‘Io capitano’ di Matteo Garrone
Confermandosi ben saldo nel suo stile in bilico tra crudo realismo e affabulazione, Garrone dà vita a un film che è quanto di più legato alla storia dei nostri giorni si possa trovare al cinema, eppure si configura anche come il più classico romanzo di formazione
Forte di una carriera già ricca di riconoscimenti, a partire dal 2003 con i David di Donatello e i Nastri d’Argento per “L’imbalsamatore”, “Gomorra” (anche Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2008), “Il racconto dei racconti” e “Dogman”, Matteo Garrone conquista la giuria di Venezia 80, vedendosi attribuire il Leone d’Argento per la miglior regia con “Io capitano”, in cui narra – attraverso l’odissea dal Senegal alla costa siciliana dei due giovani Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) – il dramma di qualsiasi popolo migrante.
Confermandosi ben saldo nel suo stile in bilico tra crudo realismo e affabulazione, Garrone dà vita a un film che sarebbe riduttivo collocare semplicemente nella pur vasta schiera delle opere cronachistiche o documentarie, a dispetto del tema trattato, che è quanto di più legato alla storia dei nostri giorni si possa trovare al cinema.
Grazie soprattutto alle interpretazioni spontanee ma niente affatto dilettantesche dei due giovani attori (Farr, 23 anni; Sarr, 21 anni, vincitore del Premio Marcello Mastroianni per il miglior attore emergente e con alle spalle una storia familiare simile a quella del protagonista), “Io capitano” si configura anche e soprattutto come un romanzo di formazione in piena regola, in cui dallo stato di apparente armonia ma anche di limitante immaturità iniziale si passa, attraverso prove sempre più difficili e impegnative, a una condizione di affrancamento dal giogo di un mondo spietato ma anche dalle proprie paure.
«Sono andato a Thiès, a un’ora e mezza da Dakar, per fare il primo provino per il film e mi hanno chiamato», racconta Seydou Sarr al “Corriere della Sera”. «Come tanti miei coetanei studiavo, nel tempo libero giocava a calcio con gli amici. Il mio sogno a occhi aperti? Diventare un grandissimo giocatore. La difficoltà maggiore per me è stata prendere confidenza con la telecamera. Appunto, non avevo mai recitato in un film, l’idea mi emozionava. Ma l’ho superata, in qualche modo è venuto naturale».
Del resto il film – proposto in sala nelle lingue in cui è stato girato, gergo Wolof senegalese (l’idioma parlato dall’omonima etnia, che rappresenta il 40% della popolazione del Senegal) e francese, con i sottotitoli in italiano – è ispirato alla vera storia di Kouassi Pli Adama Mamadou, attivista del Centro sociale ex Canapificio e del Movimento migranti e rifugiati di Caserta e di Fofana Amara: il primo in Italia da quindici anni, dopo avere trascorso quaranta mesi in un campo di detenzione e tortura in Libia; il secondo arrestato e condannato come scafista per avere tratto in salvo un centinaio di migranti in fuga verso l’Italia su di una carretta del mare.
Gli sceneggiatori Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri hanno trasposto le loro vite in una potentissima narrazione per immagini supportata dallo stile visionario di Garrone, che lavora sui colori accesi (gli ocra e i marroni del Marocco e di Dakar, capitale del Senegal, dove in tre mesi si sono svolte le riprese), sul contrasto fra la luce accecante dei giorni nel deserto e il buio assoluto delle notti in marcia tra le dune o nell’accozzaglia di corpi dentro un’imbarcazione che va alla deriva in mezzo alle onde; come sulle inquadrature dall’alto e in campo lungo, che restituiscono l’idea di uno spazio immenso e terribilmente vuoto, nel quale, però, si inseriscono elementi che appartengono a una dimensione magica (vedi l’immagine della donna che fluttua nell’aria, tenuta per mano da Seydou) o che rimandano a una condizione universale (la lunga fila di migranti, ridotti a silhouette scure, che attraversano una pista di cui non si percepisce la fine e assurgono a simbolo di un’umanità ferita che raggruppa la storia di popoli ed epoche differenti).
Il regista Garrone, in un’intervista a Radio Capital, ha così sintetizzato il messaggio del film, che pone al centro le più giovani generazioni: «Credo sia legittimo, umano, che due ragazzi giovani cerchino di trovare condizioni migliori. La globalizzazione è arrivata forte lì come lo è qua, hanno una finestra costante sull’Europa. Il 70% della popolazione africana è composta da giovani e tra di loro c’è chi decide di cercare di avere occasioni per una vita migliore. Ci sono diversi tipi di immigrazione: c’è chi migra per la guerra e per disperazione assoluta, ma c’è anche chi lo fa perché è giovane, ha voglia di conoscere il mondo e cercare opportunità migliori, tornando poi indietro dalla famiglia. […] Ho vissuto un periodo lungo con tutti loro, siamo stati insieme per tre mesi e tutti quei ragazzi avevano un punto in comune: non sanno darsi risposte sul fatto che vedono altri coetanei, che spesso parlano la loro stessa lingua e che possono venire liberamente in vacanza nel loro Paese, mentre loro non possono andare in Europa».
Io capitano
Origine: Italia, 2023, 121’
Regia: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri
Fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Marco Spoletini
Musica: Andrea Farri
Cast: Affif Ben Badra, Issaka Sawadogo, Seydou Sarr, Bamar Kane, Oumar Diaw, Hichem Yacoubi, Joseph Beddelem, Taha Benaim, Moustapha Fall, Princess Erika, Flaure B.B. Kabore, Didier Njikam, Mariam Kaba, Emilie Adams, Cheick Ndiaye, Adbellah Elbkiri, Mohamed Amine Kihel, Mouhamed Gaye, Aly Niang, Bidar Abdelahad, Beatrice Gnonko, Babacar Diop
Produzione: Archimede, Rai Cinema, Tarantula, Pathé
Distribuzione: 01 Distribution