"Academy di filiera, il For.Al ha sposato il progetto dall'inizio"
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ALESSANDRIA – Elena Chiorino dice che ai ragazzi bisogna offrire opportunità. Parla da mamma di tre figli, da assessore regionale alla Formazione professionale e da amministratore che dà l’idea di essere sinceramente appassionata del lavoro che svolge.
Ospite della redazione del ‘Piccolo’, accompagnata da Alessandro Traverso e Luca Bigiorno, come lei esponenti (ma locali) di Fratelli d’Italia, la Chiorino procede a ruota libera. Un’ora di monologo, intervallato da poche domande. Concetti chiari, esposti senza incertezze. E pure condivisibili, specie quando sostiene che, per lungo tempo, la formazione professionale è stata deficitaria (“alcuni enti formativi si sono solo preoccupati di accaparrarsi finanziamenti”), con risultati (negativi) riscontrabili anche a Valenza. Dove, se c’è continua richiesta di orafi, non è solo perché il Covid ha stravolto l’economia mondiale, ma per la mancata programmazione o, se preferite, la poca lungimiranza di chi dovrebbe fornire maestranze a un distretto orafo in continua crescita.
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“In effetti – ammette l’assessore – fin dal mio insediamento ho capito che c’era troppa distanza tra chi offre lavoro e chi lo cerca. Due universi che non si incontravano, così come, in Regione, non c’era alcun dialogo tra chi si occupava di Formazione, chi si dedicava alle Politiche del lavoro e chi all’Orientamento. Com’era possibile che si procedesse per compartimenti stagni? I confronti sono fondamentali, altrimenti non si va da nessuna parte. Ho cercato di invertire la tendenza e credo di esserci riuscita, mettendo in relazione settori affini ma poco avvezzi a parlarsi”.
Una carta vincente, ora, sono le Academy di filiera, ovvero quelle scuole di specializzazione riservate a chi ha già conseguito un diploma. “Purtroppo – fa notare la Chiorino – in molti istituti superiori neppure si conoscono queste opportunità, peraltro gratuite. Invece bisogna sapere, ad esempio, che quasi tutti quelli che escono da un’Academy trovano lavoro in breve tempo. Nella ‘mia’ Biella, quella del tessile funziona benissimo. E a Valenza, era prevista una sola classe, ma, considerate le richieste, si è deciso di passare a due”. Trattasi di recuperare il tempo perduto. Ma intanto è già importante essere partiti.
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Tra le iniziative messe in campo dall’assessore, ne spiccano due: il sostegno che la Regione offre a quelle aziende sane ma costrette ad affrontare una crisi momentanea (“pensate ad esempio a chi aveva rapporti con la Russia e s’è trovano in difficoltà dopo lo scoppio della guerra”) e il futuro supporto a chi si impegna in una convincente politica di welfare aziendale.
L’assessore, poi, amplia il discorso sui giovani: “Bisogna dare loro fiducia, non continuare a dire che non ci sono speranze. Le speranze esistono eccome, basti pensare alle grandi potenzialità del nostro paese, che pure, in fatto di dimensioni, è un’inezia sul planisfero. Il ‘made in Italy‘ però è conosciuto in tutto il mondo. Piuttosto siamo vittime di una narrativa sbagliata, perché non ci ‘raccontiamo’ come meriteremmo. Ad esempio, quando si ragiona di fabbriche, si ragiona spesso come se queste fossero quelle descritte dai film ambientati all’epoca della rivoluzione industriale. Ai giovani, invece, dovremmo assicurare la voglia di sognare, spiegando che se ci sono i famosi ‘cervelli in fuga’ c’è anche un’Italia che i ‘cervelli’ li ha formati e fatti crescere…”.
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Una battuta, poi, sul cosiddetto Liceo del Made in Italy, una scommessa, finora non vinta, del Governo Meloni. “E’ vero – spiega l’esponente di Fratelli d’Italia – per ora ci sono poche iscrizioni. Ma bisogna dire che si era programmati per farlo debuttare fra un anno. Qualche scuola si è detta disponibile a partire con anticipo. E allora perché vietarglielo? Vedrete che fra 12 mesi ragioneremo con altri numeri. Un liceo del genere, che si abbina a quello socio-economico, è strategico per il Paese, perché sintetizza le politiche in cui noi crediamo”.
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Finale: “Chi è a contatto con la bellezza, come noi italiani, rischia di farci l’abitudine e di non stupirsi di nulla. La cultura della stupore, invece, è fondamentale”.