Carnevale nella tradizione contadina
Ci avviciniamo al carnevale e nell’era moderna questa festività diventa una festa dei bimbi. Si vestono con costumi e scorrazzano tirandosi addosso stelle filanti e coriandoli ma l’origine del Carnevale è molto dibattuta. Se curiosiamo sulla Treccani viene citato quanto segue:
“Non si sa da dove derivi il nome ‘carnevale’: c’è chi dice da car navalis, il rito della nave sacra portata in processione su un carro; secondo altri significa carnes levare (“togliere la carne”) o carne vale (“carne, addio”) e allude ai digiuni quaresimali, dato che il Carnevale si conclude con il martedì grasso, il giorno che precede, nei paesi cattolici, il mercoledì delle Ceneri. Nello stesso periodo a febbraio si celebravano nell’antica Roma vari riti che hanno lasciato le loro tracce nel Carnevale attuale. Intanto febbraio era il mese delle purificazioni. Lo scrittore latino Macrobio ricorda che il mese era dedicato al dio Februus: “Durante questo mese bisogna purificare la città e celebrare i riti funebri per i Mani, divinità del mondo sotterraneo”.
Il passaggio dall’inverno alla primavera permetteva un contatto con il mondo dell’aldilà; i morti reclamavano cerimonie in loro onore, come oggi accade nelle società primitive che venerano i morti nei periodi del cambio di stagione. A febbraio, dice il poeta Ovidio, “si onorano anche le tombe, si placano le ombre degli avi e si portano piccoli doni sui sepolcri. Poco chiedono i Mani, gradiscono la pietà come un ricco dono… Basta coprire la lastra con corone, offerte, basta spargere grano con un poco di sale, con preghiere e gesti del rito”. Alle cerimonie di purificazione e di commemorazione si intrecciavano riti di fecondazione, come nei Lupercali, feste antichissime in onore di Marte e del dio Fauno.”
Quindi una festa importante: segna la fine dell’inverno, quaranta giorni dalla Pasqua e le ceneri simboleggiano l’ultimo periodo di stravaganza. Dal giorno dopo quaranta giorni di purificazione.
Ma quanti di voi conoscono la Lachera, una festa popolare di Carnevale tra le più singolari e misteriose del vecchio Piemonte rurale.
“Siamo a Rocca Grimalda e da materiale fotografico degli anni 30, possiamo ricostruire abbastanza bene sia i ruoli delle varie maschere, sia la dinamica della festa. Il gruppo, interamente maschile anche per le parti femminili, era costituito da Sposo e Sposa, Damigella, due Guerrieri o Zuavi armati di spada, due Laché vestiti di bianco con alti copricapi mitraformi adorni di nastri multicolori, quattro Trappolini con la frusta, quattro Mulattieri in costume da carrettieri monferrini, un Buffone o Bebè in vesti femminili, con grottesca cuffia orecchiuta.
Accanto a questi personaggi, due o tre musicanti (violino, clarinetto, chitarra o mandolino) per accompagnare le danze di rito, consistenti nella lachera in movimento e nei due “balli rotondi” della giga e del calisun, eseguiti durante le soste. La Lachera tradizionale, infatti, era una mascherata di soli uomini inserita all’interno di un rituale di questua itinerante: due elementi questi (maschilismo e questua), che sembrano caratterizzare gran parte dei Carnevali popolari di impronta contadina. Giravano per il paese, poi giravano per le cascine, al mattino, al giorno di giovedì grasso. Allora, tutti percepivano questi cascinali e ci davano tutti qualche cosa. Chi ci dava un pollo, chi ci dava un coniglio, chi ci dava un salame, due bottiglie di vino… Partecipavano tutti per questa Lachera. Che poi la sera, quando arrivavano, cominciavano a far un po’ di festa, poi si faceva cuocere qualcosa, la mangiavano e poi ballavano.”
La questua è una tradizione che viene seguita anche nel periodo pasquale dove si andava a girare per cascine a “cantare le uova”. Si entrava nelle aie delle cascine, si intonava una canzone popolare ed i proprietari contribuivano con qualcosa, per il sostentamento generale.
Tradizioni che si rincorrono e che si susseguono all’interno della società contadina: una società fatta di antichi valori e di tradizioni, da raccontare davanti ad un bicchiere di buon vino, su una panca vicino ad un camino.
Queste tradizioni meritano rispetto e vanno divulgate e riconosciute come tali. Per la redazione di questo blog mi sono rifatto a contenuti pubblicati sul sito Isral e Treccani perché non ho voluto variare la spiegazione di questa importante festa.
Mi sono limitato ad osservarla, riportandola su questo mio articolo, osservatore delle tradizioni come ognuno di voi.