Casale: ieri le celebrazioni del Giorno della Memoria in Comunità
Per la prima volta senza il presidente Elio Carmi
CASALE – Ieri la Comunità Ebraica di Casale ha celebrato il Giorno della Memoria. Lo ha fatto per la prima volta senza Elio Carmi.
«È un momento molto difficile per cominciare le attività dell’anno, in una giornata che tutti noi dedichiamo al ricordo, con una gratitudine particolare per Elio Carmi. È difficile parlare di lui al passato, perché Elio è in tutti noi ed è in questa Comunità. Vedo tra il pubblico le persone che più amava, la sua famiglia, i suoi due nipoti, i suoi amici, persone che sono parte di questo momento che culminerà nel ricordo di tutti i deportati». Con queste parole Claudia De Benedetti, direttore del Museo Ebraico di Casale Monferrato, ha introdotto gli eventi di domenica 28 gennaio, data che la Comunità Ebraica monferrina ha dedicato al Giorno della Memoria.
Davide Romanin Jacur
Commosso anche l’ospite di questa domenica: Davide Romanin Jacur. Da tempo il calendario delle attività culturali prevedeva la presentazione del suo ultimo volume, ma anche lui si è unito al ricordo del presidente della Comunità scomparso l’8 gennaio. Poi nella veste di assessore dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane ci ha tenuto a ricordare il ruolo di Casale in un Giorno della Memoria vissuto da una prospettiva particolare: «Questa è la più piccola delle 21 comunità ebraiche italiane, un gioiellino a cui tutta l’Unione tiene. Memoria è una parola sviante, intorno a cui per 20 anni è stato fatto un florilegio di accezioni e, purtroppo, persino la giornata che abbiamo vissuto ieri in Italia sembrerebbe suggerirci che il lavoro compiuto è stato inutile, come se istituirla fosse stato il percorso conclusivo di qualcosa. Questo giorno però non è una celebrazione, né una festa ebraica, ma è un modo per non perdere di vista un insegnamento rivolto a tutti gli uomini: di non essere cannibali contro sé stessi. Molti popoli sono stati vittime dell’odio perché rappresentavano un’etnia o una religione, ma l’unicità della Shoah è stata nel condannare le persone per l’unica colpa di essere nati. Questo è il messaggio che dobbiamo tramandare».
Romanin Jacur è entrato poi nel merito del suo volume che di fatto prosegue quello presentato nel 2021: “KZ lager”. Quel suo primo lavoro descrive 23 siti di sterminio, non solo dal punto di vista della storia e della tragica logistica, ma soprattutto raccontando le sue impressioni, quelle degli studenti che ha accompagnato nel corso degli anni e le loro reazioni. I luoghi che hanno avuto a che fare con la Shoah, tuttavia sono molti di più: migliaia. In KZ2 Romanin Jacur ne racconta 372, un elenco utile anche per spiegare proprio il sistema industriale ed economico che prevedeva la consunzione totale di un uomo tra ghetti, campi di raccolta, campi di lavoro. Come spiega Romanin Jacur non erano tutti uguali: Treblinka ha funzionato solo per pochi mesi, assolvendo il suo compito della mera all’eliminazione per gas, altri come Mauthausen erano fortezze dove morire sadicamente di fatica e denutrizione.
La lettura dei 63 nomi
Solo la vittoria degli Alleati ha impedito che si raggiungesse la cifra degli 11.000.000 di Ebrei che i Nazisti prevedevano di eliminare. Si sono fermati a sei milioni, più uno con cui hanno polverizzato gli altri “non conformi” al loro pensiero o fenotipo. E per questo che ogni anno, di fronte alla lapide che ricorda i nomi dei deportati di Casale e Moncalvo, all’ingresso della sinagoga, vengono accesi sette lumi.
Adriana Ottolenghi, alla guida della Comunità, ha ricordato l’importanza del gesto. Claudia De Benedetti ha chiamato a farlo i rappresentanti della vita civile con cui questa realtà casalese è connessa. Il primo lume lo ha acceso il sindaco di Casale, Federico Riboldi, insieme alle Istituzioni presenti, il secondo don Francesco Mancinelli, per il mondo religioso e poi ancora la fiamma è passata ai rappresentanti delle forze dell’odine, ai bambini in rappresentanza del futuro, alla famiglia Carmi (Romanin recita una preghiera Elio), a chi proviene da un Israele messo a dura prova e a chi ha raccontato il gesto di un Giusto tra le nazioni. Poi lentamente vengono scanditi i nomi dei 63 cittadini finiti nel meccanismo del KZ. Oltre all’impegno a ricordarli, oggi sembra più che mai importante non dimenticare perché furono uccisi.