I socialisti a Valenza nel secondo dopoguerra
Un nuovo approfondimento storico del professor Maggiora
VALENZA – Dopo la liberazione, la Prefettura di Alessandria su proposta del C.L.N. insedia in Municipio un esecutivo di 9 membri a carattere provvisorio con il compito di amministrare la città e preparare le prime elezioni comunali del dopoguerra. Ne viene fuori un esecutivo composto dal sindaco Guido Marchese (un socialista titolare di un’azienda orafa, figlio dell’ultimo sindaco socialista), dal vice sindaco Francesco Camurati e da Giovanni Emanuelli (socialisti), dai comunisti Carlo Masi e Enrico Rossanigo, dai democristiani Luigi Deambroggi e Pietro Staurino, dagli esponenti del Partito d’Azione Natale Legnazzi e Luigi Deambrogi. Sono amici nella diversità, esempi di coerenza e di tenacia sia politica che morale, ma più che uomini di governo sembrano tribuni romani della plebe.
Il PSIUP è l’erede del vecchio Partito Socialista Italiano, sulla cui entità pesa l’esistenza del nuovo PCI. Se fino all’avvento al potere del fascismo il PSI era stato il centro del mondo operaio e popolare italiano, ora le vicende della lotta contro il fascismo e della guerra di liberazione lo hanno ridotto a uno e non il principale dei poli politici e organizzativi del movimento operaio. La varietà di composizione ideologica e politica contribuirà a determinare nei dirigenti socialisti marcate ed improvvise oscillazioni politiche che costeranno parecchio in termini di consenso.
Nella costituente è eletto deputato il socialista Paolo De Michelis, una delle figure politico-istituzionali tra le più famose della città. Egli sin dal primo dopoguerra partecipò alla conduzione del Partito Socialista a livello nazionale.
Dopo le elezioni comunali col sistema maggioritario del 31 marzo del 1946 (PCI+PSIUP 73,62%, 24 seggi su 30), nella giunta social comunista che condurrà le sorti del Comune per lungo tempo, viene riconfermato il sindaco socialista Guido Marchese, il quale sarà quasi usato e imbalsamato dalla potente e dominante falange comunista: è affiancato dagli assessori socialisti Francesco Camurati e Giacomo Capra.
Alla luce di tutto ciò, i rapporti tra i partiti sono ormai deteriorati e senza alcun dialogo; solo il Partito Socialista collabora attivamente con i comunisti nella gestione politico-amministrativa della città. Settimanalmente si tengono riunioni congiunte tra i direttivi dei due raggruppamenti per concordare un’azione comune. Ma nei socialisti, che hanno avuto finora una spiccata capacità operativa, si sta formando una frattura interna per la scissione che matura a Roma.
Le elezioni politiche dell’aprile 1948 a Valenza, infatti, vedono un calo dei due partiti della sinistra, in questa occasione uniti nel Fronte Popolare, che mantengono comunque una netta preponderanza sulle altre forze politiche locali. Invece la nuova lista socialdemocratica del PSLI ottiene ben 717 voti che corrispondono al 7,68%.
Nelle travagliate vicende del socialismo italiano, dopo la scissione dell’11 gennaio 1947 (l’ala democratico-riformista guidata da Giuseppe Saragat, è uscita dal PSIUP e ha dato vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), in città si assiste ad altri frazionamenti e a diversi tentativi di riunificazione impostati dalla corrente di sinistra del PSLI e da quella di destra del PSI. A Valenza esiste sin dall’inizio un nutrito gruppo di socialisti molto vicino al deputato Giuseppe Romita, ed un altro più consistente facente capo a Pietro Repossi, che sarà il segretario locale; quando Romita si distacca definitivamente dal PSI, anche il suo gruppo valenzano abbandona il partito, scegliendo una via diversa. Questi esponenti, nel 1950, danno vita alla sezione del partito socialdemocratico (prima PSU, poi PS-SIIS, ed infine nel 1952 PSDI). Compongono il gruppo dirigente di questo nuovo partito il sindaco Guido Marchese, Mario Scalcabarozzi, Giovanni Vescovo, Luigi Buzio e Poli Alberto Valles che diventa il leader della nuova formazione. Nel 1950 gli iscritti socialdemocratici sono circa 50 e nel 1951 Giovanni Vescovo è eletto segretario della sezione; i “piselli”, come vengono spregiativamente chiamati, mantengono la vecchia struttura del Partito Socialista al quale rimane solo un gruppo di vecchi dirigenti formato da: Ferruccio Rossi, Giovanni Vecchio, Luciano Debandi, Carlo Pozzi, Angelo Aviotti, Massimo Aviotti, Carlo Baroso, Giovanni Genzone, Oreste Ceva e il neo segretario Pierino Genzone.
Appare chiaro quindi che la scissione non è giunta improvvisa ed è stata senza dubbio favorita dall’evolversi della situazione nazionale. E’ lo scontro tra due concezioni, una principalmente classista (PSI) e l’altra principalmente liberaldemocratica (PSLI), troppo avverse e irriducibilmente incomunicanti sulla politica internazionale, ma accadono anche baruffe familiari e disfide personali poco gloriose. Gli sforzi di alcuni dirigenti particolarmente sensibili all’unione del glorioso partito operaio non sono serviti ad evitare la divisione. Ben presto però alcuni esponenti del PSLI, oscillanti tra il pensiero liberale e quello marxista passando per quello socialista, ritornano a militare nel vecchio Partito Socialista, irresistibilmente risucchiati nel vortice di una presunta supremazia.
I risultati delle elezioni comunali del 1951 danno torto ad alcune previsioni pessimistiche sul PSI che ottiene quasi il 20% dei suffragi e vede eletti ben sette suoi candidati nel Consiglio comunale, con un rilancio politico inaspettato. Come consiglieri PSI In Comune sono eletti: Massimo Aviotti, Angelo Annaratone, Oreste Ceva, Giuseppe Raspagni, Ferruccio Rossi, Giovanni Genzone, Domenico Ferraris. Il risultato del voto testimonia alcuni spostamenti dell’elettorato valenzano e dimostra quanto la situazione, che aveva portato alla schiacciante vittoria insieme ai comunisti nelle amministrative del 1946, fosse in parte superata e non fosse realistico attendersi il riprodursi dei risultati dell’immediato dopoguerra, pur rimanendo questa città una delle roccaforti storiche della sinistra. Eppure sono molti i valenzani che pensano si possa ottenere libertà e giustizia solo con l’avvento del comunismo.
Ma ancora più forte è la delusione dei poco modesti socialdemocratici locali (alleati con democristiani e liberati nella “Lista Cittadina”, 42%) illusi di poter cancellare il PSI; questo ha ottenuto un successo impressionante che sarebbe stato ancor più grande se non si fosse presentata la lista”Alleanza Contadina”, di ispirazione circoscritta, quasi socialista, facente capo a Secondo Demartini (2,8%, un seggio). Egli passerà nelle elezioni del 1956 al PSI e rivestirà la carica di assessore comunale.
Sindaco della città viene eletto il comunista, operaio orafo, Giovanni Dogliotti, un altro personaggio della resistenza valenzana e membro del C.L.N. Nella giunta del 1951 compaiono i socialisti Angelo Annaratone e Massimo Aviotti. Al Consiglio Provinciale viene eletto l’alessandrino Diego Giacobbe che dopo poco tempo viene allontanato dal partito, anche a seguito di una vibrante polemica scatenata dalla sezione valenzana.
Mentre a livello nazionale i socialisti hanno già abbandonato le velleità frontiste, che si ridurranno ancor più dopo il XX Congresso del PCUS (febbraio 1956) e i fatti d’Ungheria (ottobre 1956), a Valenza la collaborazione tra i due partiti della sinistra (PCI e PSI) che governano la città, in questi anni sembra possedere un carattere unitario, anche se diversi esponenti sovente litigano e si riconciliano, si escludono e si riammettono vicendevolmente, sorretti dal medesimo orgoglio di chi si sente continuatore di gloriose tradizioni e culture politiche ma alcune contraddizioni non si temperano. Si definiscono aconfessionali mentre praticano una forma dogmatica d’ideologia laicista, quasi una confessione dei laici, senza alcun dialogo con i cattolici.
Nelle elezioni comunali del 1956 per il Partito Socialista (22%, 7 seggi) vanno in Comune: Ferruccio Rossi, Giacomo Capra, Secondo Demartini, Giulio Mario Vecchio, Silvio Rivalta, Angelo Annaratone, Alfredo Aviotti.
I socialisti valenzani erano usciti duramente indeboliti dalla scissione dei socialdemocratici di Romita, ma, con un duro sforzo riorganizzativo riescono a superare il colpo, acquisendo in breve tempo, come già visto, apprezzabili risultati elettorali. Ben presto poi alcune figure importanti passate al PSDI, quali Giacomo Capra e Paolo De Michelis, ritornano al PSI, all’interno del quale si registra un vivace dibattito politico. Tra gli esponenti più impegnati spiccano lo stesso Giacomo Capra (consigliere provinciale e delegato al congresso nazionale nel 1957), Vittorio Terzano, Luciano Debandi, Carlo Pozzi, Carlo Baroso, Angelo Annaratone, Ferruccio Rossi, Massimo Aviotti e il giovane Giulio Mario Vecchio. I due partiti della sinistra (PCI e PSI), che di comune accordo reggono il Municipio (favoriti in larga misura i lavori pubblici e alcune opere importanti quali: asilo, macello, bagni, cimitero, colonia, scuole e il primo Piano regolatore), promuovono periodicamente assemblee congiunte per discutere i problemi della città e altri d’interesse generale ma nulla o quasi viene dal basso poiché la forte leadership e il potere locale hanno allentato e diluito la funzione di rappresentanza sociale. Dopo gli eventi internazionali del 1956, s’infittisce il dibattito nella sezione sul tema unificazione. Gran parte dell’elettorato socialista e buona parte della dirigenza si dimostrano però nettamente contrari, mentre più benvista è l’apertura verso i cattolici, tuttavia sempre salvaguardando quell’autonomia di azione a livello di amministrazioni locali che privilegia nettamente la collaborazione con i comunisti. Vaghi o banali sono gli obiettivi che sono formulati: precisione, tempismo e incisività sembrano negati a questa dirigenza che, pregna di smaniose soggettività e di personalismi esasperati, a seguito degli eventi nazionali e mondiali guarda ora con inquietudine e incertezza il proprio futuro.
In questi anni, nel gruppo dirigente socialista, emerge Luigi Capra che sostiene le tesi nazionali di Basso; si formano le varie posizioni a seguito delle correnti createsi a Roma. Il dibattito è alquanto vivo negli ultimi anni ’50 secondo dinamiche che spesso hanno del paradossale; solo dopo il tracollo nelle comunali del 1960 (PSI 4 seggi, PSDI 3 seggi) esploderanno a pieno i contrasti che si erano astrattamente contenuti fino ad allora e i proclami di aggregazione, o di allargamento, sembreranno ormai quei sogni belli e impossibili da realizzare.
Il PSI valenzano è un gruppo che ha guardato sempre troppo al passato e poco al futuro, organico o semplicemente cortigiano al Partito Comunista locale. Nel decennio gli iscritti passano da 80 nel 1951 a 140 nel 1956, a 130 nel 1960 (ma il numero dei tesserati dati dai partiti sono in genere farlocchi); la sede del partito resta sino al 1955 in via Pellizzari, poi trasferita in via Garessio, luogo di molte rabbiose assemblee, anche pubbliche. Alla segreteria della sezione si succedono, tra il 1950 e il 1960, Ferruccio Rossi, Pierino Genzone, Paolo Vecchio e Giulio Mario Vecchio. Nel 1960 sono eletti consiglieri comunali per il PSI Rossi, Capra, Vecchio Mario e Vecchio Paolo; nella giunta entrano Capra e Vecchio Paolo.
Il partito socialdemocratico mantiene nel periodo una posizione critica, spesso carica d’invettive verso l’amministrazione comunale socialcomunista. Una buona parte dei suoi elettori e degli esponenti più in vista è su posizioni politiche che si possono collocare a destra della DC. L’assenza quasi totale dei partiti di destra impone ai saragattiani, che hanno una buona struttura organizzativa locale, un ruolo di estrema opposizione alle forze della sinistra, pur contraddicendo sovente alcuni dei principi fondamentali del partito.
A Valenza nelle elezioni politiche del 1953 per la Camera il PSDI ottiene il 12%, come pure il PSI. In quelle del 1958 il PSDI il 9% e il PSI il 19%.
Nella seconda parte degli anni ’50, all’interno della direzione, alcuni esponenti manifestano sempre più la volontà di ricercare una qualche collaborazione con gli “odiati” cugini socialisti che, nel frattempo, riflettono posizioni analoghe a metà strada tra provocazione e utopia.
Nelle elezioni comunali del 1956 il PSDI ottiene quasi il 13% e 4 seggi; un risultato più che buono. I due partiti socialisti con 11 seggi superano il PCI che ha ottenuto 10 seggi.
Quando la linea autonomista di Nenni si afferma al XXXIII congresso nazionale del PSI (gennaio 1959) e la sinistra socialdemocratica esce dal PSDI (febbraio 1959) costituendo il Movimento di Unità e Autonomia Socialista (MUIS), nel PSDI di Valenza si produce una movimentata scissione che crea un accanito dibattito senza esclusione di colpi in seno al partito e nella sua rappresentanza in Consiglio comunale (Poli Alberto Valles, Luigi Buzio, Enrico Accomello e Mario Scalcabarozzi). I quattro dirigenti socialdemocratici Cantamessa G., Codetta, Cresta e il consigliere comunale Accomello escono dal partito e formano il nuovo gruppo MUIS, un isolotto aggrappato a una specie di socialismo liberale, ma il “coup de foudre” ha però breve durata; infatti, nel mese di giugno, seguendo la linea nazionale, i quattro esponenti confluiscono nel PSI. E’ quindi difficile parlare di avvicinamento tra i due partiti socialisti di Valenza, quando invece questo sta avvenendo a livello nazionale. Solo dopo il 1960, più costretti che convinti, i socialdemocratici valenzani muteranno i loro comportamenti al riguardo, e questo pervicace far da sé e per sé sarà una condanna e la decadenza del partito. Nel 1955 il PSDI di Valenza ha 85 iscritti, il suo Comitato direttivo è così composto: segretario di sezione Giovanni Vescovo, vice segretario Pietro Visconti, segretario amministrativo Giovanni Soro, responsabile di zona Giusto Tortrino, collaboratori Bosco, Masteghin e Poli; responsabile del CISS è Renzo Passalacqua e responsabile dell’UCSI Enrico Robotti. La commissione elettorale è composta da Camurati, Scalcabarozzi, Bona e Buzio. In Comune ci sono i consiglieri socialdemocratici Angelo Buzio, Giovanni Vescovo ed Ezio Deambrogi.
Ma la città è ormai da qualche tempo legata indissolubilmente alla feconda produzione orafa e sempre meno attenta alle contraddittorie ideologie passate che stanno sempre più perdendo pezzi.