“Sassi nello stagno”: alla ricerca del festival perduto
Sempre più, con il miglioramento delle condizioni sanitarie che hanno reso possibile la riapertura delle sale cinematografiche, possiamo dire che è tempo di festival cinematografici: da Cannes (6-17 luglio) a “Il Cinema Ritrovato” di Bologna (20-27 luglio), a Locarno (4-14 agosto) e a Venezia (1-11 settembre), le principali rassegne internazionali, come quelle locali ma ugualmente molto varie dal punto di vista dei contenuti (vedi il La Spezia Film Festival, in corso sino a luglio), mostrano nuova grinta e desiderio di ripartire.
Accade, però, che alcuni festival, pur amati, frequentati e fondamentali dal punto di vista dell’apporto che recano alla cultura cinematografica, si smarriscano nelle secche del tempo, finendo per venire dimenticati: una grave e irrimediabile perdita per il mondo degli studi di cinema.
C’era una volta uno tra i festival cinematografici più prestigiosi, innovativi e sperimentali degli anni Ottanta e primi anni Novanta, il terzo festival italiano in ordine di importanza dopo quelli di Venezia e Pesaro.
In origine noto come “Incontri cinematografici di Monticelli Terme” (la prima edizione risale al 1977), in seguito era diventato “Incontri cinematografici di Salsomaggiore”, poi “Salso Film & Tv Festival” e infine “Cinema art festival”: da lì sono transitati registi di altissimo livello e fama internazionale, da Jean-Luc Godard a Jim Jarmusch, da Pedro Almodovar, Aki Kaurismaki, Otar Ioseliani e Amos Gitai a Marco Tullio Giordana, Silvio Soldini, Marco Bechis.
Poi, nel 1991, la chiusura: da quel momento di questa manifestazione così importante si sono un po’ perse le tracce e, in parte, anche la memoria. Luca Gorreri, regista parmense, si è messo sulle tracce del festival dimenticato di Salsomaggiore Terme, rintracciando immagini di repertorio, documenti, testimonianze utili a ricostruirne la nascita, lo sviluppo e le ragioni della prematura fine.
L’esito di questo lavoro memoriale e d’indagine è stato il documentario “Sassi nello stagno” (2016), in cui tra gli intervistati troviamo Adriano Aprà, direttore del Festival fino al 1989, Patrizia Pistagnesi, Luciano Recchia, Enrico Ghezzi, Marco Melani, Christa Lang e Samantha Fuller.
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Del film e della travagliata storia del Festival di Salsomaggiore Terme abbiamo parlato con Luca Gorreri.
D. Per raccontare la tua carriera nel mondo del cinema, partiamo proprio dall’incipit, cioè dal tuo primo lungometraggio, “Sassi nello stagno”, che restituisce la giusta visibilità a un festival ‘dimenticato’, quello di Salsomaggiore Terme: com’è nato il tuo film?
R. Il mio film è nato da una chiacchierata con Stefania, compagna e complice, appunto a proposito del Festival di Salsomaggiore. Poi per curiosità, per approfondire l’argomento, feci qualche ricerca su Internet e trovai poco, molto poco. Le poche notizie sul Festival le trovai nelle bio-filmografie degli artisti che avevano partecipato ma da quel poco emergeva il carattere di un Festival unico per forma e contenuti. Il fatto che mi stupì di più fu di trovare poco e nulla nella biblioteca di Salsomaggiore e la reticenza di molti a parlare del Festival. Dopo alcuni mesi di ricerche, trovai gli organizzatori (Adriano Aprà, Patrizia Pistagnesi, Luciano Recchia) e molto materiale d’archivio datomi dagli autori che avevano partecipato e che ricordano con entusiasmo il Festival.
D. Alla luce dell’esperienza e delle informazioni che hai raccolto girando “Sassi nello stagno”, pensi che la cultura cinematografica abbia ancora la possibilità, nella nostra epoca digitale, di venire diffusa attraverso i festival?
R. In un mondo ideale la mia risposta sarebbe sì, ma purtroppo penso che i Festival che facciano realmente questo siano rimasti pochi. Il linguaggio cinematografico, così come lo conosco io, sta attraversando un periodo di contaminazione da televisione e web e contemporaneamente noto una perdita di spazi dove il linguaggio cinematografico si possa esprimere. I tempi e gli spazi si sono ristretti e, in tempi di mutamenti, appare il dubbio se doversi adattare o sparire. Paradossalmente il numero dei festival è aumentato, dal momento che è aumentato il numero delle opere grazie alla maggiore accessibilità data dal digitale, ma gli spazi per la cultura cinematografica diminuiscono perché le stesse opere risentono delle contaminazioni dalla televisione, dal web, da modelli esteri. La televisione in sé come strumento, come mezzo, non è da demonizzare, anzi, dovrebbe essere un sistema per far giungere a tutti la cultura, anche quella cinematografica, ma ormai la televisione e il web sono a mio avviso chiusi in se stessi.
D. Da cosa deriva la tua passione per il cinema documentario?
R. Diciamo che il cinema documentario mi dà più libertà di espressione rispetto a certi modelli attuali di cinema finzionale, sebbene il cinema di finzione quando è sperimentale e fuori dai canoni mi attiri molto.
D. Quali sono le origini del tuo interesse per il cinema e del tuo percorso da regista?
R. La mia passione per il cinema nasce dai vecchi film di fantascienza visti in sala e in televisione. Mio padre era appassionato di fotografia, poi si avvicinò al mondo della cinepresa per poi passare al video con le telecamere. Fui contagiato da questa passione e iniziai a fare qualche ‘film’ con amici. Imitando, sperimentando, mi avvicinai al cinema. Poi ci fu una grande pausa nel mezzo e poi, grazie a Stefania che condivide con me questa passione, ritornai al cinema aggiornandomi, facendo corsi a Milano e ‘mangiando’ molti film grazie a Fuori Orario (figliastro del Festival di Salsomaggiore grazie a padri putativi come Enrico Ghezzi e Marco Melani). Infine, la scintilla di fare un documentario.
D. Ci racconti alcune altre esperienze di lavoro nel mondo della regia cinematografica, anche in collaborazione con la tua compagna Stefania?
R. Ho aiutato Stefania nella realizzazione del suo documentario “Una Civile Resistenza” e in altri progetti come operatore di ripresa. Quando lavoriamo non facciamo regie condivise, i nostri approcci sono differenti e quindi, nel lavoro dell’altro o dell’altra, aiutiamo con le nostre competenze tecniche. Le discussioni e i confronti ci sono, eccome.
D. Quali sono i tuoi progetti per l’immediato futuro?
R. Ho diverse idee più o meno realizzabili a seconda dei finanziamenti che potrò trovare, altra nota dolente del fare cinema. Diciamo che mi sto dedicando ad una storia abbastanza interessante di un personaggio che vive lungo le sponde del Po. Contemporaneamente condivido i progetti di Stefania, che vorrebbe continuare a studiare e rappresentare il periodo della Resistenza.
D. Che cosa ti senti di consigliare a un giovane che abbia voglia di intraprendere il tuo stesso cammino?
R. Difficile dare consigli, visto che ognuno di noi è un mondo a sé stante. Tutto sta a quanti compromessi si vuole sottostare. Dalla mia esperienza posso solo dire che bisogna porre molta attenzione alla parte promozionale e distributiva, a cui va dedicata la quasi totalità del budget e del tempo ancora prima di iniziare a realizzare il progetto. Poi bisogna aver la capacità di vendere il proprio progetto, altra cosa che ho imparato a mie spese. L’unica cosa che mi sento veramente di consigliare è una buona formazione tecnica (sia in una scuola che tramite l’esperienza diretta) e di vedere tanti, tanti, tantissimi fil