Liberazione di polemica: contestazione al sindaco Riboldi
Parte del pubblico interrompe l'evento durante l'intervento del primo cittadino
CASALE – Dopo il lungo codazzo di polemiche che aveva fatto seguito alle celebrazioni per l’eccidio della Banda Tom lo scorso gennaio (leggi anche qui, qui, qui qui e qui)il sindaco di Casale Federico Riboldi era in qualche maniera atteso al varco in occasione della festa di Liberazione, celebratasi questa mattina alla Cittadella di Casale.
Oggi, sebbene le sue parole non siano state del tenore di quelle pronunciate pochi mesi fa, quando non era stato menzionato il fascismo nel corso dell’intervento, la contestazione di una parte dei presenti alla cerimonia è stata rapida e rumorosa.
La giornata si era aperta serenamente. Moltissimi presenti, con l’area esterna della Cittadella contemporaneamente teatro di un evento motociclistico riservato ai ragazzi. Moto ferme alle 11 per il momento ufficiale, con la lettura dei nomi dei 47 partigiani monferrini a cura del presidente dell’Anpi Gabriele Farello e la deposizione della corona d’alloro alla lapide dei martiri della Tom.
Poi ha preso la parola il primo cittadino: «L’Italia conobbe una guerra di occupazione e lotta fratricida, una guerra di liberazione patriottica che unì sensibilità diverse. L’attuale assetto politico è figlio di chi ha combattuto nazismo e fascismo. Riconosco gli errori imperdonabili della parte soccombente ma chiedo di rispettare tutte le vittime».
Su questo passaggio sono iniziati i rumoreggiamenti degli spettatori – nelle quali era nutrita la presenza di esponenti della maggioranza e membri della giunta oltre che della minoranza Pd – Particolarmente inviperito Roberto Quirino, già assessore e membro dell’assemblea regionale di Sinistra Italiana.
La cerimonia si è interrotta per un attimo a causa dei “booo”, poi Riboldi ha ripreso invitando all’unione nei valori scaturiti dalla Liberazione ma allo stesso tempo pietà per tutti i morti: «Sono a favore della riconciliazione». Le grida sono riprese più veementi di prima, e per un paio di minuti Bella Ciao ha interrotto la cerimonia, con animi sempre più caldi tra alcuni degli spettatori.
Quindi la celebrazione è ripresa con l’intervento di Gabriele Farello che ha salutato Germano Carpenedo, all’ultimo evento ufficiale da presidente del Comitato Unitario Antifascista e ha ricordato l’importanza dell’opera dei partigiani nella nascita della Carta Costituzionale invitando anche alla liberalizzazione dei brevetti sui vaccini: «Che siano per tutti e non per pochi».
Poi, più nel merito della Liberazione ha citato Italo Calvino sgombrando il campo dai tentativi di equiparazione delle fazioni e dei loro crimini: «Dietro il milite delle brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta».
Ha concluso Germano Carpenedo: «La giovane età non può influire sul giudizio di certi fatti. La riconciliazione non può prescindere dal riconoscimento dei propri errori. Il 25 aprile 45 fu festa e speranza, ora la speranza in ni è assente, una speranza collettiva di modificare la realtà nell’interesse generale. Oggi sia festa per la comunità ritrovata in desideri e progetti comuni».
A cerimonia ultimata poi, qualche momento di polemica c’è ancora stato, all’uscita della Cittadella. Quirino e Riboldi hanno alzato la voce nel parcheggio di piazza d’Armi. Qualche parola di troppo ma poi, fortunatamente, nulla più.
L’INTERVENTO INTEGRALE DEL 25 APRILE DEL SINDACO FEDERICO RIBOLDI
Questo venticinque aprile è il secondo che celebriamo in regime di restrizioni sanitarie.
Stiamo vivendo un’esperienza che ovviamente mai avremmo immaginato: distanziamento sociale, gerarchia degli affetti, interdizione di baci, strette di mano e di abbracci. Una riduzione all’essenziale delle manifestazioni di affettività e delle relazioni sociali che, spero, quando ritorneremo alla normalità ci farà apprezzare l’importanza di sentirci una comunità e di coltivare i nostri legami.
Ho voluto fare questa premessa, perché mi sarebbe parso irriverente in questo particolare frangente non dedicare un pensiero sincero a chi ha sofferto e a chi continua a soffrire, ai sanitari e volontari impegnati in prima linea, unitamente alla mia particolare sollecitudine per la ricostruzione, la seconda grande ricostruzione che interesserà il nostro paese dopo l’enorme, generoso sforzo compiuto a partire dal 25 aprile 1945, quando un popolo immaginò un nuovo assetto democratico e con convinzione, pazienza e perseveranza lo realizzò.
L’Italia, come molte altre nazioni, conobbe la guerra, l’occupazione , le restrizioni alla libertà e la lotta fratricida.
Seppe tuttavia anche differenziarsi in azioni del tutto originali, per il momento storico che stiamo trattando, come il temporaneo armistizio siglato tra i partigiani alpini cattolici delle Fiamme Verdi e la Divisione Alpina Monterosa per la difesa della Valle D’Aosta dalle mire espansionistiche della Francia gollista.
A distanza di settantasei anni, la memoria degli eventi e la lezione della storia sono più vive che mai, segno del fatto che i tanti che hanno vissuto la guerra di liberazione hanno saputo tradurre in ammaestramento morale e civile la propria esperienza di vita in modo efficace e durevole.
Possiamo quindi dire, che sono stati padri di vero esempio per i figli.
Amo definire questa guerra non solo di liberazione. È stata una guerra patriottica, prima di tutto, in cui sensibilità molto diverse tra loro hanno dimenticato le reciproche divergenze per unire le forze e liberare la nazione.
Ha prevalso una parte molto articolata al suo interno e composta da chi aveva convinzioni liberal-democratiche, o social-liberali, o più marcatamente conservatrici e persino monarchiche, da chi si identificava nella social-democrazia o nel cristianesimo-democratico fino a chi credeva nel socialismo reale o vedeva nel totalitarismo un possibile modello per la ricostruzione dell’Italia.
Si sono confrontate due visioni, due concezioni di Patria, e chi ha combattuto onestamente per l’una o per l’altra parte (tenendo presente che nessuna guerra è giusta) sicuro delle proprie ragioni o perché convinto di allontanare il pericolo di un asservimento della nostra nazione a potenze straniere, va rispettato, ricordando, in ogni caso, che l’attuale assetto democratico è figlio di chi ha combattuto il nazismo e il fascismo.
Voi tutti ben conoscete la mia storia politica. Appartengo ad una generazione lontana dai fatti che oggi celebriamo, una generazione che ne ha sentito parlare. Scevro da esperienze dirette, che potrebbero condizionare il mio modo di leggere i fatti, riconosco gli errori di una parte, quella soccombente, errori imperdonabili e il merito dell’altra di aver reso la nazione libera da nazismo e fascismo.
Al tempo stesso, chiedo a tutti a nome di una memoria condivisa di ricordare con rispetto le vittime di entrambe le parti, anche le moltissime perseguitate e uccise dopo la fine della seconda guerra mondiale, e considero la Festa della Liberazione quale occasione per apprezzare che la conservazione ed il rafforzamento della democrazia, che il ripudio di ogni conflitto come strumento di risoluzione delle controversie tra nazioni e come mezzo per concretizzare aspirazioni imperialistiche siano i tratti comuni di ogni nazione civilizzata.
Ci uniscano quindi l’amore per i valori scaturiti dalla Guerra di Liberazione ma anche la pietà per i morti, sia essa intesa in senso cristiano, sia essa concepita come atteggiamento di laico rispetto per la vita umana, perché solo da una sana cultura della riconciliazione, che il tempo e la serenità del giudizio storico possono agevolare, può derivare beneficio alla nostra democrazia e alla nostra repubblica che vogliamo libera, sovrana e indipendente.