La campagna elettorale sui social: la Lega principale player. Seguono Pd e Fdi. Salvini, il leader con l’investimento più alto
Il Movimento 5 Stelle non ha fatto registrare l?impegno di capitali per le principali piattaforme. Solo in tre su TikTok: non garantisce visibilità
Con la maggior parte dei talk show televisivi in pausa e in attesa che i singoli candidati, ora che si sono chiuse le liste, si mobilitino nei propri collegi, questa campagna elettorale estiva ha cominciato a scaldare i motori con i leader e i partiti che, dai propri profili, sono ricorsi ai social media non solo per commentare l’attualità e iniziare le prime schermaglie con gli antagonisti, ma anche investendo in pubblicità su Facebook e Instagram per veicolare i primi messaggi in vista del rush finale di settembre.
Meta, Lega e Pd in testa
Chiunque di noi può oggi consultare i loro investimenti grazie a una piattaforma – “Libreria Inserzioni”, basta cercarla su Google – che Meta, la società che possiede i due social network più diffusi, ha messo a disposizione per osservare le inserzioni e gli importi spesi per le campagne pubblicitarie di carattere politico e sociale.
Se negli ultimi 90 giorni, periodo nel quale si è tenuta la recente tornata amministrativa, la Lega ha speso il doppio del Partito Democratico e se non risultano inserzioni da parte del Movimento 5 Stelle, si nota la crescita che negli ultimi 30 giorni, dalle dimissioni del Governo Draghi, ha visto attivi questi due partiti sia in termini di budget pianificato che di numero di inserzioni differenti. Minore pare al momento l’investimento online da parte di Fratelli d’Italia che di certo ha preferito ricorrere ai più classici manifesti elettorali: il messaggio trasversale che ha inteso accreditare Giorgia Meloni come possibile leader del nuovo Governo non ha infatti bisogno delle funzionalità che i social media offrono per indirizzare pubblicità specifiche in ragione di segmenti di elettorato diversi per età, interessi e comportamenti.
La possibilità offerta ai cittadini di monitorare le inserzioni e gli investimenti sui social media nasce proprio dall’obbligo, imposto a Meta dal Congresso USA, di fornire uno strumento di trasparenza della pubblicità politica e di limitare il ricorso al micro-targeting che è stato alla base dello scandalo Cambridge Analytica nel 2018.
TikTok, tutti “cauti”
Tutt’altra strada ha intrapreso TikTok, che non ammette pubblicità politica e che nel nostro Paese ha nell’ultimo anno raddoppiato gli utenti fino a sfiorare i 15 milioni mensili e che non risultano però esenti, nonostante la più giovane età, dal commentare le vicende dell’attualità: negli ultimi 30 giorni in Italia, i tre hashtag di informazione più popolari sono stati “elezioni” (58,5 milioni di visualizzazioni), “draghi” e “politica” e la fascia demografica più esposta ai relativi video è stata quella 18-24, il 50% di chi ha visto video con #elezioni.
Fra i video di maggior successo ve ne è uno, di Federica Cacci, che con il suo smarrimento di fronte a questa campagna elettorale ha raggiunto le 545mila visualizzazioni e il profilo politico più attivo è @giovani_di_destra con 54mila follower e 2,5 milioni di like. Eccetto Matteo Salvini (su TikTok dal 2019), Giuseppe Conte (presente dallo scorso aprile) e Carlo Calenda (solo da pochi giorni), i leader italiani sono finora stati molto cauti nel pubblicare contenuti su TikTok per almeno due ragioni: la perdita di controllo dei messaggi veicolati e il diverso algoritmo che questa piattaforma utilizza rispetto a Facebook e Instagram.
Quanto al primo aspetto, i video caricati su TikTok possono infatti essere resi facilmente oggetto di Duetti e Stitch ovvero di nuovi video da parte di altri utenti che, prendendone stralci, possono farne il verso. In secondo luogo, l’algoritmo di TikTok ovvero la formula che influenza la visibilità di un contenuto, è basato in misura minore sul numero di follower e molto di più sulla percentuale di completamento della visualizzazione dei video: insieme alla maggior personalizzazione dell’esperienza garantita dalla app, TikTok offre dunque una minore garanzia, per i leader, di avere visibilità e controllo della propria comunicazione.
Ciò non significa che questa piattaforma non possa essere, come accaduto negli Stati Uniti, un ambiente di conversazione politica e di mobilitazione elettorale: l’aggregazione di comunità verticali e anche di culture alternative attorno all’hashtag “ombrello” #alttok (alternative tiktok) può renderla terreno per gli attivisti politici che sappiano parlare ad un pubblico giovane, posto di fronte alle prime esperienze alle urne.
I nuovi fattori
In un contesto di forte astensionismo, questo ruolo “dal basso” dei social media, accanto alle possibili manifestazioni di voto da parte di personaggi pubblici e influencer, rappresentano forse gli aspetti più interessanti dell’uso della comunicazione politica digitale.
Da qui al 25 settembre, è solo l’inizio.