recente Richard Jewell, 2019, sul presunto responsabile dell’attentato alle Olimpiadi di Atlanta del 1996), ma anche la Storia americana nei suoi drammatici risvolti (da Flags of Our Fathers e Letters from Iwo Jima, 2006, a J. Edgar, 2011, e American Sniper, 2014).
Nella cinematografia umanista di Eastwood, tuttavia, i grandi eventi e i temi fondanti il vivere dell’uomo sono costantemente filtrati attraverso i volti, i corpi, la complessità dei cammini dei singoli individui: come nel doloroso e splendido Mystic River, 2003, dove i concetti di colpa ed espiazione si incarnano nei destini di tre amici d’infanzia di Boston, o in Sully, 2016, in cui la figura del pilota d’aereo Chesley Sullenberger pare voler riunire in sé la carica rivoluzionaria di un eroismo quotidiano, messo in pratica dalle persone comuni.
Per sé il vecchio Clint ha ritagliato nell’ultimo decennio ritratti di burberi, scontrosi ma – alla fine, sotto la spessa scorza – sensibili personaggi, spesso alle prese con eventi e situazioni più grandi di loro: dal reduce della guerra di Corea Walt Kowalski in Gran Torino (2008) al veterano della seconda guerra mondiale Leo Sharp ne Il corriere – The Mule (2018).
Una ruvidezza che è sembrata tornare a galla nella più recente performance dell’inossidabile Eastwood, in occasione della festa per i suoi 90 anni, quando Allison, terza dei suoi sette figli, è comparsa reggendo la torta di compleanno e tutti hanno intonato i tradizionali auguri. La risposta del patriarca, anche se offerta con aria sorniona, è stata lapidaria: «Knock it off» («Smettetela»).
Lunga vita, allora, a un maestro del cinema che ha saputo rimanere fedele a se stesso e alla propria arte.