Sanità piemontese: cinque nodi a cui mettere mano nel 2024
L'intervento di Alberto Deambrogio, segretario piemontese del Prc-Se
TORINO – Alberto Deambrogio, segretario regionale piemontese del Prc-Se, propone una lunga riflessione sulla situazione della sanità in Piemonte. Di seguito in forma integrale.
Piemonte: sanità in grave crisi
La sanità piemontese è in grave crisi, come del resto testimoniano le quotidiane notizie che appaiono su ogni giornale. Il 2024 si apre non solo con molti problemi irrisolti, ma anche con la costante spada di Damocle dell’Autonomia regionale Differenziata, che va contrastata a fondo per evitare un nuovo assetto istituzionale in grado di affossare definitivamente il Servizio Sanitario anche in Piemonte. Occorre in ogni caso rilanciare la riflessione e l’azione politica necessarie per evitare di alzare bandiera bianca e lasciare che ognuno risolva da sé i propri problemi per come può.
I cinque “nodi” per Deambrogio
Cinque paiono i principali nodi a cui mettere mano.
Difendere la sanità pubblica
Il nostro SSN sta vivendo una stagione di declino. La copertura pubblica della spesa sanitaria, pur essendo ancora presente (74%) sta progressivamente diminuendo mentre cresce la spesa privata (oltre 40 miliardi quasi tutti provenienti direttamente dalle famiglie). Le previsioni di spesa pubblica per i prossimi anni vedranno l’Italia agli ultimi posti tra i paesi europei (circa il 6% del PIL contro il 9-10% dei paesi analoghi al nostro). L’universalismo del SSN è ormai solo un’etichetta: oltre 1/3 delle visite specialistiche e ¼ delle procedure diagnostiche sono a pagamento. La privatizzazione (tramite esternalizzazione) dei servizi è all’ordine del giorno, favorita da vincoli di bilancio sempre più stringenti e contradditori. Questa situazione, oltre a minacciare la salute, produce gravi disuguaglianze: in un momento in cui crescono povertà e disagio sociale, una quota crescente della popolazione è costretta a rinunciare alle cure.
Occorre contrastare questa deriva non solo rivendicando un maggior finanziamento pubblico (condizione indispensabile) ma orientandolo al principio fondamentale dell’universalismo. L’obiettivo deve essere l’adeguamento progressivo del sistema, offrendo una protezione universale a carico della fiscalità generale, evitando le inefficienze e le iniquità propri dei mercati privati, contrastando quei fenomeni (di scadimento qualitativo del servizio o di aumento dei costi al momento del consumo) che ormai constatiamo ogni giorno in Piemonte.
Per preservare l’universalismo occorre rilanciare alcuni principi fondanti sempre più trascurati:
- ripensare l’assetto istituzionale e organizzativo del sistema sanitario per mitigare i danni prodotti da decenni di aziendalizzazione e di cultura del mercato
- contrastare la crescente privatizzazione prodotta dalla esternalizzazione dei servizi e gli affidamenti al ribasso
- far evolvere l’approccio di cura verso la presa in carico e la medicina d’iniziativa
- ricercare l’integrazione tra servizi sanitari e servizi assistenziali (perché il bisogno di cura non riconosce gli attuali confini) e armonizzarla con l’insieme degli altri servizi che concorrono al benessere e promuovono, in modo indiretto, la salute.
Certamente molte di queste rivendicazioni riguardano l’ambito di intervento del governo nazionale. Ma la difesa del servizio sanitario pubblico richiede anche il contributo, irrinunciabile, dell’azione di governo della Regione.
Valorizzare le risorse professionali
L’assenza di programmazione e decenni di tetti e di tagli (strumenti principali di contenimento della spesa) hanno portato a una situazione di gravissima carenza quantitativa e a uno stato di diffusa sofferenza qualitativa. Le condizioni di lavoro, i carichi, le responsabilità e i rischi hanno accelerato l’abbandono o la fuga degli operatori (anche verso un mercato del lavoro privato che è stato colpevolmente alimentato e lasciato crescere). In questo momento il Governo propone di rimediare alle carenze facendo lavorare di più i pochi operatori rimasti con incentivi e lavoro straordinario!
Occorre chiedere di rimuovere i tetti e formare più professionisti, ma ribaltando l’approccio fin qui seguito. Un SSN che si adegua ai cambiamenti della società e che rinnova la propria attività non può lasciare immutata l’organizzazione del lavoro, le competenze e le relazioni fra professionisti. La riorganizzazione dei servizi ha bisogno di una riorganizzazione del lavoro e di una nuova ripartizione dei compiti, in particolare nell’organizzazione del personale. Specifica attenzione dovrebbe essere riservata al mondo delle professioni sanitarie, spesso ancora sottovalutate e sottoutilizzate, nonostante siano riconosciute come quelle più vicine ai pazienti.
Innovare il sistema: curare in modo attivo nel territorio
Lo stato di salute della popolazione piemontese (che vede, con l’invecchiamento, il prevalere di malattie croniche degenerative) richiede un profondo cambiamento nell’approccio alle cure. Al nostro attuale sistema basato sull’erogazione di singole prestazioni sanitarie (principalmente fruite in ospedale) occorre sostituire un sistema di presa in carico dei bisogni di cura (centrato sul territorio), che pianifichi, in modo attivo, la cura delle persone. Un sistema orientato a prevenire l’aggravamento della cronicità. Da anni si riconosce questa esigenza che però non va oltre le intenzioni. Eppure il futuro delle politiche sanitarie è nelle cure primarie, sul cui ammodernamento devono concentrarsi gli sforzi dei decisori e dei professionisti.
La riorganizzazione potrebbe essere delineata a partire dal Piano della Cronicità, già ampiamente definito a livello nazionale, con l’obiettivo di unificare le figure del medico del territorio, superare il lavoro in solitudine dello stesso, sviluppare la sanità di iniziativa, mettere lo specialista al servizio dei percorsi di diagnosi e cura (anche coinvolgendo i professionisti ospedalieri), individuare punti di riferimento sul territorio che affianchino – e sostituiscano quando possibile – la struttura ospedaliera (gruppi di cure, strutture di comunità, case della comunità, ecc.). Infine organizzare la medicina di famiglia in forme aggregate (multi-professionali) in grado di assicurare ampio accesso ai servizi territoriali e secondo modelli proattivi di cura, che assicurino anzitutto la presa in carico dei malati cronici.
Occorre mettere il paziente al centro del sistema e promuovere la continuità delle cure. Le malattie croniche, che dominano il quadro epidemiologico, rappresentano vere e proprie esperienze esistenziali: condizioni con cui si deve convivere e che producono bisogni non solo di cura (diagnosi, trattamenti, riabilitazione), ma anche e soprattutto di assistenza per sostenere le funzioni di vita (lavorare, nutrirsi, abitare, ecc.) compromesse dalla cronicità. Questi mutati bisogni richiedono al sistema dei servizi sociosanitari di adeguare la propria organizzazione ponendo i bisogni del paziente al centro della progettazione delle cure e dei servizi.
L’attuale governo regionale è lontano anni luce da questa consapevolezza:
- continua a sfornare piani ospedalieri puramente edilizi senza inquadrarli in progetti che riconoscano questi nuovi bisogni di cura e la necessità di innovare il sistema.
- continua a progettare strumenti di governo (i dipartimenti regionali, l’Azienda Zero!) senza farli operare perché non stabilisce le strategie, gli obiettivi verso cui orientare il nostro SSR.
Il PNRR porterà anche nella nostra regione investimenti per la costruzione di nuove strutture territoriali senza fornire indicazioni né risorse per il loro funzionamento. In assenza di un piano di sviluppo delle cure territoriali, in assenza di una traiettoria culturale di trasformazione dell’organizzazione territoriale attuale, queste nuove strutture sono destinate a rimanere scatole vuote, generatrici di problemi e frustrazioni ulteriori.
Rilanciare la prevenzione
Nel nostro Paese si verificano ancora eventi largamente prevenibili che comportano costi sociali elevati. Basta pensare all’infortunistica (stradale, domestica e lavorativa) o alle conseguenze sanitarie di alcuni stili di vita (eccessi alimentari, insufficiente attività fisica, abuso di sostanze, comportamenti a rischio) che sono all’origine della maggior parte delle malattie croniche che affliggono la nostra popolazione.
La prevenzione di questi fenomeni e la modifica di questi comportamenti potrebbe produrre significativi risparmi di risorse di cura e contribuirebbe a migliorare la qualità della vita. Per promuovere la salute, il sistema dei servizi socio-sanitari non basta. Occorre ricercare alleanze con altri soggetti e reti sociali che hanno a cuore il benessere comune: in primo luogo il mondo dell’educazione e, più in generale, quello del lavoro, della cultura, della comunicazione, della solidarietà. Occorre spostare sempre di più l’attenzione dall’erogazione degli interventi e delle singole prestazioni preventive (vaccini, esami diagnostici, ecc.) allo sviluppo di vere e proprie politiche di prevenzione capaci di far convergere verso obiettivi di salute gli interessi di produttori, cittadini e istituzioni.
Uscire dal coma e mettere la salute al centro
Il sistema dei servizi socio sanitari è solo uno dei tanti strumenti necessari per promuovere il benessere delle comunità. Occorre guardare in modo integrato a tutte le dimensioni del benessere e promuovere un’idea ampia di welfare che guardi all’insieme delle politiche sociali (la salute, il lavoro, l’istruzione, i trasporti, l’innovazione e la ricerca, la sicurezza sociale) favorendo la promozione e l’inclusione sociale. Certamente stiamo attraversando un momento difficile, ma una Regione assolve a compiti e dispone di risorse che possono contribuire al benessere comune e non può sottrarsi alle proprie responsabilità.
Bisogna uscire dallo stato soporifero che ha caratterizzato la stagione di Cirio e rilanciare l’iniziativa regionale pendendo atto di alcuni principi:
- denunciare i vincoli di finanza stabiliti da regole austeritarie e antisociali
- partire dai bisogni sanitari che si vuole soddisfare per decidere il livello di spesa socio sanitaria che si deve sostenere
- riordinare il sistema controllando il rispetto dei livelli di assistenza prima che dei tetti di spesa
- ripristinare gli strumenti di governo (la programmazione sanitaria con l’ormai dimenticato Piano, la valutazione della prestazione aziendale, la partecipazione democratica)
- adottare stabilmente il metodo della valutazione ex ante (dichiarando gli obiettivi di salute e di servizio che si intende raggiungere) ed ex post (verificando il reale raggiungimento di tali obiettivi)
Il Piemonte ha bisogno di un progetto per la salute, che responsabilizzi e impegni verso la salute gli amministratori, i professionisti e i cittadini. Occorre recuperare la visione d’insieme e insieme decidere obiettivi generali di governo del sistema sanitario, che consentano di superare localismi ed egoismi (chi dovrà rinunciare a qualche servizio deve poterlo fare in vista di vantaggi tangibili per la salute della propria popolazione, non in nome dei risparmi regionali).
È necessario ripristinare i metodi della democrazia, coinvolgendo le comunità locali e i loro rappresentanti nelle decisioni che le riguardano, nonché aumentare la trasparenza sugli atti del governo regionale e rendere fruibili le informazioni sullo stato di salute dei cittadini e sul funzionamento dei servizi. Al di là della prossima tornata elettorale regionale, se non si creeranno le condizioni complessive per affrontare davvero tutto questo di strada se ne farà poca. E’ la dimensione sociale e politica che si deve muovere e per certi versi reinventare. Bisogna provarci.