Giorno del Ricordo, Deambrogio: «Modo italiano di rileggere il passato»
Il duro intervento del segretario regionale del Partito della Rifondazione Comunista
CASALE – Duro intervento del segretario regionale del Prc-Se Alberto Demabrogio riguardo al 10 febbraio, Giorno del Ricordo, che a suo dire sarebbe: «Una data storica che riguarderebbe il Trattato di Pace di Parigi del 1947 e non le foibe, ma questo fa parte del modo italiano di rileggere il passato.
È un giorno importante poiché grazie alla memoria selettiva, alla retorica istituzionale che da anni la accompagna, alla strumentalizzazione che ne fa l’estrema destra parlamentare e non, alla messa all’indice degli studiosi che osano discuterlo, noi possiamo usare il ricordo per dimenticare».
Continua Deambrogio: «È del tutto evidente che in vista del 10 febbraio si finisce immancabilmente per relegare nell’oblio una quantità di cose. Scegliendo tra le più significative: il fatto che il tribunale di Trieste dello Stato liberale condannò a 120 anni di carcere 50 ferrovieri (italiani e jugoslavi) per lo sciopero del 1919 con l’accusa di anti-italianità e filo-slavismo, la condanna a 25 anni, a Pola nel gennaio 1920, per i metalmeccanici italiani e jugoslavi con l’accusa di cospirazione contro lo stato e istigazione alla guerra civile, l’incendio ad opera di fascisti della Narodni Dom (Casa del Popolo) della minoranza slovena a Trieste il 13 luglio 1920. Scordiamo l’italianizzazione forzata con le leggi degli anni 1922-1931 nonché i 544 imputati presso il Tribunale speciale fascista e le 35 condanne a morte comminate a sloveni e croati.
Depenniamo l’invasione italiana della Jugoslavia e dei Balcani (Albania e Grecia) e con essa i crimini di guerra compiuti dal regio esercito e dalle camicie nere, le centinaia di migliaia di donne, uomini, bambini e anziani rastrellati e deportati nei campi di internamento costruiti dal governo italiano a Rab, Renicci di Anghiari, Gonars e in altre decine e decine di località italiane. Dimentichiamo le fucilazioni, le rappresaglie contro civili e partigiani, l’orrore portato nelle case, nelle strade e sui monti dalle truppe dei Savoia e del duce che costò al popolo jugoslavo oltre un milione di morti.
Abbiamo, infine, tagliato dalla memoria il fatto che che nessuno dei 750 criminali di guerra italiani iscritti nelle liste delle Nazioni Unite alla fine della guerra fu mai processato da un tribunale internazionale o nazionale, e che la gran parte di loro venne promossa ai vertici degli apparati di forza della Repubblica in funzione anticomunista».
Conclude Deambrogio: «Si potrebbe continuare, ma quel che emerge è che oggi, in base a tali rimozioni, possiamo continuare a perpetrare il falso mito degli italiani brava gente. D’altro canto sono stati proprio i propositori della giornata del ricordo a trattare come umanitari i bombardamenti a Belgrado nel 1999.
Oppure, venendo a tempi più recenti, chi si ricorda di una circolare del Ministero dell’Istruzione che paragonò le foibe alla Shoah giungendo all’estremo della falsificazione storica? La nostra preoccupazione più grande si appunta sulle giovani generazioni, perché, come si vede, il lavoro fatto affinché non imparino la storia è grande. Un lavoro che per quanto riguarda le generazioni adulte ha già dato risultati davvero ragguardevoli».