I sensi che ci spingono a mangiare
Iniziamo oggi con una domanda: in che modo i sensi contribuiscono a direzionare le nostre scelte alimentari?
Molti famosi chef e, fra questi, Ferran Adrià, l’inventore della cucina molecolare, asseriscono che il cibo si mangia con gli occhi ancora prima che con la bocca. La grande quantità di riviste e programmi televisivi che insegnano a impiattare e presentare piatti gourmet sono proprio un indicatore di questo fenomeno: la vista innesca un riflesso che evoca secrezione salivare nella bocca e secrezione gastrica nello stomaco, la cosiddetta acquolina in bocca, secrezioni che iniziano a preparare l’ambiente per la digestione di ciò che stiamo per ingerire. L’industria alimentare naturalmente si basa enormemente sull’aspetto dei prodotti e i food designers progettano continuamente imballaggi e presentazioni accattivanti, attraenti, che possano condizionare la scelta da parte dell’acquirente. Siamo portati ad acquistare un bel pacco, piuttosto che un imballaggio anonimo, senza pensare a quale alimento potrebbe essere più salutare. Il colore gioca un ruolo chiave soprattutto perché è il primo segnale che ci allerta sullo stato di conservazione di un alimento e quindi sui potenziali rischi che corriamo. Pensiamo ad una bistecca con il bordo scuro o a una banana verde: nessuno certamente sceglierebbe né l’uno né l’altro. Studi hanno dimostrato, ad esempio, che i colori grigio-blu inibiscono il senso di appetito perché questo colore è, in genere, associato a qualcosa che si sta deteriorando.
L’olfatto è un altro esempio di sensazione che guida in maniera determinante la scelta di ciò che mangiamo, anzi è il senso più importante nella decisione di introdurre qualcosa in bocca, sia perché consente una valutazione dello stato di conservazione, ma soprattutto perché è carico di significati affettivi ed emotivi. Gli odori inducono un appetito specifico verso un particolare prodotto (sensory-specific appetite) ed è stata valutata l’ipotesi che possano comunicare informazioni sulla componente nutrizionale degli alimenti, ancora prima che questi vengano ingeriti. Pensiamo, ad esempio, a quando sentiamo un profumo di torta che cuoce nel forno: associamo istantaneamente quell’odore a qualcosa di dolce in maniera estremamente specifica, basandoci anche sulle associazioni che il sistema nervoso ha fatto in precedenza in seguito ad esposizioni pregresse a quell’alimento. Il senso dell’olfatto ha infatti un ruolo basilare nel ricordo e nella rievocazione, come ben descritto da Marcel Proust in ‘Alla ricerca del tempo perduto’: un lieve profumo di madelines e il passato riemerge senza alcun freno.
E, infine, sensazioni tattili e gustative provenienti dalla cavità orale conferiscono informazioni sulla reale natura dell’alimento.
La tessitura di ciò che introduciamo in bocca, percepire una soffice crema o una croccante pasta sfoglia, unitamente al piacere di buoni sapori, sono fattori che hanno un ruolo importante perché rendono gradevoli le pietanze morbide e soffici, piuttosto che quelle dure o viscide, portandoci ad associare ad un alimento particolari caratteristiche che ce lo renderanno molto gradito, oppure, al contrario, avverso. Ecco allora che possiamo identificare una delle prime peculiarità che ci spingono a mangiare per puro piacere, quella che possiamo definire palatabilità, determinata fondamentalmente da odore e gusto: facilmente scegliamo alimenti dolci e salati, al di là anche delle reali necessità fisiologiche, mentre alimenti amari o acidi sono difficilmente consumati perfino in condizioni di digiuno. Questo dipende dal fatto che amaro e acido spesso sono associabili ad alcaloidi tossici o a cibi avariati da cui ci teniamo ben distanti, mentre dolce e salato sono associabili a zucchero e sali di cui il nostro organismo ha necessità.
Ecco perché alcuni gusti si dice che costituiscono uno stimolo rinforzante primario, sostanzialmente innato, capace di dirigere comportamenti specifici di ricerca, a causa della loro intrinseca necessità per la sopravvivenza.
Inoltre, la palatabilità può essere condizionata da fattori postingestivi, i quali determinano meccanismi di apprendimento che agiranno da incentivi secondari non innati. Cosa vuol dire questo? Può accadere ad esempio che ci capiti di trovare gradevole anche alimenti che, pur essendo amari o acidi, in realtà, in seguito allo stabilirsi di una relazione stimolo-ricompensa e al conseguente apprendimento, risultino ugualmente graditi. Pensiamo al caffè: si tratta di una bevanda chiaramente amara e quindi, da un punto di vista di incentivazione innata, non dovremmo assumerla. Ma una volta che la assaggiamo, impariamo che è in realtà piacevole e continueremo in futuro a consumarla. Questo tipo di reazioni a stimoli secondari vale naturalmente anche per eventi negativi, che, anziché creare sensazioni piacevoli, creano sensazioni negative di disgusto.
Supponiamo di assaggiare per la prima volta qualcosa e supponiamo che, per un qualche motivo, non digeriamo e stiamo male. Questo scatena un meccanismo di apprendimento condizionato, cioè di avversione condizionata verso quel determinato alimento che, molto probabilmente, non mangeremo più. Provate a mangiare qualcosa che in prima battuta vi piace e fare indigestione durante la notte: l’associazione cibo-dolore vi impedirà ogni ulteriore contatto con quel cibo!
A tutto ciò possiamo aggiungere un altro elemento. Se, nel passato, siamo già entrati in contatto con un certo alimento, verso il quale possiamo aver provato o un senso di piacere o un senso di avversione, si aggiungerà un fattore mnestico che assocerà la scelta futura al ricordo che serbiamo.
E l’udito ha qualche azione? L’addentare e il masticare producono suoni che sono associati a ciò che mangiamo. Pensiamo alla diversa sensazione che scaturisce dall’addentare un buon biscotto croccante, appena uscito dal forno oppure quello stesso biscotto dopo che è stato esposto all’umidità: il sapore cambia poco, ma cambia molto la percezione che ne ritraiamo. Gli stimoli uditivi forniscono informazioni sulla freschezza del prodotto e sulla sua consistenza e molti scienziati ritengono che il suono del cibo sia un elemento fondamentale nell’esperienza soggettiva del mangiare. Ci sono suoni iconici che evocano immediatamente il piacere nel mangiare o bere ciò che abbiamo davanti: pensiamo allo scricchiolio delle patatine, al soffriggere in padella così come al rumore del caffè che risale nella caffettiera o lo stappa-e-versa del vino.
Quando queste sensazioni dominano su quelle che sono le reali necessità energetiche dell’organismo, quando questo delicato equilibrio si spezza, si sviluppano forme compulsive di alimentazione che sfociano sempre in severi problemi di salute, fra cui l’obesità è certamente quella più diffusa ai nostri giorni.
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*Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica
Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”
valeria.magnelli@uniupo.it