Favretto a Conzano: «Ricordare per costruire il futuro»
Lo storico oratore alla commemorazione dei Caduti e alla Festa delle Forze Armate
CONZANO – Sabato si sono commemorati i Caduti e le Forze Armate a Conzano. A tenere l’orazione ufficiale l’avvocato e storico Sergio Favretto. Di seguito l’intervento completo.
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Conzano, negli ultimi anni, è la realtà comunale a livello provinciale che ha realizzato più di altri eventi di cultura, di memoria artistica, di ricordo e valorizzazione della identità sociale monferrina. Oggi, compiamo un altro evento altrettanto significativo: ricordiamo un periodo storico bellico che ha segnato il nostro Paese nel 1915-1918. Non solo, celebriamo l’Unità Nazionale e delle Forze Armate, ricordiamo tutte le vittime delle guerre.
Ricordare è un dovere. Molte volte nella vita siamo chiamati a dimenticare, per andare avanti e procedere, dobbiamo sorvolare, scordare fatti e protagonisti. Dobbiamo invece ricordare spesso per capire il passato e interpretare il presente e costruire il futuro. Ricordare è un obbligo.
Se interrogassimo un passante o un giovane, ci saprebbero dire che la guerra del 15-18 fu un evento epocale, un fatto drammatico che coinvolse tutta l’Italia. C’è oggi, infatti, la percezione che quegli anni determinarono la storia del nostro Paese. Nel corso del periodo 2018-2022 sono stati pubblicati una trentina di saggi su questo tema, molti documentari televisivi hanno approfondito le vicende vissute allora dalla popolazione italiana; è stata allestita una varia e significativa programmazione di momenti celebrativi, la scuola e l’informazione hanno diffuso studi e ricerche. Ma non fu solo un evento bellico. Proviamo a riflettere.
La fase bellica del 15-18 ha coinvolto pesantemente anche il Monferrato. Da Casale, da Moncalvo, dalle città limitrofe come Valenza, Trino, Vercelli, Asti; dai vari comuni collinari e della pianura verso la Lomellina e il Chivassese, fu cospicua la partecipazione di militari, giovani soldati e ufficiali chiamati al conflitto nelle aree di guerra. Ancora oggi, in ogni paese del Monferrato e nei grandi centri di riferimento, si ricordano le vittime con lapidi, tombe collettive, sacrari, monumenti.
Molto spesso si rammentano le vittorie e le sconfitte, le imprese ardite, i grandi generali, i singoli eroismi, ma si dimenticano gli effetti della guerra sulle famiglie, sui paesi di frontiera, sulle comunità e sul territorio. Ogni conflitto porta con sé un derivato ed un connesso fatto di distruzione, di spreco, di arretramento culturale e sociale, di blocco economico.
Nella guerra del 15-18 tutto avvenne in modo esponenziale, perché non fu una guerra lampo ed una guerra circoscritta, ma una tragedia lunga e coinvolgente gran parte dell’Italia. Pur a fronte della dialettica interventisti e non interventisti, vi fu una adesione di massa alla guerra, pilotata dai politici e dall’esercito; per anni la società italiana non vide altre speranze ed obiettivi se non quelli di vincere, pur registrando costi immani.
Tutto s’inceppò: la demografia, i percorsi del lavoro e dell’istruzione, il progresso scientifico, la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del Paese, la corretta e normale gestione del territorio agricolo e turistico.
Nel Monferrato, anche se non scenario bellico di frontiera, società ed economia si fermarono. L’incertezza dell’esito, le partenze dei giovani al fronte, l’impoverimento generale delle piccole realtà contadine ed operaie, le famiglie private della forza lavoro più esperta sono i fattori che produssero un arresto sociale collettivo.
Con il reclutamento dell’esercito, con i giovani anche volontari, venne coinvolta grande parte di una generazione. Nelle trincee e nelle battaglie campali, nelle varie imprese belliche, ogni singolo giovane portava con se il senso patrio accanto all’affetto familiare. Si inviavano lettere, si tessevano rapporti, si scrivevano poesie e si componevano canti popolari e di guerra. Il combattente non era isolato, la famiglia era forse l’unico ancoraggio in un contesto di rischio e di incertezza di vita. Eppure i progetti di vita mutarono; le ipotesi di matrimonio si rinviarono, interi nuclei vennero sconvolti dai decessi e dalle invalidità. Molti reports e memorie pervenute fino a noi, molti messaggi e lettere ci regalano uno spaccato di forte intensità emotiva.
Lontano dalla guerra, nei comuni del Monferrato le famiglie si mobilitarono per assistere i soldati feriti o mutilati ritornati a casa; vennero costituiti dei fondi di denaro, delle associazioni volontarie, si alimentarono sottoscrizioni; anche i comuni intervennero con il loro sostegno organizzativo. Per molti anni, il volontariato e le istituzioni assicurarono riconoscenza e sostegno alle famiglie delle vittime della guerra. La guerra del 15-18 arrecò ai cinquanta paesi del Monferrato danni umani e sociali rilevanti: 3100 sono stati i decessi e i feriti in combattimento, 1100 i mutilati permanenti, 4200 i malati e feriti.
Nei vari archivi, nelle stamperie prima e poi nelle librerie, nelle biblioteche, nei primi decenni dal termine della guerra si intensificarono le redazioni e pubblicazioni di memorie, di diari ed appunti. Si raccolsero scritti, si riordinarono relazioni ed appunti di guerra. Anche nell’archivio di Moncalvo, di Trino, di Asti e di Casale e di altri comuni monferrini vi sono prodotti e documenti di grande rilievo memorialistico. Sono tutti elementi che servono allo storico e al ricercatore per verificare e documentare l’impatto bellico nella società di riferimento, per ricostruire l’apporto dei singoli all’interno ad una esperienza collettiva di guerra.
L’evento bellico si sovrappose ad una realtà economica e sociale in trasformazione, con pulsioni culturali di cambiamento già avvertite e istanze di nuove e aperte istituzioni.
Dalla memorialistica si pervenne molto presto alla vera letteratura di guerra o sorta sull’incipit della guerra: si pensi a “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Enrich Marie Remarque, a “Un anno sull’altopiano” di Emilio Lussu, a “Addio alle armi” scritto da Ernest Hemingway, a “Giornale di guerra e di prigionia” di Carlo Emilio Gadda, alle opere di Umberto Saba e di Beppe Ungaretti, di Eugenio Montale.
Recentemente è uscito il romanzo “Aiutavo il destino” di Corrado Bertinotti, storia romanzata del nonno calciatore del Casale Football Calcio, soldato partito per il fronte in Carnia e Friuli dopo aver vinto lo scudetto nel 1914. Tutta una letteratura scritta dal fronte, che ha tratto ispirazione dalla guerra e dal sacrificio dei militari sul fronte. Le pagine della letteratura ci consegnano un respiro profondo del clima della Grande Guerra, fatto di sacrifico umano e di tanta coscienza civile e coraggio singolo.
L’assurdità e la crudeltà di una guerra imponente e diffusiva ci devono portare ad una nuova considerazione ed apprezzamento dell’antipodo della guerra e cioè la pace. I 100 anni che ci separano dalla data della conclusione del conflitto hanno visto altre guerre nei vari scenari europei, dalla Seconda Guerra Mondiale alle guerre nei Balcani, dalle guerre sulle sponde del Mediterraneo alle guerre nel Medio Oriente alla guerra fra Russia e Ucraina. L’intera Europa deve essere preservata da ogni ipotesi di conflitto, perché la maturità di un popolo e di una nazione si misura innanzitutto dalla sua propensione per la pace, dalla sua operatività per la pace. Oggi viviamo tempi di guerra, assurda e troppo coinvolgente popolazioni, famiglie e istituzioni europee.
Qui, oggi, dobbiamo ricordare non solo la grande guerra, scoppiata e coltivata nel cuore dell’Europa, ma il ruolo e la funzione positiva delle Forze Armate, intese come garanzia di democrazia e sviluppo, come deterrente per pericoli di offesa sempre possibili. In questi giorni vi sono numerosi messaggi pubblicitari che sottolineano come le Forse Armate si siano specializzate con nuove tecnologie, con ricerche e sperimentazioni organizzative e logistiche. Aggiungiamo, invece, come le Forze Armate si sono sempre più impegnate per missioni di pace, per interventi straordinari nelle emergenze, per la tutela della sicurezza pubblica, per la valorizzazione e difesa del patrimonio ambientale e artistico.
Le Forze Armate sono di tutti, sono un patrimonio comune e espressione di una identità culturale e di pace. Dovremmo sostituire l’immagine dei grandi cimiteri collettivi come Redipuglia, delle trincee ricostruite nel Carso o delle migliaia di monumenti ai caduti sparsi nelle nostre città e borghi, con immagini di pace, di abbraccio fra popoli, di incontri fra etnie, di mani tese a salvare.
Ricordare un conflitto, la sua irragionevolezza deve portarci ad esclamare Viva l’Italia, Viva la Pace, Viva l’Europa.