Angoli della vecchia Valenza
Un nuovo approfondimento sulla storia cittadina
VALENZA – Anche a Valenza la febbre del cemento del secolo scorso ha spinto a smantellare qua e là il vecchio per sostituirlo con il nuovo, alterando le caratteristiche di una via, di un rione o di una piazza, cancellando senza pietà, e con glaciale freddezza, documenti del passato. L’elenco delle nefandezze è infinito. Si dovrebbe considerare l’agglomerato abitativo valenzano come parte delle nostre esistenze, un valore non solo per la sua origine, per le vicende umane ivi vissute, ma anche per essere la prova di una salda realtà storica che prosegue nel tempo attraverso la nostra essenza.
Sin dal Medioevo, l’abitato di Valenza è stato simbolicamente diviso in tre sorti o terzieri. Per questo, si può affermare che due note vie dividevano la città nelle tre zone: la più estesa e la più influente era la sorte Astigliano divisa dalla sorte Bedogno dall’attuale via Cavour e da quella di Monasso dall’attuale via Cavallotti. In questo scritto sbirciamo incantati alcuni antichi rioni.
Il rione Trinità
Era uno dei più suggestivi cantoni della vecchia Valenza. Solo qui, e in pochi altri luoghi la città ha mantenuto alcuni caratteri d’antico paese eminentemente agricolo, cui doveva poi subentrare, in rapido sviluppo, la moderna cittadina. Nelle vecchie vie del piccolo quartiere, dove sporgono le spesse e vecchie mura delle case, si respira ancora oggi il magico e svogliato ritmo della vita di un tempo, avveduta e austera: un’atmosfera fiabesca che ricalca il Medio Evo. Qui, ancora non molto tempo fa, sorgevano diversi laboratori orafi, anche molto importanti. Tuttavia, poteva accadere di cercarli a lungo, senza trovarli, tanto che sembrava incomprensibile ad un estraneo che certe umili porticine celassero un’attività che trattava pietre preziose insieme al più nobile dei metalli. Questo non sminuiva la loro rilevanza, anzi creava suggestioni stravaganti racchiuse in una rozza cornice, pari alle grotte con sfavillanti tesori delle favole.
Questo rione prende il nome di Trinità per la Chiesa a lei consacrata, che si affaccia timidamente in via Cesare Cunietti. Dove sussistono ancora antichi muri martoriati, di aspetto tormentato e vario, trasformati prodigiosamente nel tempo da storico convento a palazzi nobiliari, quindi con disgusto a filanda, infine ad imbruttita scuola (ex Ist.Tecn.Comm.): misfatti imperdonabili.
I vecchi valenzani, nel loro espressivo vernacolo, chiamavano questo rione “T canton d’ia Trinità”. Esso comprende le vie Cunietti, Casale, Carducci, De Amicis, IX Febbraio, il tratto di via Cavallotti che dalla via IX Febbraio vaa sud verso via Lega Lombardae verso il viale Galimberti.
Della pregiata chiesa, già della Misericordia e poi della SS. Trinità, si sa che la prima pietra è stata posta dall’allora prevosto Vincenzo Bocca nell’anno 1585, delegato dal Vescovo di Pavia. Realizzata per l’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini di Roma, in cui sono confluite le due antiche confraternite locali del Cappuccio e della Misericordia, era anche la sede della congregazione che contava 120 confratelli. Annesso vi era pure un surreale ospedale per i pellegrini, indi un oratorio denominato appunto della SS.Trinità.
Nel periodo napoleonico, con l’irrisione e le dissacrazioni compiute dagli occupanti francesi, la chiesa è stata utilizzata prima come ricovero per le truppe, poi come magazzino di granaglie, e quasi completamente spogliata dei suoi beni, tanto da dover essere pressoché interamente ricostruita nel periodo successivo di Restaurazione.
Il convento di San Domenico, costruito nel 1467 fuori le mura, viene trasferito in questo rione nel 1681 (ora scuole Carducci-uffici comunali, dove è rimasto ben poco di quello che fu); diventa sede di seminario a fine Settecento, in seguito, con foga eccessiva esilenzio generalizzato, è adibito a svariati usi: scuola, caserma, magazzino.
Il Cunietti, a cui è intitolata la via, è stato un generoso benefattore della città, un cittadino d’adozione che ha trascorso a Valenza gli ultimi anni della sua vita. Egli, per testimoniare il suo affetto verso la città, dona al Comune la somma (notevole per quel tempo) di oltre centomila lire, devolute per un’opera comunale di risanamento igienico (fognature) che sarà conclusa nei primi anni del Novecento, poco prima della sua morte.
Il rione Colombina
È il gruppo di case più atavico e il cuore più pittoresco di Valenza. Piazza Statuto, via San Massimo, viale Padova, via Goito, via Roberti, formano un semicerchio con di fronte un largo dal quale si osserva la pianura della Lomellina, il fiume e innumerevoli campi segnati da pioppeti e filari di gelso. Qualche incauto restauro di vecchi edifici, con tinteggiature e lavori di cattivo gusto, e con poco senso della vergogna, hanno in buona parte alterano l’aspetto originario di questo prezioso storico rione. Restano però ancora alcune testimonianze interessanti: una bellissima loggia del Quattrocento, finestre con arco a sesto acuto, un portale con stemma; un insieme che prodigiosamente fa rivivere l’atmosfera di molti anni fa, lasciando stupiti chi scopre per la prima volta la bellezza e la pace che irradia la zona. Nel dirupo, sono ancora visibili gli avanzi delle fortificazioni seicentesche. Nel 1805, Napoleone fece abbattere queste mura per recuperare materiali da costruzione, ciò che rimase è quello che ora si può ammirare nel bastione della Colombina, in parte franato.
Tutto il borgo medioevale di Valenza si è sviluppato in quest’area che, partendo dalla Colombina, giunge in via Po e in via Cunietti.
La leggenda, per metà fiaba e per metà realtà, ma per taluno piovuta dal cielo con dose supplementare di Spirito Santo, narra che sia il valenzano San Massimo, vescovo di Pavia, a prendere la decisione di radunare le sparse borgate di Valenza in un centro urbano più possente e difendibile. Secondo la tradizione fu proprio lui, alla fine del V secolo, a riunire i tre piccoli borghi di Artigliano (Astiliano), Monasso e Bedogno tracciando i nuovi confini di Valenza. Sempre, facendo ricorso alla fantasia, la tradizione popolare vuole che il Santo avesse lanciato in volo una colomba e dove questa si fosse posata sarebbe sorta la città di Valenza. Il luogo prese il nome di “Colombina” (l’arco di viale Padova), prefigurando una delle zone più particolari della città, col suo incantevole panorama che domina la sottostante pianura. Qui i profondi burroni costituivano la naturale difesa alle frequenti incursioni di predoni e alle invasioni. Alla fine del primo millennio, tutta la città era ubicata in questo rione e nell’attuale piazza Statuto si trovava il centro abitato, a lato del quale era posta una chiesa (forse San Massimo o San Giorgio).
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Quando, durante l’immondo assedio del 1635, l’antico convento dei cappuccini fuori le mura (sulla strada per Alessandria) venne distrutto, i religiosi decisero di ritirarsi in un luogo più sicuro ed eressero in piazza Statuto il convento e la chiesa, che venne dedicata ai Santi Apostoli Simone e Giuda. Nel 1802, durante la soppressione generale giacobina, il tutto venne poi confusamente trasferito a privati, quindi, nel 1838, ceduto alla Confraternita di San Rocco e, quando questa negli anni successivisi trasferì all’Annunziata, la chiesa(una sola navata, con pareti e volta decorate), divenne nel giro di poco tempo un deposito comunale (una vergogna indelebile); infine, recentemente ristrutturato, è diventato il Centro Polifunzionale San Rocco destinato all’accoglienza e intrattenimento del pubblico.
Il rione Valletta
I valenzani del bel tempo patriarcale attribuirono il nome Valletta a questo caratteristico rione, evidentemente per l’avvallamento sopra al quale s’incontrano le vie Cavour (vecchia via di S. Giacomo) e Pellizzari (antica via del Castello). Costituito da edifici vari per stile e per dimensione, è rimasto solo in parte quale era nel secolo scorso. La sua area si estende dalla via Pellizzari, alla piazzetta Lanza e via Banda Lenti.
Due antiche chiese si trovavano nel rione: S. Giacomo Minore e San Bartolomeo, già rilevante monastero di Santa Caterina.
Nei diversi cortili di questa contrada, ove vi erano anticamente porticati per carri, stalle e piccole abitazioni ad uso domestico, nel periodo postbellico sono sorti, come per incanto, numerosi laboratori d’oreficeria. Le visitazioni in questi cortili, un tempo eseguite da rubicondi sensali e indaffarati commercianti agricoli, avvengono poi, sempre nel dopoguerra, da parte d’eleganti viaggiatori e fornitori d’articoli per oreficeria.
Sono ormai una memoria storica le varie botteghe di calzolai al deschetto (piccolo piano di lavoro), che associando una nota di affascinante colore ammiccavano sbriciolati lungo la via Cavour. Dominavano Valenza, questa strada e i suoi rumorosi cortiletti, certi tipici venditori e lavoranti indipendenti: l’anciué, il pesé, l’spasacamì, i venditori di ghiaccio, di sirass, di soda e sapone, il gelataio in triciclo. Ma non mancavano anche allora in via Cavour (un secolo fa) i laboratori di oreficeria. Nei secoli XVI-XVII, quando la città apparteneva a poche famiglie, le case di questa via erano, nella quasi totalità, di proprietà degli Stanchi.
Nel rione Valletta (appellativo oggi quasi sconosciuto), e precisamente all’angolo tra via S. Martino e via Cavour, verso la fine Ottocento, i fratelli Scalcabarozzi già gestivano un’importante fabbrica di gioielleria che era seconda per quantità e qualità soltanto a quella del caposcuola Vincenzo Melchiorre.
Tra i più rilevanti punti di riferimento del quartiere c’è un piccolo capolavoro architettonico, che numero uno era e tale rimane, è l’antica chiesa di Santa Caterina adesso San Bartolomeo, in largo Lanza incrocio tra le vie Banda Lenti, Cavour e Alfieri. L’Oratorio di San Bartolomeo è oggi considerato il corpo più antico dell’intera città, sospeso tra quello che era e che non potrà più essere. La struttura è stata costruita negli ultimi anni del Cinquecento dalle Monache Benedettine accanto al loro sontuoso convento.
Il rione dell’Annunziata
Questo rione prende il nome dalla chiesa, sita in via Pastrengo e via Cavour, un tempo monastero di suore agostiniane, attualmente tenuta dalla confraternita di S. Rocco. Esso comprende le vie Palestro e Pastrengo, la via Cavour dalla via Pellizzari al bastione prospiciente la strada che porta al fiume, il vicolo Belloni e il tratto della via che va da viale Vicenza al fondo di via Po. Nessuna trasformazione è avvenuta nei vecchi edifici eccetto qualche opera di riassestamento in certi spazi aperti. Solo piccole abitazioni basse e fresche chiuse tra viuzze e cortiletti di tempi lontani, con due edifici importanti di alcuni secoli fa(del Barone Don Alberto Tarony e degli Annibaldi-Biscossi):paionospazi per riprendere fiato e raccogliere le energie. Nel medioevo scendendo al fiume si incontrava Borghetto una piccolissima frazione che la piena del fiume e il porto fluviale fecero poi sparire.
In questo rione già nella seconda metà dell’Ottocento comparivano diversi laboratori di oreficeria. In casa Botero (via Cavour angolo via Pellizzari) pare vi fosse la fabbrica del primigenio orafo Carlo Bigatti che in ordine di tempo venne poco dopo quella di Vincenzo Morosetti. Laddove era situato a fine secolo anche la bottega orafa di Francesco Giordano. Nel 1896 operavano due consistenti aziende orafe con una diecina d’operai e precisamente nella casa Saccaggi quella di Pietro Bavera e nel palazzo Biscossi quella di Pier Felice Marchese e Massimo Gaudino.
Il monastero fondato da alcune pie zitelle che vivevano insieme sotto l’invocazione di Maria SS. Annunziata è stato costruito tra il 1431 e il 1443 nella zona dell’attuale parco Trecate. Distrutto dalle bombe nell’assedio del 1696, le monache agostiniane fuggirono e si ricoverarono presso l’ospedale e la chiesa del Santissimo e li accanto rimasero costruendo la nuova chiesa, mentre la vecchia fu ridotta ben presto a granaio.
La nuova chiesa della SS. Annunziata (oggi detta di San Rocco) è iniziata nel 1699, consegnata dal governo francese alla confraternita di San Rocco ad inizio Ottocento, viene data nel 1835, con il convento, ai Camilleri (Ordine degli infermieri) che la tengono sino al 1866. Da questa data viene affidata nuovamente alla Confraternita di San Rocco. È uno dei più pregevoli monumenti sacri di Valenza, con una facciata in barocco piemontese ed un vistoso campanile.
E ricordiamoci sempre che, prima di noi, ci sono stati tanti altri.