AI: non è tutto oro quello che luccica
Avete mai provato ad acquistare pubblicità su Google? Parrebbe una cosa semplice e, nella sua versione di base, in effetti lo è: basta scegliere le ricerche per cui apparire e scrivere un annuncio pubblicitario di poche righe. Da qualche tempo però, scegliere un titolo e una descrizione non è più possibile: occorre formulare un certo numero di titoli e un certo numero di descrizioni che Google ricombinerà a suo piacimento per individuare la combinazione di maggior successo, quella che genera più click e quindi più fatturato per lo stesso motore di ricerca.
Si tratta di uno dei tanti punti di ombra – accanto ad altrettanti punti di luce – che l’Intelligenza Artificiale sta gettando nel mondo del marketing digitale. Non solo Google, ma anche Meta stanno infatti introducendo soluzioni dai nomi promettenti – Performance Max e Advantage+ – ma dal significato chiaro: cari inserzionisti, ci pensiamo noi. Dateci un budget e individueremo la pianificazione pubblicitaria più efficace. Tutto questo peraltro proprio all’indomani dell’entrata in vigore, lo scorso 25 agosto, del Digital Services Act, la riforma europea che mira ad accrescere la trasparenza e il controllo dell’uso delle piattaforme digitali e che, grazie a queste nuove funzionalità, rischia di scontrarsi con una “black box” tanto per gli inserzionisti pubblicitari quanto per gli utenti finali.
La AI nasconde insidie di cui essere consapevoli: non si tratta di una tecnologia perché non opera sulla base di regole certe, ma delle informazioni sulla base delle quali è stata addestrata. Se si utilizza un algoritmo per scremare le candidature ricevute ed esso è addestrato su candidati del passato con alcune caratteristiche, esse si riprodurranno anche nelle nuove assunzioni. Come ha ammesso Volvo, se i manichini dei crash test hanno fattezze maschili, incidenti più gravi accadranno alle donne. Non perché non sappiano guidare, ma perché le auto non sono progettate per loro.