Emanuela Martini: il cinema secondo me
Emanuela Martini, tra le voci più rappresentative della critica cinematografica italiana, sino al 2019 direttrice del Torino Film Festival e attualmente direttrice responsabile della rivista “Cineforum”, ha condotto lo scorso settembre una Masterclass per studenti sulla figura di James Bond, nel contesto della Summer School Immersi nelle storie organizzata dall’associazione di cultura cinematografica e umanistica La Voce della Luna. È stata l’occasione per parlare di giovani generazioni e del futuro della settima arte.
D. Partiamo proprio dalla tua Masterclass sulla figura cinematografica e letteraria di James Bond. Come hai vissuto quest’esperienza a contatto con gli studenti delle scuole superiori, e qual è secondo te la strada migliore per trasmettere loro l’amore per il cinema?
R. In realtà è difficile dire come ho vissuto questa esperienza, perché il tempo a disposizione è stato di un paio d’ore. Bisognerebbe incontrare più volte i ragazzi, per entrare, cosa molto più importante, nella loro prospettiva. Occorrerebbe che si organizzassero molte più iniziative di questo genere, perché ci rivolgiamo a delle generazioni che hanno, purtroppo, una percezione piuttosto vaga dello spettacolo cinematografico. La scuola in passato non si è occupata molto dell’educazione al linguaggio del cinema e anche oggi spesso la passione per il cinema passa solo attraverso i genitori, la famiglia. Il problema è che – televisione generalista a parte, che comunque non propone quasi più cinema – i ragazzi di oggi conoscono tutto attraverso microschermi (del telefonino, dell’iPad) e microstorie, e la soglia d’attenzione è generalmente molto breve. L’amore per il cinema lo devi trasmettere, per cui la scuola dovrebbe iniziare a farlo conoscere. Anche per le generazioni che sono cresciute nell’ultima parte del secolo scorso il 900’è stato il secolo del cinema, perché questo mito è rimasto, anche se ci si andava meno. Oggi rischiamo di avere bambini che non sono mai stati in una sala cinematografica, ma si tratta dell’esperienza fondativa, quella che ti scatena la passione per il cinema. La quota di affabulazione ma anche di carica visiva che si perde nel buio del salotto di casa propria è notevolissima. È la fruizione della narrazione che sta cambiando.
D. Quindi, il cinema secondo te è un mito decaduto?
R. Assolutamente no. Non è un mito decaduto, ma già da un po’ di tempo il cinema non è più al centro dell’immaginario collettivo. Non è più il cinema che lo fonda.
D. Come è nata la tua personale passione per il cinema?
R. Andandoci. I miei mi hanno portata per la prima volta al cinema che avevo due anni e mezzo. A casa mia ci andavano tutti, mi portavano a vedere tutto quello che non era vietato e, a un certo punto, si è scoperto che al cinema stavo molto buona. Ci passavo giornate intere, vedevo sempre lo stesso film, anche se né io né i miei ci siamo mai ricordati quale fosse. Era un’abitudine normale per me e per gli altri ragazzini della mia età: a dieci, undici anni facevamo gruppo e andavamo al cinema da soli. Ricordo che c’era un cineforum di religiosi che frequentavo di pomeriggio tra la fine delle medie e l’inizio del ginnasio, in cui ho visto pellicole allora vietate, da “La fontana della vergine” e “Il posto delle fragole” di Bergman a “La stregoneria attraverso i secoli” di Benjamin Christensen.
Lì ho scoperto tutti i registi nordici, Ejzenstejn. E poi tutti i film della Disney, tanto è vero che per anni mi sono portata dietro come incubo ricorrente la strega di Biancaneve, nella sua versione brutta. Adoravo, invece, la Grimilde bella, che giudicavo molto più affascinante di Biancaneve. Con il mio babbo ho visto anche “Il mostro della laguna nera”, che mi fece una grande impressione. Ai bambini bisogna far vedere tutto, hanno bisogno di confrontarsi con la morte, con la diversità, anche se ovviamente tutto va dosato. Le fiabe che si leggono ai bambini hanno spesso una componente orrorifica, così come le storie che un tempo raccontavano le nostre nonne. Alcuni film con protagonista Harry Potter hanno una forte componente gotica, e le pellicole di Tim Burton sarebbero da mostrare anche ai più piccoli.
D. Qual è stato il regista, il genere o l’interprete che più ha influenzato il tuo percorso di cinefila e di critica cinematografica?
R. Da ragazzina ti appassioni agli attori, nel mio caso a quelli hollywoodiani. Trovavo bellissimo Marlon Brando. Da adolescenti il passatempo preferito era andare in gruppo al cinema. La mia è stata in gran parte una generazione cinefila. C’erano le terze e le quarte visioni, la riproposizione dei vecchi film, specie nelle arene estive. Ricordo, ad esempio, che vidi “Il terzo uomo” di Carol Reed e mi innamorai di Orson Welles, pur non sapendo chi fosse. Quando ho compiuto undici anni un amico di famiglia mi ha regalato la storia del cinema di Georges Sadoul, che mi ha stimolato delle curiosità. Subivo la fascinazione del cinema e della lettura, cosa che non mi è mai capitato con la televisione. Prima di essere una spettatrice vorace sono stata un’ascoltatrice e una lettrice vorace. Volevo che mi raccontassero delle storie.
Come cinefila, quando ero ancora ragazzina i due poli di riferimento erano il cinema americano e quello italiano. Poi sono arrivate le Nouvelle Vague: nel periodo dell’università c’è stata tutta la fase di negazione del cinema tradizionale e da critica cinematografica avevo già le mie passioni perverse, il cinema horror, il fantastico. Mi sono laureata in comunicazione di massa e da assistente il primo seminario che ho condotto è stato sul mito del vampiro. Non sono stati, però, l’horror e il fantastico che mi hanno indirizzata. In Italia alla fine degli anni 70’ eravamo molto indietro a livello di critica cinematografica, si facevano ancora i dibattiti sul realismo. In seguito c’è stato il momento fondamentale di ribaltamento sul cinema americano, il recupero dei generi.
D. Nel recente convegno proposto dalla FIC (Federazione Italiana Cineforum) insieme a “Cineforum”, la rivista che dirigi, si è parlato di donne registe: esiste, secondo te, un ‘cinema al femminile’?
R. Io dico di no. Quando ho proposto l’intervento su Ida Lupino al convegno ho detto che non esiste un cinema al maschile o al femminile, esiste il cinema e basta. Se analizzi le singole opere può anche darsi che tu trovi in certe cose una sensibilità più femminile che maschile. Ci sono alcuni film di Jane Campion che all’epoca della loro uscita erano inerenti a una sensibilità femminile, ad esempio “Lezioni di piano” e “Bright Star”: si tratta proprio di una questione di tocchi e di sguardo. Mi rifiuto di definire un tipo di cinema ‘al femminile’ solo perché c’è un tema femminile. D’altra parte, uno degli autori più muscolari degli ultimi decenni del 900’ è Katherine Bigelow: i suoi film fanno riferimento a un universo narrativo maschile. Ci sono molti autori che hanno avuto uno sguardo sul femminile estremamente interessante e di una sensibilità femminea. Pensiamo a Bergman, Francois Truffaut e Woody Allen, i tre cineasti del 900’ che hanno parlato di più e meglio dell’universo femminile.
D. Il titolo dell’edizione 2021 della Summer School di Alessandria è “L’ipotesi cinema. Sguardi sul futuro”, anche come omaggio alla fondamentale esperienza della scuola fondata da Ermanno Olmi negli anni Ottanta. Credi che quest’esperienza sia ripetibile?
R. Sarebbe bello se fosse ripetibile, perché se ne sente un estremo bisogno. Ipotesi Cinema era una scuola che si rivolgeva a tutti, da qualunque classe sociale si provenisse: bastava possedere delle qualità. Una scuola in cui fai teoria e pratica diretta con un signore che si chiama Ermanno Olmi ti apre un mondo. Esisteva, però, un fattore fondamentale in Ipotesi Cinema: la presenza della Rai. La scuola è stata fondata da Olmi con Paolo di Valmarana, un funzionario della Rai davvero geniale che ha prodotto per la televisione cose che oggi nessuno si sognerebbe di promuovere: ad esempio, i primi film di Gianni Amelio. Oggi esiste la scuola ‘Gian Maria Volonté’ di Roma, i cui studenti stanno elaborando delle opere notevoli. È fondamentale che ci siano delle persone esperte in grado di guidare lungo questo percorso, che non è il più facile del mondo in quanto non si tratta di imparare solo la tecnica, ma anche altre competenze.
D. Ci racconti le iniziative e i progetti legati alla rivista “Cineforum”?
R. Speriamo anzitutto che la rivista venga apprezzata: sinora la risposta che ha ricevuto da molte parti è stata positiva. In questo momento sto lavorando al nuovo numero, che uscirà a dicembre. Stiamo anche progettando una maggiore integrazione fra il sito di “Cineforum” e la rivista cartacea e abbiamo in cantiere un nuovo ciclo di corsi di cinema.
D. Da spettatrice e critica cinematografica, che cosa ti auguri per il futuro del cinema?
R. Anche se temo sia piuttosto difficile, da critica cinematografica mi piacerebbe se, prima o poi, da qualche parte del mondo venisse fuori una nuova Nouvelle Vague. A parte, infatti, la scoperta del cinema di Taiwan e coreano, negli ultimi decenni del secolo scorso, nel nuovo millennio non c’è più stata un’onda cinematografica di rinnovamento. Mi auguro, allora, che si scoprano nuovi autori. Come spettatrice, il problema è capire come riuscirà il cinema a porsi in relazione con le nuove generazioni. Io spero che le loro diverse esigenze non portino a un impoverimento, non tanto visivo (perché già si realizzano grandi produzioni destinate a schermi piccolissimi) quanto narrativo. Il cinema deve trovare un ‘trait d’union’ con le generazioni future. E nell’esperienza del grande schermo, della visione in sala, bisogna coinvolgere anche i più giovani.
Note bio: Emanuela Martini, romagnola, nata a Forlì, laureata in Scienze Politiche, appassionata di cinema fin dall’infanzia, è cresciuta tra i generi più disparati (dai mélo di Sirk a Jerry Lewis, dai musical alla fantascienza) e tra le più eccentriche proiezioni dei cineclub (Bergman, Neorealismo, Stroheim, Busby Berkeley e Hammer horror). Critico cinematografico, nel comitato di redazione di “Cineforum” dalla fine degli anni 70’, direttore di “Film Tv” dal 1996 al 2007, a lungo collaboratore del Domenicale del “Sole 24 Ore”, co-direttore di Bergamo Film Meeting dal 1987 al 2007, è stata membro della commissione di selezione della Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia e poi selezionatore di altre sezioni della Mostra, e dal 2007 al 2019 vicedirettore e poi direttore del Torino Film Festival.
Attualmente è direttore di “Cineforum”.
Esperta di cinema anglo-americano, ha scritto: “Storia del cinema inglese”, “Il lungo addio. L’America di Robert Altman”, le fondamentali monografie de il Castoro su Powell e Pressburger e su Gianni Amelio, “Shakespeare e il cinema” (ed. Cineforum) e numerose altre monografie su generi e autori. Vive a Milano, prevalentemente con compagni felini.