Che cos’è lo “Stress Lavoro Correlato” e come possiamo affrontarlo
Come psicologa del lavoro mi occupo anche di benessere organizzativo, valuto cioè lo stato di salute delle organizzazioni e delle persone al lavoro. Risulta ormai evidente quanto la pandemia abbia aggravato le varie forme di stress e di esaurimento in moltissimi ambiti lavorativi.
Non parliamo solo del settore sanitario e socio sanitario che ha dovuto far fronte all’emergenza covid – e psicologica aggiungerei – innalzando sempre più l’asticella del limite tollerato e tollerabile degli operatori del settore – ricordiamo tutti i tanti appelli di infermieri e medici sui giornali ed in TV. Questa condizione ha portato molte aziende a diventare sia maggiormente consapevoli del fenomeno del burnout e dello stress lavoro correlato, sia più attente rispetto ai metodi per prevenirlo e gestirlo.
Recentemente ho fatto visita ad una grossa azienda chimica della zona e mi è balzato agli occhi un depliant distribuito a tutto il personale, redatto dall’Ordine degli Psicologi, contenente tutte le indicazioni utili per affrontare il disagio psicologico Covid correlato al lavoro. Iniziativa lodevole.
Ma vediamo di cosa stiamo parlando.
L’INAIL definisce lo stress lavoro correlato come uno stress legato all’attività lavorativa che si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle, o controllarle. Non è una malattia, ma può causare problemi di salute psichica e fisica se si manifesta con intensità e perdura nel tempo.
Le ASL segnalano un allungamento dei tempi di attesa da uno a sei mesi per una visita specialistica a seguito di disturbi da stress lavoro correlato. Questo dato riguarda gli ultimi due anni nei quali si è vista una vera e propria impennata di richieste di cura. Come si devono comportare dunque le aziende ed i datori di lavoro? Calcoliamo che esistono costi anche economici dovuti a riduzione della produttività ed aumento dell’assenteismo.
Inoltre la normativa parla chiaro. La valutazione dello stress lavoro-correlato è prevista dalla normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro a partire dal D.lgs 81 del 2008. Il D.l. 78/2010 ha poi introdotto l’obbligo di valutazione dello stress per tutte le aziende che si avvalgono della collaborazione di almeno un lavoratore subordinato. I datori di lavoro devono così misurare lo stress dei propri dipendenti e adottare le adeguate misure per eliminarlo o almeno a ridurlo, avvalendosi della collaborazione del RSPP (Responsabile sicurezza protezione e prevenzione) aziendale e del Medico Competente. È obbligatorio consultare preventivamente il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS, individuato all’interno dell’azienda, o il RLST, in ambito territoriale) e coinvolgere attivamente i lavoratori interessati. La valutazione dello stress da lavoro è “parte integrante della valutazione dei rischi” ed i suoi risultati devono essere inseriti all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR).
In Italia la gestione dello stress avviene quasi esclusivamente tramite la medicalizzazione. E lo psicologo?
Nelle strutture di maggior complessità o con presenza di rischi di natura diversa, è necessario infatti operare con un approccio multidisciplinare. Lo psicologo diventa quindi una figura centrale di riferimento quando si affronta il tema dello stress e degli altri rischi psicosociali nei luoghi di lavoro. Non si tratta di verificare semplicemente se il datore di lavoro abbia somministrato un test di valutazione e formato i lavoratori attraverso un corso specifico.
Le aziende si devono premurare di predisporre un piano di informazione, sensibilizzazione e monitoraggio che si esprime in una serie di azioni. In questo contesto allargato lo psicologo è colui che analizza il contesto – il clima e la cultura organizzativa – in collaborazione con il datore di lavoro; effettua colloqui e/o focus group e/o interviste ai lavoratori; predispone, in collaborazione con il medico competente, un piano di intervento volto a contenere le eventuali criticità se evidenziate o prevenire gli eventuali rischi. Non è più il tempo di ignorare il disagio psichico, relazionale e sociale, neppure al lavoro.
Parliamo di carichi di lavoro esagerati, pressione sui tempi di realizzazione e consegna, attivazione continua da diversi stimoli e fonti di informazione, responsabilità sproporzionate, eccesso di decisioni da prendere, mancanza di controllo e autonomia sul proprio lavoro, conflitti, mancanza di equità, relazioni tossiche. Per chi è responsabile di persone, riguarda direttamente il modo in cui vengono assegnati gli incarichi e gli obiettivi; riguarda la consapevolezza che, se vengono assegnati al team ulteriori compiti, si dovrà necessariamente rinunciare ad altri o posticiparli.
Il disagio del lavoratore non dipende solo dalla sua percezione e dalla resilienza individuale; occorre lavorare anche sul contesto lavorativo per renderlo un posto migliore per lo svolgimento di quel lavoro. Se siamo manager o leader è necessario interiorizzare qualche nozione chiave in ambito psicologico a proposito dell’impatto che il proprio comportamento ha sulla possibilità di creare, anche involontariamente, un ambiente a rischio burnout per i nostri collaboratori.
Dobbiamo per esempio evitare l’utilizzo di un linguaggio negativo, caratterizzato da connotazioni giudicanti dei comportamenti; dobbiamo cercare di avere comportamenti coerenti e costanti, per ridurre incertezza ed eccessiva complessità spesso insite nel lavoro. Evitiamo poi l’emotività incontrollata, al lavoro meglio preferire calma e stabilità.
Favoriamo il pensiero positivo, che non significa ottimismo ingiustificato, è un elemento motivante per l’altro: manteniamo una vista obiettiva ed ecosistemica basata sui fatti, ma con uno sguardo alle opportunità piuttosto che ai problemi. Inoltre più siamo immersi nel nostro sentire, maggiore è il rischio di ignorare ciò che sta accadendo agli altri, perché diventiamo autoreferenziali. L’empatia è uno degli antidoti migliori per prevenire il burnout. È importante misurare numeri, risultati, performance quanto osservare come le persone stanno, come si sentono, gli umori ed i silenzi.
Perché stare bene al lavoro fa bene al lavoro!