Il palazzo Pellizzari di Valenza
Oggi è sede del Comune
VALENZA – L’antico Palazzo Pellizzari, fra i più belli della città, sito nell’omonima via che fiancheggia la piazza del Duomo, è proprietà dell’Opera Pia Pellizzari nata nel 1834 per iniziativa di Don Massimo Cordara Pellizzari. Ora è la sede principale del Comune di Valenza che vi ospita, oltre a diversi uffici e servizi, l’ufficio del sindaco e il salone consiliare.
Massimo Cordara Pellizzari nasce a Valenza il 23 dicembre 1749 nella casa paterna adiacente al palazzo omonimo, da Giovanni Battista Cordara Pellizzari e da Teresa Caterina Pellizzari. Una famiglia valenzana di censo che ha dato il nome alla località in sorte Bedogno che ora appartiene al Comune di Pecetto. Filantropo, maestro del pensiero, profondamente devoto, entra nell’ordine dei Domenicani e diviene valente insegnante di filosofia a Parma e a Bologna. Rientra a Valenza alla morte dello zio can. cav. Carlo Andrea Pellizzari e ne raccoglie le eredità con i suoi fratelli Angelo Simone, Bartolomeo e don Biagio, i beni dei quali passano a lui alla loro morte. Don Massimo si spegne l’11 marzo del 1836. Come sua volontà è tumulato nella chiesetta di San Pietro, di sua proprietà, luogo simbolico adiacente al cortile rustico del palazzo, terreno che fino al 1806 è stato cimitero del Duomo, quindi soppresso nel periodo napoleonico.
Il canonico Carlo Andrea Pellizzari (zio di don Massimo), proprietario di una cospicua fortuna di famiglia che comprende anche gli immobili dove sorgerà il palazzo, muore nel 1781 e lascia la proprietà in usufrutto alla sorella Teresa Caterina, vedova del notaio Giambattista Cordara e al figlio di lei Angelo Simone. Questo nipote prediletto per attività meritevole diverrà (da usufruttuario) erede universale disponendo dei beni che passeranno alla sua morte, nel 1825, ai fratelli (prima quasi bistrattati) e infine a don Massimo Cordara Pellizzari. Il palazzo sarà poi dato da don Massimo, anima santa e premurosa, all’Opera Pia e in usufrutto di residenza alla cognata contessa Carolina Cavalchini, vedova del fratello Angelo Simone.
E’ quindi Angelo Simone Cordara Pellizzari (sindaco nel 1814, colto e generoso ma con poco consenso) che alla fine del Settecento, un periodo violento di sconvolgimento sociale, politico e culturale, fa edificare questo imponente e affascinante palazzo destinato a lasciare il segno sulla città, progettato con solerzia dall’architetto di Alessandria Giuseppe Zini; ospiterà nientemeno che Napoleone Bonaparte e, a perenne ricordo, un suo busto (opera del famoso scultore valenzano Comolli) è ancora collocato nel salone del Consiglio.
All’epoca, escluso l‘esorbitante presidio militare, Valenza città ha circa 5.000 abitanti (compreso Monte con circa 350), di cui quasi 500 ecclesiastici, medici, notai e servi, 1.500 agricoltori, 250 artigiani e negozianti. Nel Comune le case sono circa 500, in città si sviluppano intorno a cortili chiusi, spesso con stalle e fienili e un solo ingresso dalla strada. Gli ammogliati sono circa 2.000, i celibi circa 1.000 e i giovani sino a 15 anni circa 2.000. Nel 1796 i maschi morti sono 226, di cui 42 di sotto a un anno, mentre le femmine decedute sono solo 105, di cui 31 al di sotto di un anno.
Ma torniamo alla monumentale opera. Eretto in fianco al Duomo, questo radioso palazzo in stile neoclassico ha un ricco apparato decorativo interno. L’edificio presenta nella facciata delle linee semplici e omogenee, a tratti interrotte da elementi decorativi più complessi. Le finestre della facciata e del cortile, con timpani triangolari e curvilinei, sono di tipico gusto neoclassico. Nel frontespizio del cortile c’è un telamone, molto popolare nella città (“il caganisoli”), rappresentante un ciclope che con la sua prestanza sostiene il balcone e fa ciò con un gesto di così manifesto e paragonabile sforzo da provocare l’ilarità di generazioni di valenzani.
L’ingresso dello stabile che immette nel cortile principale è grandioso e vi si accede attraverso un imponente atrio con volte a vela e colonne di ordine dorico; maestoso il doppio scalone in pietra che porta al primo piano; al termine della prima rampa è posto il busto marmoreo di Massimo Cordara Pellizzari (opera di Luigi Melchiorre) con un’epigrafe che evidenzia l’opera benemerita. In cima allo scalone è collocata una lapide di bronzo con bassorilievo (scolpita da Giacomo Manzù) che ricorda il sacrificio dei partigiani di Valenza, l’epigrafe riporta un testo poetico di Salvatore Quasimodo.
Presumibilmente le decorazioni dipinte al piano terreno sono iniziate da Angelo Vacca (1746-1814) intorno al 1810, su committenza di Angelo Simone Cordara Pellizzari, impresa protratta e attribuita poi al figlio Luigi, pregevole pittore di decorazioni di ambienti ad affresco e scenografo teatrale (Torino 1778/1777- 1854).
Prestigioso di tutta evidenza è l’apparato decorativo del salone principale (oggi sala del Consiglio) con gli affreschi di Luigi Vacca di un’intensità che penetra nel profondo. Sulla volta è rappresentata l’Apoteosi di Enea e alle pareti due grandi riquadri raffigurano Enea che fugge da Troia ed Enea che uccide Turno (datati 1810 con firma Luigi Vacca).
Più complesso risulta il nesso iconografico delle figurazioni a stucco con coppie di putti quali allegorie delle quattro stagioni in funzione di sovrapporte, addolcite dalle fasce verticali con motivi mitologici, dei telamoni e delle cariatidi sulla volta, degli strumenti musicali, allegorie delle arti e delle scienze, nonché la presenza surreale di enormi api. Sono presenti parecchie sovrapporte decorate con motivi diversi che probabilmente sarebbero forse da attribuire per par condicio ad Angelo Vacca, un virtuoso ed eclettico pittore noto anche come creatore di paracamini, sovrapporte, ecc. Opere di Giacomo Babba e Pietro Perosi sono invece gli affreschi nelle stanze e nei saloni ora adibiti a uffici.
Nell’ufficio del Sindaco è esposta un’appariscente riproduzione fotografica di un quadro attribuito a un pittore fiammingo che rappresenta l’assedio di Valenza del 1635. Negli ultimi anni del Novecento si sono effettuati lavori alle coperture e alle facciate, si è restaurata la volta del grande salone, l’ufficio del sindaco e alcune sale al piano terreno.
Più di due secoli sono passati ma questo luogo è rimasto un pregiato e possente simbolo artistico e storico di questa città.