I Francescani a Valenza
VALENZA – Alla morte nel 1226 di San Francesco, l’ordine da lui fondato si divide in due rami: gli “spirituali” (vita ascetica) ed i “conventuali” (via conventuale e cura delle anime). Ma già nel 1220 nella nostra zona erano presenti Padri Francescani che pregavano nelle piazze e nelle strade sollecitando le coscienze ad una vita cristiana. Sembra che nel 1213 il poverello di Assisi abbia addirittura soggiornato in Alessandria durante il suo viaggio in Spagna.
I Francescani
Nel 1229 i Francescani (o Frati Minori Conventuali, un ordine inquieto e ingombrante per qualcuno) si stabiliscono nella nostra città. Ottengono subito un enorme successo poiché sanno parlare alla gente e offrono un’idea nuova del messaggio cristiano.
Tutti i momenti della vita medioevale sono impregnati di religione che appare come l’unica forza pura e purificatrice, capace di aggregare la credulità popolare che non può essere spiegata solamente dalla funzione consolatoria delle credenze religiose.
Sulla creazione di una chiesa e di un convento francescano a Valenza vengono, poco chiaramente, indicate date diverse: 1229, 1322, 1239. La cronistoria più verosimile ci fa propendere per una primitiva piccola chiesa romanica sorta nel 1239 e poi, accanto e su di essa, una suntuosa basilica iniziata nel 1322 e conclusa nel 1332 con la costruzione attigua di un convento; il tutto al centro della nostra città (ora piazza Verdi-Teatro Sociale) all’intersezione degli assi rettori della struttura urbana. Finanziatore determinante il ricco mecenate valenzano Giovanni Aribaldi (morto nel 1334), sembra sia stato un vicario del re di Sicilia Roberto d’Angiò, sicuramente è un personaggio decisivo per la politica angioina nella guelfa Valenza. Gli Annibaldi o Aribaldi sono una nobile famiglia valenzana, forse di origine germanica, che darà una lunga serie di personalità di rilievo a questa città.
Uno stuolo di artigiani e costruttori deferenti al patrocinatore opera alla costruzione e decorazione del convento e della chiesa valenzana di San Francesco.
La capiente struttura monacale, che pare sia stata cominciata ancora prima di finire la chiesa, dispone di 33 camere da letto; i monaci conventuali si troveranno sempre a loro agio in questo luogo e, coinvolti in attività sociali ed economiche, riceveranno continuamente cospicue donazioni. Nei secoli XV e XVI questa facoltosa comunità religiosa possiede terre coltivate in Lomellina, estesi vigneti a Valenza, masserie e diverse botteghe. Del resto, per questa comunità francescana sembra che la ricchezza e il profitto siano segni espliciti della grazia divina; pare un tradimento dall’originario ed autentico retaggio francescano, pur girando col sobrio saio a forma di sacco, con maniche larghe e legato alla vita con un cordone.
La grandiosa chiesa, di architettura gotica lombarda, ha tre navate e tre porte corrispondenti, due chiostri circondati da portici, uno di clausura per i frati e l’altro accessibile al pubblico. All’interno del tempio saranno inseriti numerosi altari addossati alle pareti e in parallelo dei sepolcreti per accontentare le famiglie benefattrici (Gattinara, Aribaldi, Battaglieri, Biscossa, Bocca, Guazzo, Selvatico, Stanchi, Tarone, Del Pero). La sepoltura dei laici sarà uno degli elementi più contrastati nei rapporti tra i frati e il clero locale.
Il complesso religioso occupa l’area dell’attuale piazza Verdi, adiacente a corso Garibaldi (la “contrà granda”), che va da Porta Po a Porta Astiliano (Astigliano) poi Alessandria, tra quelli che sono oggi piazza Verdi, il Teatro e Palazzo Pastore (probabilmente una parte del convento originario) e incrocia con la contrada San Francesco, che va da Porta Casale a Porta Bassignana, le attuali via Cunietti, via Garessio, via Banda Lenti. Mentre ove ora si trova il Teatro si rinviene la sagrestia e l’educandato.
Più istruiti dei popoli, più aperti alle novità, questi monaci valenzani rappresentano dei portatori di sapere e di applicazioni pratiche, capaci di parlare alle persone in maniera diretta. Svolgono spesso un ruolo politico decisivo nel Periodo Comunale, non soltanto di sostegno, ma di concreta collaborazione amministrativa e decisionale, compresa l’ospitalità per le assemblee nella chiesa e nelle sale del convento. Un legame stretto, ma parimenti disincantato e spesso fatale per qualche governante.
Nonostante tutto, però, sono più amati del clero che qualche volta non rispetta neanche le regole più ordinarie. Il lavoro dei monaci è paziente e sistematico grazie alle ferree regole francescane. Alla loro espansione concorrono i signori locali del tempo, impegnati a ritagliarsi piccoli e grandi spazi per sopravvivere a se stessi, con elargizioni che frequentemente sono accompagnate dall’ingiunzione di nominare priori degli abatini appartenenti al proprio casato, in virtù di una “raffinatezza e superiorità morale” derivata solo alla posizione sociale.
Tra le figure più prestigiose di questi monaci, che darà lustro al convento, c’è Padre Antonio I De Aribandis (un Aribaldi). Una guida fiera e autorevole, nominato vescovo di Gaeta (dal 1341 al 1347) e incaricato di importanti ambascerie; sempre verso fine Duecento ha sicuramente rapporti con i francescani locali il Beato Gerardo Cagnoli (1267-1342), un valenzano che, dopo un pellegrinaggio attraverso l’Italia, raggiunge fama di santità tra i frati minori in Sicilia.
La peste ha investito questo territorio nel 1189 e questa è stata solo la premessa al peggio che stava per arrivare. Valenza viene nuovamente colpita da carestie e pestilenze, con centinaia di morti, negli anni 1222, 1234, 1259, 1271, 1314, 1339, 1348, 1357, 1360, 1371.
Oltre che moniti e preghiere, per frati e preti diventa indispensabile la loro assistenza ai poveri e agli ammalati.
Nei secoli seguenti Il popolo valenzano partecipa sempre in gran numero alle cerimonie e alle feste religiose; la gente conserva una necessità assoluta della religione. Salvare la propria anima e raggiungere il paradiso è l’obiettivo fondamentale di ognuno e solo attraverso i frati maggiormente investiti è più facile raggiungere questo scopo.
Dopo la breve occupazione francese e il saccheggio della chiesa francescana del 1557, Valenza torna ad essere una sorta di colonia spagnola. Eccetto il Duomo, il convento di San Francesco dei Minori Conventuali è la maggiore presenza ecclesiastica in città, anche se, causa le incessanti belligeranze, nel periodo offre ospitalità a soli 12 religiosi (prima più del doppio), benché vi sia la possibilità di ospitarne tre volte tanto. Alcuni guardiani in questi anni sono Giulio da Cremona, Francesco Battaglieri, Battista da Ceva.
Invece nel ‘700 crescono perplessità in molti valenzani sull’efficacia della religione e sulla buona fede del predicatore, almeno di quella che si tramuta in professione. Molti frati si sentono ormai messi da parte, se non sacrificati, e tirano avanti con privazioni, anticamera di una crisi che andrà piano piano estendendosi nel futuro.
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Nel 1800 a Valenza arriva nuovamente (1796) Napoleone (nella villa Voglina pare abbia messo a punto i piani per la battaglia di Marengo). Ma testardamente i “mangiapreti” Francesi ben presto chiudono San Francesco (settembre 1802) e i suoi beni sono alienati. Il monastero soppresso nel 1804 viene affittato per abitazioni, la chiesa diventerà ricovero di foraggi, consentendo al Comune un profitto di 1.000 lire all’anno.
Dopo la Restaurazione tutta l’opera viene con lentezza recuperata e assegnata al Demanio Piemontese. La Parrocchia valenzana viene aggregata alla Diocesi alessandrina diventandone la più importante, ma perde il Vicariato Generale. Poi nel 1839 si decide di riaprire la chiesa di San Francesco al culto stanziando 20.000 lire per i restauri, di cui un terzo a carico dell’Amministrazione comunale. La famiglia Annibaldi si dichiara disposta a versare la restante parte, anche se i tre rami, Annibaldi, Annibaldi Biscossa e Annibaldi (Arribaldi) Ghilini non riescono ad accordarsi sul patronato, ma la chiesa il 5-9-1842 prende fuoco e si salva solo una parte delle mura perimetrali (sembra che vi fosse già stato un incendio nel 1834).
Il 12 agosto 1848, reduce dalla disfatta di Custoza e la caduta di Milano, il “Re Tentenna” Carlo Alberto sosta a Valenza che accoglie i reduci feriti, gli sbandati e gli infermi nel complesso ormai degradato di San Francesco, mentre i feriti gravi sono ricoverati all’Ospedale Mauriziano. Poi, curiosamente, nel 1850 in alcuni locali del malconcio convento, funzionano le prime due classi femminili della scuola pubblica comunale.
Infine il triste epilogo; nel 1858 il Comune, mettendo fine a certe finzioni e a speranze ampiamente deluse, fa abbattere quanto rimasto e, dopo aver lottizzato l’area, forma un piazzale concedendo l’attiguo sedime del convento ad uso teatro (il Teatro Sociale, inaugurato nel 1861). La città perde così uno dei più belli e importanti suoi monumenti antichi.
Gli spirituali
L’eredità degli Spirituali è raccolta verso la metà del Trecento dal movimento degli Osservanti fedeli all’autorità ecclesiastica e questa divisione avrà ripercussioni anche nella nostra città gremita di frati. I Francescani sono quindi suddivisi in Frati Minori o Osservanti e Frati Minori Conventuali. Dal gruppo dell’Osservanza si staccheranno più tardi (1528) i Frati Minori Cappuccini, desiderosi di recuperare la forma di vita stabilita dal fondatore.
Seguono l’Ordine degli Osservanti grandi personaggi, come san Bernardino da Siena, che contribuiscono a conferirle prestigio e ad accrescerne le adesioni. Solerte è la devozione dei valenzani per Bernardino, il quale combatte la bestemmia, l’usura, la malafede, il giuoco e offre più giustizia verso i poveri e gli oppressi. Dopo la sua morte (1444) viene dato il nome ad una chiesa valenzana e nel 1500 ad una dinamica confraternita. Nell’epoca napoleonica subirà vessazioni ma, agendo spesso di rimessa e in favore del popolo, riuscirà a sopravvivere: è ancora attiva in via Cavallotti.
Alla fine del Cinquecento si stabiliscono a Valenza i Cappuccini (per il copricapo a forma appuntita) per volontà e finanziamento del conte Mercurino II (morto nel 1564), e poi dell’erede Alessandro Gattinara Lignana, affinché erigano un loro convento. Ma i 500 scudi del lascito non bastano e, dopo lunghe dispute e velenose polemiche, le più ricche famiglie valenzane provvedono con loro oblazioni ad assicurare i fondi necessari per costruire nel 1585 il convento e a soddisfare la popolazione locale che da qualche tempo invoca questi fraticelli. Gli abbienti benefattori della lodevole impresa sono: Basti, Lana, Annibaldi, Stanchi, Scotti, Bocca, Campi, Croce, Turone.
Da sempre, il più importante business per i religiosi è la morte; il benestante, con i suoi pii lasciti, cerca di anticipare il bisogno di intercessione per il Purgatorio, capitalizzando crediti di purificazione (sotto forma di benevole donazioni e con una locazione strategica della tomba nella chiesa) contro i debiti rappresentati dai peccati.
Dopo un anno (un record, confrontando i tempi odierni) il convento è pronto per accogliere un elevato numero di frati. La relativa chiesa richiede più tempo; in essa si celebreranno ben 10 messe al giorno. Il tutto si trova fuori la Porta Astiliano sulla strada per Alessandria e lì rimane per cinquant’anni fino ad essere completamente demolito dopo l’assedio di quasi due mesi subito nel 1635. Si afferma che il complesso è troppo adiacente alle mura e pregiudica il campo di tiro dell’artiglieria; per questo nel 1637 si impone un insolito paradigma: distruggere per ricostruire altrove. Su ordine del Governatore Leganes, viene abbandonato il complesso monastico e i religiosi si ritirano all’interno delle mura in piazza Statuto (località Colombina) dove erigono un nuovo convento con relativa nuova chiesa intitolata ai Santi Apostoli Simone e Giuda. All’epoca in Valenza si trovano quindi tre conventi e due monasteri con un numero ridondante di frati, monache e preti (quasi più religiosi che anime da salvare!).
Personaggio di rilievo tra i Cappuccini valenzani è Fra Gerardo, quasi un profeta medioevale; egli è nato a Valenza e dopo “profezie e miracoli” muore nel 1627.
Durante la terribile pestilenza del 1630, quella che in poco tempo minaccia di estinguere la popolazione valenzana, portandola in pochi anni da 4.500 a 2.000 abitanti, sono i Cappuccini locali a distinguersi e prodigarsi per alleviare le sofferenze e per l’assistenza nel lazzaretto. Hanno scelto il luogo e il compito più probo per un vero cristiano: quello occupato dai sofferenti. Tra questi benemeriti sono da ricordare padre guardiano Ludovico Bombelli e padre Francesco Dinina morti di peste, fra Onorato Cerreti, padre Sante Calcamuggi e il coraggioso prevosto del duomo Bartolomeo Bocca morto anch’egli contagiato. Il loro sacrificio è una rappresentazione tangibile della loro misericordia, mentre tanti sacerdoti (più di una trentina) e altrettanti frati “apertis verbis” hanno volto lo sguardo altrove, o forse sono rimasti a pregare affinché il contagio avesse fine.
Un ardente predicatore cappuccino valenzano, Massimo Bertana, scrive “La vita di San Massimo, Vescovo di Pavia e Patrono di Valenza- Cronologia della città” (il libro è pubblicato nel 1716).
Nel Settecento, nonostante i loro numerosi sforzi, lentamente e inesorabilmente si riduce l’attività di questi monaci Cappuccini, di uno dei conventi più importanti della città, che hanno sempre sostenuto i più deboli e poco disposti a genuflessioni nei confronti del dominante di turno, finché l’impietoso editto napoleonico ne segna la fine costringendoli a lasciare Valenza con rassegnazione. Dopo la soppressione, la chiesa sarà messa in vendita e dei nostri padri Francescani, che tanto hanno contato nelle vicende storiche e sociali di questa città, si perderanno per sempre le tracce. Fine della parabola.
Valenza nel ‘600: 1 Duomo-2 San Francesco-4 Convento Cappuccini-
A Castello-G Porta Alessandria (Astiliano)- C Porta Bassignana-W Porta Po.