All’Eternit Bis parla Mingozzi: «Grandi carenze igieniche mai sanate»
La deposizione del secondo consulente sulle 'mancate' attività di monitoraggio dell'azienda
NOVARA – Tanto resistente nei processi meccanici e chimici, quanto in quelli biologici. L’amianto, il materiale ‘eterno’. Eterno a tal punto da non essere eliminato una volta immesso nell’apparato respiratorio. Ma provare che l’amianto sia una materia ad alta pericolosità e che svolga un’azione cancerogena sull’organismo non è necessario. Questo è un fatto. A non esserlo ancora, dal punto di vista giudiziario, è il ruolo svolto in Eternit Italia dall’imputato Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale al processo Eternit Bis.
È su questo concetto che si è basato l’esame di ieri al secondo consulente della Procura, Luca Mingozzi, accompagnato dal dottor Angelo Salerno. «I lavoratori della Eternit sono stati esposti all’amianto sia per carenze tecniche che per carenze organizzative» ha dichiarato infatti di fronte alla Corte d’Assise di Novara. Mingozzi, classe 1969 e funzionario di Arpa Piemonte (ente che si occupa di protezione ambientale dal 1995), all’udienza di lunedì ha lasciato una lunga deposizione in particolare riguardo alle attività di monitoraggio della polvere svolte in azienda e sul ruolo giocato da parte della gestione Eternit in quest’ambito. Dopo un’analisi di fonti sia orali che documentarie – ma anche sopralluoghi presso l’ex stabilimento Eternit e partecipazione alle attività di bonifica – il consulente è giunto alla conclusione che «La situazione igienico-ambientale dello stabilimento presentava grandi carenze che nel corso degli anni non sono mai state sanate».
«Lei sta descrivendo un reato»
A non convincere la difesa però sono state proprio la serie di fonti adottate da Mingozzi. Ancora prima del contro-esame buona parte delle testimonianze sono state infatti escluse dall’istruttoria, non essendo state introdotte come prove dallo stesso Pm. A sottolinearlo è stato in particolare l’avvocato Guido Carlo Alleva: «A me sembra che ci sia un ribaltamento del processo. Il Pm, che poteva introdurre queste prove nel processo, lo ha fatto solo parzialmente. Ora qualsiasi richiesta di assunzione di prove sarebbe una richiesta ultimativa del percorso dibattimentale».
Sulla stessa linea si è svolto il contro-esame, condotto principalmente dal difensore Astolfo Di Amato. In particolare l’avvocato si è concentrato sui verbali dell’Ispettorato del lavoro della provincia di Alessandria. Secondo Mingozzi tali documenti provano che «i problemi fossero sempre i medesimi». Ma su questo Di Amato non concorda. «In un primo verbale si invita l’azienda a fare degli interventi. Nel verbale successivo si rilevano inadempimenti rispetto a tali prescrizioni?» ha chiesto al consulente. «Questo non me lo ricordo esattamente perché nel giro di pochi giorni l’Ispettorato era andato più volte, ma a fare controlli in reparti differenti». «E quando rientrava l’anno successivo?» «Aggiungeva altre osservazioni. Non so dire se fosse ritornato a vedere le stesse o se avesse continuato con l’indagine». Ma è proprio questo l’anello debole secondo Di Amato. «Quello che lei sta descrivendo è un reato» ha sottolineato il difensore, riferendosi al presunto mancato controllo dell’adattamento dell’azienda ai «suggerimenti» dell’Ispettorato.
A concludere il contro-esame è stata infine l’avvocato Elisa Surbone, in sostituzione del collega Alleva. «Gli anni che lei ha potuto esaminare erano i primi anni in cui si usavano certe misurazioni. Quando sono state emesse le prime norme a livello europeo sulle metodiche di campionamento?». «Nel 1987» ha dichiarato il consulente.
Si tornerà in aula questo venerdì, 8 ottobre.