Solvay e la chiusura dell’inchiesta: “Le imputazioni appaiono ridimensionate”
La Procura ipotizza un disastro ambientale colposo (bis) e accusa due dirigenti
La Procura di Alessandria ha chiuso l’indagine contro il polo chimico
ALESSANDRIA – La Procura della Repubblica di Alessandria ha chiuso l’inchiesta contro il polo chimico di Spinetta Marengo e contesta a Stefano Bigini, 62 anni (dal 2008 e fino al dicembre 2018 direttore di stabilimento), e ad Andrea Diotto, 47 anni (dal 1° gennaio 2013 direttore dell’Unità di produzione fluidi e dal 1° settembre 2018 direttore di stabilimento), un’ipotesi di disastro ambientale colposo.
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La Procura ipotizza un disastro ambientale colposo (bis) e accusa due dirigenti
Imputa, inoltre, all’azienda la responsabilità amministrativa (ex articolo 25 del 18 giugno 2001 con riferimento al reato di disastro ambientale colposo), commessa a vantaggio e nell’interesse dell’ente per il risparmio dei costi di bonifica e la maggiore efficacia della produzione industriale.
I due direttori di Solvay di Spinetta Marengo – sito sottoposto a bonifica per l’inquinamento pregresso – per la pubblica accusa avrebbero omesso di provvedere al più efficace risanamento della pregressa contaminazione del sito e al più sicuro contenimento del rilascio dei contaminanti sia nella falda sotto lo stabilimento che a valle. Avrebbero poi continuato ad inquinare il terreno e le acque di falda dove, fin dal marzo 2019, i monitoraggi di Arpa avrebbero appurato la costante presenza di inquinanti riferibili alle produzioni di Solvay (si parla di Pfas tra i quali il cC6O4).
Situazione che indicherebbe la mancata integrale tenuta delle tubature interne, oggetto di un processo di revisione e controllo potenziato solo dopo la determinazione dirigenziale del Comune di Alessandria del 4 marzo 2021.
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Nel lungo avviso della conclusione delle indagini preliminari, viene esaminata la tenuta della barriera idraulica avviata nel 2007 e implementata successivamente (a più riprese): sembra si sia dimostrata inefficace già nel marzo 2014 e nel dicembre 2019 quando si riscontrarono innalzamenti della falda. Un fatto che sembra abbia determinato la parziale fuoriuscita dei contaminanti storici come il cromo esavalente. Fuoriuscita, quest’ultima, indicata dalla presenza di cC6O4 all’esterno dello stabilimento (e con lo stesso cC6O4 vennero rilevati anche ADV e PFOA).
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Gli indagati, Bigini e Diotto, avrebbero omesso di contenere il dilavamento e il trascinamento dei materiali di scarto del processo produttivo, contenenti PFAS e movimentati all’aperto: si parla di fanghi e gessi infiltrati nel terreno perché conservati in modo inidoneo (come, per esempio, discariche senza la corretta copertura contro gli agenti atmosferici).
Per la Procura, nelle persone del procuratore capo Enrico Cieri e del sostituto Eleonora Guerra, si tratterebbe di omissioni colpose che avrebbero aggravato una già sensibile situazione ambientale. Fatti contestati a partire dal dicembre 2015.
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Il nuovo caso che vede coinvolta Solvay è solo agli inizi. L’indagine aveva preso avvio nel giugno 2020 dopo l’esposto depositato dal Wwf assistito dall’avvocato Vittorio Spallasso.
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