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    Omicidio
    Generic, Home, Politica
    20 Ottobre 2022
    ore
    08:01 Logo Newsguard
    La riflessione

    Omicidio Martinelli. Lavagno: «Perseguiamo l’idea di una città che educhi»

    «Potremmo certamente invocare una spinta securitaria, ma forse dimenticheremmo che i fatti si sarebbero svolti in un luogo pubblico ed in orario diurno»

    CASALE – Anche il consigliere comunale del Pd, Fabio Lavagno, interviene con una riflessione sulla tragica morte di Cristian Martinelli, vittima di un pestaggio avvenuto in stazione venerdì nel primo pomeriggio.

    «Il pestaggio e la conseguente morte di Cristian Martinelli è un fatto grave che deve interrogare tutti noi, nessuno escluso.
    Un fatto grave, forse il più grave di quelli avvenuti negli ultimi anni a Casale e nel Monferrato, avvenuto fuori dalle mura domestiche, fuori dalle relazioni e avvenuto apparentemente – saranno le indagini a confermarlo o meno – senza una reale ragione» dice l’esponente dem.

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    «Ecco, le cose apparentemente senza una ragione sono forse le più difficili da essere comprese e che rischiano di tramutare le azioni in emozioni, le intenzioni in disattenzioni, perdendo ulteriormente la rotta. Se occorre interrogarci bisogna partire da dei quesiti e per quanto scomode possano essere quelle domande cercare di non eluderle e ciascuno provare a darvi delle risposte.
    Quando è che abbiamo smesso di pensare, progettare, programmare la nostra città come una città educante? Quando e perché abbiamo deciso che i giovani non debbano essere i destinatari privilegiati delle politiche sociali? Quando abbiamo smesso di considerare le fasce più giovani della popolazione come soggetti attivi capaci di vivere il presente e progettare il futuro? Sono stati errori, gravissimi. Perché, dobbiamo ammetterlo, queste cose sono accadute ed anche in questo caso senza apparentemente una ragione» continua la riflessione.

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    «A lungo abbiamo pensato che la scuola potesse assolvere a tutti i compiti che toccassero i giovani e la loro sfera. Abbiamo immaginato (e stiamo continuando a farlo) un’organizzazione del mondo “scuolacentrica”, specie nello scaricare i problemi, ma senza dotare questa istituzione di strumenti idonei, spazi adeguati, risorse umane ed economiche congrue e capaci di assolvere ad un compito tanto immane e che nella sua interezza non le è neanche proprio. Lo abbiamo fatto spostando sempre più l’asticella dalla formazione umana e culturale all’addestramento delle competenze in un’ottica di occupazione professionale. Aspettativa, quella dell’occupazione, che il territorio in questo tempo – estrema beffa – non è nemmeno più in grado di soddisfare. Abbiamo immaginato questo modello “scuolacentrico” in modo superficiale e contraddittorio, dimenticandoci ad esempio che le attività scolastiche, meglio didattiche, sono sospese nei mesi estivi e quindi non continue nell’arco dell’anno ed oggi qualcuno le vorrebbe anche ridotte nell’arco temporale della settimana. A dire il vero la scuola ha anche provato ad espandere qualitativamente il proprio tempo, ma non può che scontrarsi con il limite e la dicotomia, inevitabilmente sempre presente, tra attività didattica e il presunto “mondo reale”, tra tempo-scuola e tempo-libero. Il tempo-libero, tanto o poco che sia, è rimasto non presidiato da parte dell’offerta comunale fin dai tempi della chiusura progressiva e apparentemente anche questa senza una ragione dei centri di aggregazione comunali. La recente rimodulazione dell’orario della biblioteca civica aperta tutte le mattine e poco e raramente al pomeriggio, per presunte ragioni di risparmio energetico, sembra urlare: “la biblioteca è aperta per i pensionati al mattino (per i quali i luoghi di ritrovo non mi pare manchino), ed è sostanzialmente chiusa per gli studenti, i quali possono pure arrangiarsi e cercarsi un altro luogo”. Accidenti! Non avremo più alibi quando paternalisticamente accuseremo i giovani di essere più propensi alla scrittura/lettura digitale che non alla più tradizione trasmissione del sapere o all’interazione interpersonale. Pazienza, ci inventeremo qualcosa d’altro, d’altra parte stiamo pur sempre parlando della stessa generazione che abbiamo sacrificato a due anni di didattica a distanza e di astensione dalle praticare qualsiasi attività sportiva o ricreativa» va avanti Lavagno.

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    «A chi è affidato il tempo-libero, che è comunque un tempo di crescita, di relazione di socialità? In buona parte alla società sportive che meritoriamente perseguono le proprie attività educando un gran numero ragazzi e ragazze. Certamente alle associazioni di volontariato che intervengono su fasce di bisogno spesso lasciate libere improvvidamente dall’iniziativa pubblica. Vale la pena, poi, non dimenticare le esperienze oratoriali che altrettanto meritoriamente svolgono attività
    improntate a valori universali e solidaristici prima ancora che confessionali. Certamente, poi buona parte è affidata all’offerta degli esercizi privati che più che legittimamente perseguono la loro attività di natura prevalentemente economica. Esiste, però, in tutto questo un quadro in cui si persegue una progettualità comune? Oppure prevalgono scelte individuali, on-demand, basate sulle possibilità (anche economiche), sulle offerte, sulle mode o sulla casualità? In definitiva esistono politiche che, anche a fronte degli errori del passato, sappiano e possano indirizzare il corso delle cose? Lo dico in totale franchezza: non mi pare proprio».

    Investimenti insufficienti: «Le politiche giovanili – oggi Assessorato alla Gioventù – nacquero decenni fa, in modo forse sbagliato, ma lodevole, come risposta alle sole problematiche legate alle questioni dei giovani, tentando di offrire delle risposte. Oggi qualcuno si scandalizza se il dipartimento dell’ASL che si occupa di dipendenze praticamente non ha il personale sufficiente per seguire gli utenti (per quanto in crescita) e figurarsi fare prevenzione? Eppure parliamo costantemente di alcolismo, tossicodipendenze senza farci mancare la new-entry della ludopatia. Qualcuno si è mai scandalizzato negli anni nel vedere l’irrisorietà della posta (da sempre) messa a bilancio sui capitoli delle politiche giovanili (o Assessorato alla Gioventù che dir si voglia)? Se non ci scandalizziamo, se non sappiamo dare una risposta collettiva come possiamo rispondere ai fatti di venerdì scorso? Possiamo certamente farci sopraffare dalle emozioni e sbagliare ulteriormente le azioni, magari invocando una telecamera in più o esigendo un pattugliamento ubiquo e perenne da parte delle Forze dell’Ordine. Una telecamera in più avrebbe evitato quello che è accaduto? Vogliamo o no riconoscere merito alle Forze dell’Ordine che svolgono egregiamente un compito enorme su un territorio vasto con una certa ristrettezza di personale e mezzi, rendendo, anche grazie alla loro opera, una realtà tutto sommato (e per fortuna) tranquilla? Potremmo certamente invocare una spinta securitaria, ma forse dimenticheremmo che i fatti si sarebbero svolti in un luogo pubblico ed in orario diurno, cosa chiederemmo allora se il tutto fosse avvenuto in una zona isolata e di notte? Sarebbe facile dire la stazione di Casale è inpresidiata e non frequentata perché ormai da quella stazione non passano i treni (e sarebbe bene, per tante ragioni, che tornassero a passare!). Però i fatti si sono svolti quando da lì più di qualcuno ci passava. Questa volta – sembra – ci siamo evitati l’onta del voyeurismo della ripresa video, ma forse avremmo potuto azzardare l’atto eroico di una telefonata che forse avrebbe potuto cambiare il corso dei fatti. Esiste una ragione alla violenza gratuita e soprattutto alla sua presunta impunità di quando questa viene agita?».

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    «Faccio queste riflessioni, non con spirito polemico – e laddove il lettore può ravvisarne qualche sprazzo è perché proprio non se ne poteva fare a meno – perché sono fatti che mi hanno colpito ed hanno colpito molte delle tante persone con cui ho parlato in questi giorni. Certamente queste parole non possono in alcun modo riportare alla vita un trentacinquenne morto in quelle circostanze e tanto meno essere di conforto alle persone care che l’hanno perduto. Al destino del giovane o dei giovani aggressori penseranno gli inquirenti e la Giustizia, con buona pace di chi (giustamente) ancora ripone fiducia nel valore riabilitativo dell’istituzione carceraria. Le parole restano allora parole? Spero, proprio di no. Vorrei che di queste riflessioni nessuno si sentisse accusato, ma ciascuno, coinvolto per proprio ruolo e funzione, comunemente ingaggiati nel dare il proprio contributo affinché dagli sbagli si possa migliorare e perché le cose apparentemente senza ragione non solo trovino una causa, ma soprattutto una spiegazione. Perseguendo ancora insieme l’idea di una città che sappia educare, e magari tra qualche anno, non certamente subito, troveremo una comunità più ricca, capace non solo di rassicurare temporaneamente, ma capace di essere davvero sicura».

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