Valenza durante il regime fascista
Un nuovo approfondimento dello storico Maggiora
VALENZA – Dopo il 4 novembre del 1918, a guerra finita, è cambiato il volto del vecchio continente. Mentre quasi tutti sono divenuti entusiasti veterani della Grande Guerra, compresi i molti che l’avevano tenacemente avversata e parecchi “prodi” imboscati, la vittoriosa Italia è povera, squassata in ogni sua componente economica e sociale, e il governo non è in grado di superare i contrasti politici. I partiti non riusciranno a trovare possibili forme di collaborazione tra loro e in questo clima poco celestiale si affermerà il Fascismo, creato da Mussolini nel 1919. Il periodo che seguirà sarà quasi una continuazione del conflitto. Che riprenderà nel 1940.
Durante la Grande Guerra, l’attività orafa è quasi sospesa (37 fabbriche su 41 chiuse), insostenibile l’approvvigionamento dei metalli preziosi (rarefatti e saliti di costo) e delle pietre ma, al termine del conflitto, il risveglio è veemente, quasi un recupero del tempo perduto. È super boom per i gioielli. Con l’oro dato a committenza in conto-lavorazione, molti diventano orafi a domicilio per soddisfare la crescita del mercato; col tempo saranno nuovi artigiani produttori.
Tanta manodopera femminile trova occupazione nella pulitura dei gioielli; sale l’entusiasmo e l’impegno. Qui non c’è la frattura fra imprenditori e operai, poiché è sempre minima la differenza tra l’artigiano orafo e il suo dipendente. Vivono negli stessi luoghi, frequentano i medesimi locali e lavorano negli stessi spazi. Solo la sinistra estrema (finché esiste) ritiene che in ogni imprenditore si celi uno sfruttatore degno di castigo.
Nel 1923 a Valenza ci sono 64 aziende orafe con 376 operai (nel 1925 sono già 800), 40 tomaifici-calzaturifici con 863 operai, 1 filanda con 147 operai (F.lli Ceriana), 2 fornaci, 4 sarti, 5 panetterie, 3 alberghi e 2 banche (Agricola, Commerciale). Tra il 1920 e il 1930, le aziende orafe aumentano fino ad essere quasi 300 con 2.000 occupati circa alla fine degli anni trenta e più di 100 sono i commercianti-viaggiatori. Nelle aziende si lavora in media otto ore al giorno, i “garzoncini” un po’ di più. Sono tempi in cui nei giovani c’è ancora l’ambizione d’imparare un mestiere. In ambito sportivo nazionale emerge il più celebre calciatore valenzano: il portiere Clemente Morando.
Nel novembre del 1919, dopo l’infausto conflitto, sono diversi i gruppi politici che si affrontano nella nuova consultazione elettorale a sistema proporzionale. C’è il nuovo Partito Popolare, appena fondato da Luigi Sturzo dopo anni d’astensionismo, Valenza ha già la propria sezione (è denominato spregiativamente “PiPi” dai socialisti) ed il suo giornale “Corriere del Collegio di Valenza” (sorto sin dal 1915 e chiamato dagli oppositori il “Corriere dei preti”). Uno dei “pionieri” del nuovo partito in provincia è il valenzano Pietro Staurino. Nella Circoscrizione elettorale alessandrina la radice laico-socialista non viene a meno: è un successo con ben sei eletti, tra cui l’orafo valenzano, segretario della Camera del Lavoro di Alessandria e autodidatta Paolo De Michelis. La vittoria nuovamente ottenuta nelle amministrative comunale del 26 settembre 1920 consolida ancora di più il prestigio e l’autorevolezza dei socialisti valenzani: Oliva è confermato sindaco ma, dopo poco tempo, si dimette e viene surrogato da Giuseppe Marchese.
Il 28 gennaio 1921 si tiene un’affollatissima assemblea generale dei socialisti valenzani per ascoltare la relazione dei rappresentanti (Barge e Sacchi) reduci dal famoso XVII congresso del Partito Socialista di Livorno. Quasi tutti i vecchi iscritti sono per i riformisti di Turati e Treves, mentre un’esigua minoranza, che sostiene le tesi scissioniste di Gramsci e Bordiga, si distacca e fonda la nuova sezione comunista.
Dopo pochi mesi, con molto effetto scenico, viene costituito anche il Fascio valenzano che prelude al cataclisma e a una nuova lunga stagione di odio. Il segretario politico è Paolo Mantelli e il presidente, l’ex liberale Giovanni Merlani.
Mentre i fascisti si moltiplicano, i socialisti valenzani (Morosetti, Berge, De Michelis, ecc.), con torve ironie, guardano dall’alto in basso gli avversari e i nuovi compagni comunisti, in virtù di un primato che esiste nelle loro menti, più genetico che politico. Ora l’agitazione rivoluzionaria, ardente e inutile, dei massimalisti spinge sempre più a destra gran parte della borghesia e del mondo contadino valenzano, impaurito dalle minacce rivoluzionarie, ed accresce il sentimento generale d’incertezza sul futuro.
Le elezioni generali del 15 maggio 1921, sono quelle che ammettono il Partito Fascista nell’arco costituzionale.
La sera dell’8 giugno del 1921, nei pressi del Circolo Comunista di Via Magenta, in una sparatoria, viene ucciso con un colpo di fucile da caccia il giovane squadrista alessandrino Vincenzo Alferano. Nell’attentato è coinvolto anche il segretario del Fascio locale Mantelli, ferito ad una gamba. Le circostanze dell’omicidio rimarranno misteriose, anche dopo tre processi e molti arresti. Ma siccome i fatti hanno la testa dura, i camerati non lasciano sfuggire l’occasione e, a seguito di quest’avvenimento, si scatena la violenta reazione delle squadracce fasciste che giungono in città dai paesi vicini, con bastonature, ferimenti e olio di ricino. Il Circolo Comunista e la Camera del Lavoro sono incendiati e quasi distrutti, anche i consiglieri comunali socialisti subiscono violenze, finché il sindaco e la giunta danno le dimissioni. Il glorioso giornale socialista valenzano “La Scure” cessa la pubblicazione e il 10 luglio, a consacrare il passaggio alla nuova era, viene pubblicato il primo numero del settimanale locale fascista “La Mazza”. Sarà diretto per un certo tempo da Aldo Marchese (nel 1926 Segretario provinciale del Partito fascista) e redatto dal segretario politico locale e giornalista Mario Alberto Tuninetti.
Il 18 giugno del 1922 si tengono nuovamente le elezioni amministrative comunali. La sensazione generale è quella di partecipare non ad una competizione ma ad un funerale. I socialisti e i comunisti non sono in condizione di presentare una loro lista. I popolari minacciati più volte sono costretti ad escludersi dalla competizione; è quindi presentata la lista del Blocco (fascisti e liberali) e una lista strumentale d’ex combattenti senza possibilità d’effetto, appoggiata dallo stesso Blocco. Il capolista Rolandi ottiene 1.842 voti, gli ex combattenti diventano la minoranza a favore. L’affluenza alle urne è stata scarsa, superato di poco il 50%. Viene eletto sindaco Luigi Vaccari: ex sindaco liberale-agrario (dal 1905 al 1910), si segnalerà come importante esponente della corrente agraria del fascismo. Di rigorosa integrità morale, diventerà Presidente della Deputazione Provinciale dal 1924 al 1928 e dal 1934 al 1936, Podestà di Valenza dal 1925 al 1928 e dal 1936 al 1940, di Alessandria dal 1928 al 1933.
Nelle elezioni politiche del 1924, preparate e vinte dal listone fascista (374 rappresentanti alla Camera), anche a Valenza si verificano brogli, intimidazioni ed interferenze, ma prevale lo stesso la lista massimalista che ottiene ben 1.736 voti contro i soli 106 della lista fascista ed i 70 comunisti. Il vibrante atto d’accusa contro i metodi violenti costerà la vita a Giacomo Matteotti.
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Nel 1925-26, con le leggi fascistissime, Mussolini procede a costruire la dittatura: sono aboliti tutti i partiti all’infuori di quello fascista, sciolti i sindacati socialisti e cattolici, soppressa la libertà di stampa. Molti coraggiosi politici locali sono stanchi e se ne vanno, svaniscono come vecchi soldati, escono dalla scena in un momento dei più agitati. Tanti s’imbarcano giulivamente sul nuovo treno. I socialisti ed i comunisti vedono travolta la loro ideologia e non sono in grado di superare le rigidità e le asprezze dei tempi. Pure i popolari sono ormai guardati con sospetto e spesso maltrattati; con modi bruschi e sbrigativi, viene comandata, al suo giovane presidente Luigi Deambroggi, la chiusura del Circolo Giovanile Cattolico Pio X nell’Oratorio (30.05.1931).
Nel 1925 Valenza ha 10.500 abitanti, il reddito pro-capite ed il tenore di vita non è male per i tempi. Girano poche auto e qualche moto, il mezzo di trasporto più usato, anche per alcuni viaggiatori orafi, è la bicicletta. Tramonta il mondo tradizionale, le donne hanno scoperto il rossetto, lo smalto, le calze di seta e la gonna al ginocchio, si pettinano alla Greta Garbo. Non hanno pari opportunità rispetto agli uomini, ma non sembra dispiacerle tanto. Anche qui, come in tutto il Paese, funziona una parata di propaganda volta ad esaltare il Duce, scambiando lo Stato con una ridicola retorica. I vicini invidiosi cominciano ad insinuare della boria e dell’albagia dei parvenu valenzani: durerà sino ai nostri giorni. Col tempo diventeremo più ignoranti e al tempo stesso un po’ più arroganti, diversi invece si crederanno sempre intelligenti e furbi.
I lavoratori italiani sono divisi per circa 1/3 nell’agricoltura, 1/3 nell’industria ed 1/3 nel terziario: a Valenza 1/4 nell’agricoltura, 2/4 nell’industria ed 1/4 nel terziario.
Esiste già in questi tempi un’associazione orafa, presieduta da Pietro Caniggia e dal vice presidente Carlo Illario. E’ una piccola rappresentanza che si riunisce in una stanza in via Roma e cerca di portare avanti presso il Ministero dal Lavoro mussoliniano le istanza delle imprese orafe locali.
Nel decennio 1931-40 le imprese orafe vengono però progressivamente ridimensionate e gli operai non hanno più il lavoro garantito tutto l’anno; diverse sono costrette a chiudere e alcuni commercianti falliscono. L’industria della calzatura invece non ha cali e nel periodo 1931-35 le cose vanno molto bene, grazie alle commesse militari in preparazione alla guerra d’Etiopia. Diverse imprese riescono ad estendersi introducendosi validamente sui nuovi mercati così Valenza diventa un centro all’avanguardia nella produzione calzaturiera, con articoli d’alta qualità. Ci sono anche alcune importanti aziende in altri settori come il grande magazzino di commercio agricolo “Barbero”, la ditta di costruzione di botti e fusti “Giovanni Graziano” con 40 dipendenti, la “Ferriere Cima Giuseppe” con 25, la “Distilleria COOP Vinacce” con 10.
Nel 1930 la filanda F.lli Ceriana è ormai giunta alla fine. Le centinaia di giovani ragazze smunte costrette a questo faticoso lavoro, in passato fino a 12 ore il giorno, restano solo un imbarazzante e triste ricordo, anche se a Valenza la lotta per il profitto non si è quasi mai accompagnata ad una visione limitata e cinica dell’essere umano. Il baco da seta è stato a lungo la risorsa stagionale dei contadini locali, che raggranellano qualche soldo con la sfogliatura dei gelsi invadendo la casa di stuoie brulicanti di vermi voraci, e poi di rami ai quali si appendono i bozzoli gialli. Il grano è raccolto in covoni e trebbiato in cortile per diversi giorni con una trebbiatrice imballatrice tradizionale azionata a puleggia di trattore. Nel 1931 è costruita la sede della Società Canottieri Valenza (realizzatore Ettore Pavese), nel 1934 si costruiscono i primi campi da tennis e la Colonia Elioterapica Estiva dal fiume Po si trasferisce al Campo sportivo, nel 1935 si tiene a Valenza il Congresso Eucaristico con la partecipazione di 13 vescovi.
Nel 1936, mentre alla Casa Bianca siede Franklin Delano Roosvelt, che affronta la crisi economica col suo new deal ed in Germania Adolf Hitler è da soli tre anni al potere, il Duce fonda l’Impero, l’Italia fascista conquista l’Etiopia (4 le vite valenzane sacrificate). Gli italiani lo ascoltano con le orecchie e col cuore, il cervello riposa. La folla ormai ha perso il senso delle proporzioni e del grottesco, Mussolini invece inventa miti ai quali finisce col crederci. L’occidente che non vuole capire la vera natura della minaccia fascista e tedesca, perderà i propri stessi fondamenti nel conflitto che verrà.
Le manifestazioni studentesche non si contano: tutte comandate o ispirate dal regime, e i giovani valenzani, immaginarsi, ci stanno, un po’ perché suggestionati dalla grancassa della propaganda patriottica e un po’ perché “marinare” la scuola è sempre stato l’obiettivo goliardico dei giovani. Urlano slogan un giorno contro la Jugoslavia per Fiume, un giorno per perfida “Albione”, per Nizza e Savoia, ecc. Le parole straniere sono italianizzate con esiti spesso comici. Si premia chi fa figli e si tassano gli scapoli (questo forse servirebbe ai giorni nostri). Nell’a.s. 1932-33 alle elementari ci sono 754 alunni.
Ma i trionfi del fascismo a Valenza sono salutati solo prosaicamente, a chiacchiere, perché in realtà non interessano più di tanto. È solo un fascismo sfarzoso e conformista, da parata e da carriera, svuotato di passione e rivolto ad una meccanica ripetizione di rituali e di parole spesso disgiunte dal loro contenuto. Molta anche la falsità che l’interesse detta e che la credulità incoraggia. I valenzani sono circa 13.000; pare non ci sia altra canzone che “faccetta nera-bella abissina”, diversi hanno in casa la grossa radio (costo circa 1.200 lire). Lo stipendio mensile di un buon orafo è di mille lire (valore d’oggi circa 1.000 euro), come il sogno espresso dall’altra canzone tanto in voga, molto più d’ogni altro operaio italiano. Ecco perché molto più avanti diversi pronunceranno l’usuale locuzione “si stava meglio quando si stava peggio”. Funzionano, ormai con il sonoro, il cinema Politeama Gervaso, quello estivo “Mazzini” e il Teatro Sociale (ampliato a celebri rappresentazioni dal vivo).
Il mese di luglio, con la festa patronale di San Giacomo, è un periodo d’abbondanti giochi, divertimenti, transazioni ed esposizioni agricole, con un vero campionario di baracconi e bancarelle, anche se le sanzioni economiche all’Italia, votate dalla Società delle Nazioni (18.11.1935) per l’aggressione all’Etiopia, e applicate con cautela e molti compromessi dalle altre nazioni, causano qualche ristrettezza in alcuni generi di consumo (e pure per i gioielli). Il Duce disegna l’Italia proletaria vittima delle demo-pluto-giudaiche potenze europee e lancia l’appello per l’oro alla patria (si consegna la fede nuziale, sostituita con un’altra d’acciaio).
Viene inaugurata l’era dell’autarchia: le auto a carbonella, le fibre, il terital. Nasce l’industria chimica italiana, a distruggerla ci penseranno i governi degli anni 70-80. È il tempo della gloria, un’epoca che oggi sembra primordiale.
Le elezioni del 1934, diventano una votazione unanime per il regime. Sono ridotte ad una farsa, se non tragedia: a Valenza i NO totali sono ben 7, anche individuati per la trasparenza della busta in cui l’elettore deve inserire la scheda votata (SI’ o No alla lista proposta) e per questo, soggetti quasi disposti, come apostoli, al “martirio”. I camerati si danno il premio di consolazione: “Valenza è fascista”. Balle, Valenza è sempre li, ferma, speranzosa di salvare quello che ha, e molto spaventata.
Il 20 settembre 1936, con una grande festa, viene inaugurato il mercato coperto (il primo supermercato alimentare valenzano, ai nostri tempi ripudiato dopo lenta agonia. Nel 1938 il Comune di Villabella sceglie di passare sotto l’Amministrazione di Valenza.
I segretari del Partito Nazionale Fascista sono stati: Marengo, Merlani, Mantelli, Visconti, Marchese, Raselli, Tuninetti, Bellingeri, DeAmbrogio. Sono stati Podestà, istituiti dal fascismo in sostituzione del sindaco: Luigi Vaccari (dal 1925 al 1928), Mario Soave, Eugenio Grassi (dall’agosto 1934), Anselmo Ceva (dal 1936), Aldo Zacchetti (dal 1941).
Nel novembre 1940, si svolge l’imponente inaugurazione delle scuole “Costanzo Ciano” alla presenza del ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. L’opera è costata 4 milioni. L’edificio contiene le scuole elementari con 698 alunni, l’avviamento professionale con 120 alunni, la scuola artigiana serale con 132 allievi e i rifugi antiaerei capaci di 1.200 persone.
La Seconda Guerra Mondiale scoppia nel 1939 ed assume un’espressione planetaria. La volontà spiritata di un dittatore invasato, sciaguratamente seguito da un popolo “bue di miti sentimenti” obbediente, induce al conflitto anche genti e Paesi che di far la guerra non tengono alcuna voglia. Pure a Valenza il conflitto porta tanta sofferenza, tra il caos che regna sovrano. La povertà di tutto, l’oscuramento, la cartolina rosa, i bombardamenti, gli annunci dei primi Caduti, Peppino l’aviatore notturno, le tessere dei pochi generi alimentari, i sacrifici e le privazioni, gli sfollati, il pane nero, la posta censurata, la borsa nera, le macellazioni clandestine, la confisca del bestiame, il sale irreperibile, il tabacco in foglie, i renitenti alla Leva.
Il 12 settembre 1944, questa città diviene teatro di una delle più atroci azioni nazifasciste. Ben 27 partigiani della Banda Lenti, catturati nei pressi di Grazzano Monferrato, poi Badoglio (località Madonna dei Monti), vengono uccisi dietro il cimitero della città e la mattina del 25 aprile 1945, mentre le truppe fasciste del IV Corpo d’Armata Lombardia stanno tentando una ritirata verso la Lombardia, si compie, infine, uno degli atti più tragici della Resistenza valenzana. Tre partigiani valenzani, Mario Nebbia, Carlo Tortrino e Giovanni Valeriani, sono fucilati (località “traghetto del Po) da una colonna di Brigata Nera. Si salva miracolosamente Giuseppe Nebbia, anch’egli messo al muro.
Il 29 aprile arrivano gli angloamericani e i valenzani osannanti festeggiano la fine del regime, per alcuni voltagabbana sconfessando qualsiasi loro dimostrazione d’adesione ai miti del fascismo, fingendo di mostrarsi puri e salendo a forza sullo stipato carro dei vincitori.