“Tenet” o della relatività del mondo
CINEMA – L’interconnessione delle cose, il riflettersi l’una nell’altra, splende di una luce chiara che la freddezza della meccanica settecentesca non riusciva a catturare. Anche se ci lascia esterrefatti. Anche se ci lascia un senso profondo di mistero (Carlo Rovelli, Helgoland)
Che cosa succederebbe nel momento in cui, in un certo punto (o curva o flusso) del tempo e dello spazio, ci rendessimo conto di essere in grado di superare d’un balzo e agevolmente il cosiddetto “paradosso del gatto di Schrödinger”, il quale – secondo uno tra i possibili principi di base della fisica dei quanti postulato nel 1935 dal fisico austriaco Erwin Schrödinger – prevede una “sovrapposizione quantistica” (cioè una coesistenza) tra un gatto in vita e uno che non lo è più, almeno sino a quando un soggetto non inizia ad osservare questo fenomeno?
Quale sarebbe il nostro stupore e sconcerto se, d’un tratto, secondo una variabile azzardata della teoria dei “Molti Mondi” inerente alla meccanica quantistica dei fisici Everett e DeWitt (quella, appunto, che spiega la nostra possibilità di osservazione di un’unica condizione – vivente oppure no – del gatto dell’esempio precedente, ipotizzando infinite copie di noi individui distribuiti in infinite dimensioni del reale non comunicanti fra loro), le diverse ramificazioni dell’universo riuscissero, invece, a entrare in contatto? E, addirittura, a intrecciarsi e a modificarsi l’una con l’altra?
È abbastanza complesso, sì: ma è la storia di Tenet di Christopher Nolan, uno dei registi più influenti, acclamati e di frequente anche criticati o non afferrati sino in fondo nella loro prospettiva autoriale, degli ultimi decenni.
È vero che il film – due ore e mezza di esperienza immersiva e potente in un fluire frammentato e insieme continuo (siamo o non siamo all’interno di una anti-narrazione sui paradossi temporali?) di immagini (una fotografia che combina 35 mm, 70 mm e Imax) susseguentisi a ritmo frenetico e di musiche-suoni-rumori che vibrano con la profondità di un diapason – si rivela, in fondo, un enorme giocattolo spettacolare; seriale, in aggiunta, specialmente agli occhi smaliziati di un pubblico più giovane, che scartando dalla confezione le parti più “filosofico-metafisiche” e riflessive sui destini della società globalizzata, attende sin dai tempi di Inception, Interstellar, Il Cavaliere Oscuro e dell’ultimo Dunkirk ogni volta una nuova puntata di un meccanismo da videogame capace di provocare epidermiche ma fibrillanti emozioni.
Il gioco è il futuro (o presente o passato) del mondo: «Viviamo in un mondo crepuscolare» è una delle frasi ambigue e ricorrenti del film (come gli insistiti riferimenti al “quadrato Sator” e alla sua misteriosa iscrizione latina palindroma, cioè leggibile anche al contrario: Sator Arepo Tenet Opera Rotas).
Un mondo sul baratro della catastrofe ecologica, nucleare, economica: il “peggiore dei mondi possibili”, in antitesi a quanto sosteneva il filosofo Leibniz nel ‘700, ma anche – nella visione di Nolan – uno dei tanti, molteplici e intercambiabili; dominato o non dominato da un folle affarista (non casuale il suo nome, Andrei Sator) con i connotati poco raccomandabili di Kenneth Branagh.
Ci sono anche, in ordine sparso, Katherine detta “Kat” (Elizabeth Debicki), una donna bellissima e maltrattata da Andrei, suo marito e padre del suo unico figlio, da cui la tiene lontana; Neil (un Robert Pattinson molto più maturo rispetto ai tempi di Twilight, forgiato nell’espressività dalla duplice esperienza con Cronenberg), fisico e agente segreto dall’ambiguità evidente; sir Michael Crosby (Michael Caine, già interprete nella maggior parte dei film di Nolan citati prima, in un cameo breve ma ineccepibile); soprattutto, fin dalle prime, rutilanti scene al Teatro dell’Opera di Kiev, il barbuto agente della Cia detto il “Protagonista” (John David Washington, il trentacinquenne figlio di Denzel Washington, muscolare e meno statico nella recitazione di quanto gli abbia rimproverato la critica).
Non è, ugualmente, un caso che il “Protagonista” non abbia un nome proprio, dal momento che la tesi sposata da Nolan in Tenet, con il suo parallelismo e confusione di piani spazio-temporali, frantuma in toto il concetto di identità, riducendo i personaggi a replicazioni compresenti e non si sa fino a che punto “reali” di un’umanità in frantumi.
E se le tradizionali categorizzazioni sulle quali abbiamo basato la nostra conoscenza del visibile vengono prontamente polverizzate, se la pellicola ci frastorna con la sua magniloquenza visiva di realtà “invertite”, effetti che si manifestano prima delle cause (ma ricordate il Minority Report di Steven Spielberg, 2002, dove si prevedevano eventi delittuosi prima ancora che accadessero?), pallottole e attentati provenienti dal futuro, “manovre a tenaglia temporale” e perfino il concretizzarsi di quel “paradosso del nonno” formulato nel 1943 dallo scrittore francese di fantascienza René Barjavel nel romanzo Il viaggiatore imprudente, tutto ciò non è che la dimostrazione della stra-ordinaria e singolare qualità che la settima arte ha posseduto sin dai suoi lontani esordi, quando non era ancora narrazione ma fantasmagoria, intrattenimento: l’abbattimento dei confini di spazio e tempo.
E poi, in fondo, un cinema come quello di Nolan, che continua a interrogarsi(ci) su origine, natura e composizione di quella trama di relazioni complesse – a volte visibili, altre sfuggenti allo sguardo umano – che è la sostanza del nostro vivere, pur in forme altamente spettacolari, possiede una sua incoerente coerenza nell’orizzonte storico e artistico attuale.
«Non mi piace sintetizzare le trame, non l’ho mai fatto, neppure quando qualche amico mi chiedeva di raccontargli uno dei miei film preferiti, 2001: Odissea nello spazio», ha raccontato Nolan, intervistato da Giovanna Grassi per “Il Corriere della Sera”. «[…] Abbiamo lavorato molto nella selezione degli esterni e degli interni dell’organizzazione segreta di Tenet, sul loro modo di guardare il tempo e gli eventi. Come in Memento è proprio il tempo al centro della trama, per questo ho fatto leggere la sceneggiatura al fisico Kip Thorne, uno dei massimi esperti di relatività generale. Ma è anche un film che affronta il tema del cambiamento climatico unendo il passato al presente. Tenet non è solo un viaggio nel tempo, è un percorso nel mondo».
Tenet
Regia: Christopher Nolan
Origine: Uk-Usa, 2020, 150’
Sceneggiatura: Christopher Nolan
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Jennifer Lame
Musica: Ludwig Göransson
Cast: Kenneth Branagh, Michael Caine, Robert Pattinson, John David Washington, Elizabeth Debicki, Aaron Taylor-Johnson, Martin Donovan,
Produzione: Syncopy, Warner Bros.
Distribuzione: Warner Bros.