La zona di Pecetto, Bassignana, Rivarone, Montecastello e Pietra Marazzi dalla preistoria all’alto Medioevo
L'approfondimento del professor Maggiora
Dalle nostre parti, nella Pecetto di Valenza presso la Cascina Guarnera (ora Geosito La Guarnera) ubicata lungo le pendici occidentali del rilievo collinare Bric Fea, recentemente sono stati rinvenuti fossili e minerali di origine marina, dovuti alla presenza del Mare Padano nel nostro territorio.
Dal Miocene superiore (circa 9,5 milioni di anni fa) sono giunti fino a noi pesci cristallizzati da una perfetta fossilizzazione, poi, nel corso di un lungo arco temporale di circa 3 milioni di anni, in seguito a sconvolgimenti della crosta terrestre, si verifica il sollevamento del bacino piemontese, col conseguente ritiro delle acque.
Precipitandoci ancora nella macchina del tempo, durante il Paleolitico medio (120.000–40.000 anni fa) sembra che, nei pressi dell’attuale Rivarone-Montecastello-Pietra Marazzi, in particolare la zona di confluenza dei due principali bacini del Piemonte meridionale Tanaro e Bormida, ci fosse già una presenza sporadica di cacciatori e raccoglitori nomadi (Homo sapiens neanderthalensis). I ritrovamenti testimoniano in modo certo la frequentazione umana di questo territorio già durante il Neolitico recente, tra il 4200 e il 3500 a.C. Alla fine dell’età del Rame (3500-2250 a.C.), siamo ormai davanti a una vera e propria transizione di esemplari: in questo agro marico-bagienno sembra esserci un iniziale popolamento con la creazione di alcuni villaggi stabili che spesso vanno in conflitto tra di loro, ipotesi supportate da numerosi ritrovamenti archeologici litologici.
Su uno sprone collinare digradante verso la sponda destra del Po, all’estremo margine orientale delle colline oggi chiamate del basso Monferrato, c’è Pecetto, la futura romana Pecetum Valentinum, che domina la pianura lomellina, in questi tempi malsana e paludosa. Poco più avanti, c’è Rivarone, luogo posto sul limitare di una riva del colle e minacciato ai suoi piedi dal fiume Tanaro, dove, come già detto, nel neolitico era attraversato da piccoli gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori. Qui, verso il 1000 a.C., sorge un villaggio di liguri Marici passati dal nomadismo a più stabili insediamenti; intorno all’800-700 a.C., invece, sono ormai stanziati gruppi misti liguri di Marici e di Bagienni.
La prima organizzazione umana sui pendii di Pecetto e di Rivarone, dunque, inizia nell’età del Bronzo finale, quando alcune comunità si ritirano all’interno e preferiscono le aree collinari e le alture dotate di migliore visibilità sul territorio circostante per gli insediamenti. L’abitato preromano di Pecetto sarà poi collocato sul Bric Castellar, dove dominerà due solchi collinari, la Valle delle Redini e Montariolo, che interrompono la catena delle colline del Po.
Il colle di Montecastello, situato sulle rive del fiume Tanaro in territorio collinare, è un promontorio che domina l’ansa del Tanaro, uno dei punti più panoramici dei rilievi a ridosso della pianura, perciò abitato dai primitivi per la grande visibilità sul territorio. È verosimile che nella piana dei paraggi a est della collina e a ovest, nella Pietra Marazzi – dal latino Petra Maricorum poiché fondata dalla tribù ligure dei Marici, mentre a parere di alcuni storici il nome deriva da Petra Maratiorum (o Maraciorum) perché infeudata alla nobile famiglia dei Marazzi nel XIV-XV secolo – vi fossero insediamenti umani preistorici già nel neolitico. Il territorio viene quindi occupato da una comunità mista ligure della valle del Tanaro tra l’età del Bronzo finale e l’inizio della seconda età del Ferro (1000-400 a.C.); poi, essendo poco osteggiate, si installano anche diverse famiglie con radici celtiche, prima dell’arrivo prepotente dei romani nel II secolo a.C. I celti liguri edificano qui una struttura simile a una fortezza, che poi diventerà un piccolo centro abitato.
Nelle vicinanze, alla confluenza del Tanaro col Po, c’è un borgo (Bassignana) posto su un terrazzo fluviale naturale che controlla la pianura circostante, dove, in era postglaciale, si sono affacciati gli umani che hanno scavalcato l’Appennino appartenenti alla tribù ligure dei Marici. Nell’età del Bronzo finale, intorno al 1000 a.C., si sviluppa in questa landa paludosa un consistente villaggio abitato da una popolazione mista ligure non solo di Marici ma anche di Levi e di Bagienni; poi, nel 600 a.C., si stabilisce anche un nucleo di nuova etnia ligure, forse gli Iriati provenienti dalla zona tortonese, con obiettivi ambiziosi e destinati a essere in parte realizzati. Il luogo diventerà presto un importante villaggio etrusco-padano, snodo commerciale e militare fluviale. La navigazione fluviale è la costante di tutta la protostoria di Valenza e Bassignana, rivoluzionata solo più tardi dalla rete stradale di età romana. Grazie alla navigazione, i rapporti commerciali con l’Etruria raggiungono il massimo nel VI-V secolo a.C., con l’asse Po-Tanaro come via privilegiata per gli scambi commerciali con i mercanti etruschi e contatti con l’ambito villanoviano-etrusco dell’Emilia occidentale.
A partire dal 500 a.C., questo territorio è percorso da gruppi di Galli-Celti che hanno varcato le Alpi, che compiranno vere invasioni dal 400 a.C. La cultura celtica, più evoluta di quella primordiale ligure, lascerà una traccia profonda in quest’area. In questi secoli, la popolazione della zona resta piuttosto limitata, si parla un dialetto locale ed è presente molto terreno incolto e paludoso. La distinzione tra il bene e il male non risponde per niente al metro di oggi, sono normali i deliri di onnipotenza di chi comanda.
I primi rapporti con i Romani si hanno con le guerre Puniche e sono subito incandescenti. Le popolazioni di questo territorio, tra il 225 e il 222 a.C., per ragioni diverse, si schierano, contro i Romani e questi, infuriati, rispondono con varie incursioni offensive in zona. Nel 222 a.C., i comandanti romani Marco Claudio Marcello e Gneo Cornelio Scipione conquistano l’intera zona. Nella Seconda guerra Punica romana (218-201 a.C.), contro Annibale, queste genti, nemici dei loro colonizzatori, sono a fianco del cartaginese, subendone dai Romani le peggiori e insensate conseguenze.
A Roma questa zona gallica viene descritta da reduci e mercanti come una terra generalmente inospitale, fredda e selvaggia, ricca di lande deserte e foreste impenetrabili e abitata da gente cocciuta e astiosa considerata razzialmente inferiore. Questo territorio, dopo il controllo di Roma (vassallaggio), non fa tuttavia parte dell’Italia romana, ma è considerato una provincia con un’organizzazione giuridica difforme. Tuttavia, tra il II e il I secolo a.C., tutti questi borghi liguri dalla scarsa popolazione, tra l’assurdo e la speranza, si configurano e si romanizzano.
La Pecetto vera e propria nasce come accampamento romano nel primo secolo a.C. e viene identificata come Picetum Valentinum. Gli scavi archeologici ne hanno confermata l’importanza. Scavi recenti hanno accertato la presenza di un insediamento rurale di notevoli dimensioni risalente al I secolo, di cui rimangono le fondazioni e frammenti di intonaci dipinti; il selciato di una strada romana è stato ritrovato, a discreta profondità, in località Pellizzari, forse era una diramazione della via Giulia che da Asti portava a Valenza.
Nel periodo romano il villaggio di Bassignana prende il nome di villa Bassiniana, poi nella forma contratta “Bassiniana”, da ricondurre all’eponimo Bassinus, derivante dalla famiglia romana a cui fu attribuito il possesso del territorio, la gens Bassinia. Il toponimo nasce dopo la conquista consolidata con la sconfitta dei Liguri nel 166 a.C. sotto il consolato di Gaio Sulpicio Gallo. Qualche storico afferma che i bassignanesi accolsero con grande venerazione San Siro quando venne in queste contrade nel 73 d.C. Siro sarebbe stato il ragazzo che portò i pani e i pesci che poi Gesù moltiplicò. La tradizione vuole inoltre che il Santo abbia seguito Pietro a Roma per venire poi inviato da queste parti per convertire le popolazioni che vi risiedevano. Montecastello, dall’antico generico “Villaro”, in epoca romana assume il nome di Pontianum dal patronimico Pontius di una famiglia latina insediatasi in loco, mentre l’attuale toponimo farà capolino solo verso la fine del millennio.
Agli inizi del II secolo d.C. (probabilmente anno 111), l’imperatore Adriano nomina prefetto-questore di questa zona Tito Antonino Pio, poi imperatore. Di fatto, tutto ciò che è romano è ormai penetrato tra la popolazione. Una parte della lingua latina è arrangiata sulla forma del parlare locale. Una prima strada, Romea o Reale, snodandosi nella piana che costeggiava il Tanaro, passava per Bassignana, Montecastello e, attraverso Pietra, andava a congiungersi nell’agro, ove sarebbe stata fondata molto più avanti Alessandria. Una seconda strada romana, militare, diramandosi dalla via Emilia nei pressi di Tortona e costeggiando il fiume Tanaro, passava in territorio di Pietra e, riprendendo il tracciato dell’attuale strada per Valle San Bartolomeo, proseguiva per la Cerca in direzione di Valenza. A conferma della presenza romana sul territorio di Pietra Marazzi, ci sono stati ritrovamenti di piccoli manufatti in bronzo, monete e sacelli marmorei.
Nel 370 Valentiniano I manda i vinti prigionieri Alemanni a coltivare queste terre cadute in rovina e con scarsa prole (il piano di Bassignana), un terremoto sociale che produrrà molte contraddizioni con una spirale di estorsioni e, al contempo, desideri di vendetta in molti focolai.
Nel 476 d.C. le truppe romane di Oreste e quelle mercenarie avverse di Odoacre passano da queste parti, con incidenti e devastazioni. Negli anni seguenti, una massa di barbari invade questo territorio; i nuovi venuti espropriano e, in molti casi, eliminano fisicamente i legittimi proprietari di terre e abitazioni. In quest’inverosimile e confuso momento storico, nel 490 transita un esercito di Visigoti e, nel 491, calano orde sanguinarie di Burgundi, che saccheggiano, distruggono e fanno prigionieri molti residenti locali al fine di ottenere riscatti, contribuendo al generale sfacelo. Finalmente, il regno di Teodorico porta un po’ di benvenuta tranquillità, anche in ambito religioso. Adepto dell’arianesimo, Teodorico segue una politica di relativa tolleranza, e non solo per i suoi sudditi cattolici.
Nelle campagne della zona, il Cristianesimo, già introdotto largamente nel IV secolo d.C., soltanto nel secolo seguente si organizza con l’istituzione delle pievi rurali, subordinate all’autorità dei vescovi; quella di Bassignana dipende in origine dalla Diocesi di Tortona, ma poi più avanti sarà incardinata in quella di Pavia.
Caduto l’Impero romano, nel VI secolo Bassignana e Rivarone costituiscono un avamposto avanzato longobardo, presidiato probabilmente da una guarnigione gepidica. Non a caso, infatti, la dedicazione del castello con l’annessa chiesa a San Michele si inquadra in questo contesto, essendo queste popolazioni particolarmente devote a questo santo.
L’esistenza di una chiesa nel territorio di Pecetto risale ai secoli VI-VII. Il culto di San Siro, che si diffuse ampiamente in questo territorio verso il V-VI secolo d.C., ha segnato il toponimo San Siro-Cascine Vecchie, luogo del presunto centro primitivo postromano, confermato dal ritrovamento di un sepolcreto. Sono sepolture in laterizio di recupero da precedenti strutture romane, raggruppate in necropoli e disposte secondo uno schema ben preciso. La popolazione di Pecetto si è ormai sistemata sulla collina, che presenta due cime distinte, e nello spazio tra queste si è sviluppato il nucleo del villaggio; ben presto, andrà a ingrandirsi grazie alla sua dislocazione strategica sulla sommità della collina antistante la grande pianura. In marcia verso assetti nuovi, per maggiore sicurezza e contraddicendosi più volte, il borgo sarà trasferito anche nell’entroterra verso Alessandria, che non esisteva ancora, per poi essere definitivamente insediato dove i romani ne avevano tracciato il perimetro. Sul rilievo a sud c’era un tempio romano del quale permangono ancora numerosi reperti lapidei, mentre sul rilievo a nord, conosciuto come “la rocca”, sarà poi eretto un fortilizio, che per lungo tempo rimarrà il limite settentrionale del centro abitato.
Negli anni 568-569 i Longobardi, un nuovo popolo barbaro cristiano ariano venuto dall’est, iniziano la loro invasione della valle del Po. Si tratta di un’intera popolazione – una sterminata moltitudine di Gepidi, Bulgari e Longobardi – e non solo di un esercito, che giunge dalle Alpi Orientali e si stabilisce anche dalle nostre parti senza che nessuno li possa ostacolare; anzi, per evitare saccheggiamenti e devastazioni, le nostre popolazioni, facendo esercizio di genuflessione in pavido silenzio, si consegnano subito ai nuovi invasori e invasati. Importanti tracce locali della dominazione longobarda sono tuttora visibili nella vicina Mugarone, come i resti della rocca e della pieve e a Pietra Marazzi, nella località Pavone, dove sorgeva un fortilizio longobardo posto su uno sperone di roccia affacciata sulla piana, in corrispondenza della confluenza dei fiumi Tanaro e Bormida; nei primi anni del secolo scorso, era ancora visibile a Rivarone l’antica rocca dove si dice che amasse sostare, durante la caccia, la regina cattolica Teodolinda.
Mentre alcuni borghi e città rifioriscono sotto l’impulso longobardo, le terre di questa zona sono ridotte in grave miseria a causa di certi eventi naturali, come la grave alluvione del 589, che sradica abitazioni, colture e vigneti, e i movimenti tellurici del 615, a cui fa seguito il prolificarsi del morbo della lebbra, che causa parecchi morti.
Questo territorio, quasi incastrato nella Neustria francese, è la porzione nord-occidentale della Langobardia Maior del Regno longobardo, estesa dalle Alpi occidentali all’Adda, e amministrativamente incluso nel ducato di Pavia. A Rivarone, Mugarone, Montecastello e Pietra Marazzi si stabiliscono alcune famiglie appartenenti ai Gepidi – superstiti di una stirpe gotica proveniente dalla Serbia e assorbiti dai Longobardi – che all’inizio seguono le loro tradizioni, ma ben presto sono attratte dalla civiltà latina, o comunque da quella più evoluta di questo luogo. In conseguenza di ciò, con gli anni e una certa concordia emulativa, si avranno travasi vicendevoli di culture, in particolare dopo la conversione dei Longobardi al cristianesimo.
I 206 anni di dominio longobardo lasceranno un segno profondo nei costumi, nella vita, nella lingua delle genti di questa zona. Alla fine di questa dominazione, la nostra popolazione sarà costituita da un meticciato variegato di razze e di culture e risulterà certamente più longobarda che romana.
La zona accanto al fiume Tanaro, ai bordi della riserva Silva Urba, è stata e sarà per lungo tempo luogo di scorrerie di caccia dei re Longobardi e Carolingi, quali Teodolinda, Cuniperto, Liutprando e Lamberto di Spoleto; quest’ultimo perde la vita in questo territorio nell’898, mentre insegue un cinghiale, o forse è assassinato da Ugo, lo spietato conte di Milano odiato da tutti, secondo una doppia la versione narrata. Con l’età carolingia, Bassignana, Rivarone, Montecastello e Pietra Marazzi sono affidate alla subalternità e alla sudditanza della contea di Pavia, al pari di tutte le altre località a meridione del Po.
Verso metà 800, queste contrade, con la Plebem Bassignanae, costituiscono il feudo di Liutardo o Luitardo dei Conti vescovo di Pavia (dall’830 al 864) nel Comitato di Lomello – contea istituita dai Franchi nell’847, dove risiede il graf o conte, e capoluogo del gau/contado. Nel X secolo la scomposizione della marca d’Ivrea segna la disgregazione della regione con collassi di schiatte a cascata.
In questi ultimi secoli del primo millennio, attorno a Pecetto si sono costruite diverse cappelle campestri oltre alla chiesa parrocchiale dipendenti dalla pievana di Pietramarazzi, che ha quasi un’aura di infallibilità e di rigido puritanesimo. Durante l’età ottoniana, dal 962 al 1024, sono molto in auge le esperienze mistiche; è dunque un tempo di santi e di miracoli, ma i santi sono quasi tutti d’importazione, solo tedeschi e francesi, che operano prodigi per poi raccontarli nei loro scritti in modo irriducibile.
Più o meno mille anni fa, quando gli Aleramici fondarono la marca del Monferrato, nel feudo del potente marchesato viene inserito anche Pecetto. Si sa perché poco più tardi, nel 1063, l’Imperatore Enrico IV lo trasferisce al vescovo di Vercelli, che lo cede in feudo ai poco apprezzati marchesi di Occimiano che si assumono l’onere di difendere il luogo-confine dal nemico. In questi anni, Pecetto è una cittadella circondata da mura, raddoppiata all’altezza della rocca, che è il punto più elevato adibito a fortilizio e osservatorio. Nel 1178 il paese è indicato in uno scritto da papa Alessandro III. Anche da queste parti operano i monaci colombaniani della potente abbazia di San Colombano di Bobbio, attivissimo centro di evangelizzazione e di rinascita agricola.
Per un secolo la zona non è stata importunata, ma, caduto l’impero franco-carolingio nell’888 e dopo alterne vicende, si succedono terrificanti invasioni di Ungari, nei primi anni del 900, e dal 950 di predoni Saraceni – un misto di arabi, spagnoli, sbandati e delinquenti di vario tipo – un gruppo dei quali si insedia a Montecastello. Causano gravi rovine in tutto il territorio e un ininterrotto stillicidio di violenze; è in questo periodo di confusione che la gente di questi luoghi, ignorante, paurosa, ma laboriosa, realizza ulteriori instabili dispositivi difensivi, sovente in maniera quasi grottesca.
Il paese di Bassignana, antica e vasta Augusta Baltienorum, all’alba del nuovo millennio ha un territorio suddiviso tra una moltitudine di piccoli proprietari laici, che contano meno di niente, e da alcune istituzioni ecclesiastiche pervasive, che maneggiano con protervia le situazioni a loro piacimento, tra le quali il vescovo di Tortona Lintifredo o Liutfredo, il Monastero di Nonantola e, soprattutto, quelle di Pavia.
Il diploma dell’imperatore Ottone II del 22 o 21 novembre 977 investe signore di Rivarone, Bassignana e Mugarone del Comitato di Lomello, il vescovo di Pavia Pietro III Canepanova, futuro Papa Giovanni XIV, confermandogli il possesso della pieve di Bassignana, con la chiesa rurale dedicata a San Giovanni Battista, di remota istituzione e di ampia estensione territoriale, già menzionata come diretto possesso vescovile in un diploma dell’849 e che si trova oggi, restaurata, nell’angolo sud-est del cimitero locale.
Il 15 gennaio 998, Liutfredo, vescovo di Tortona, dona metà della sua parte di Bassignana all’imperatore Ottone III e vende l’altra metà, insieme a molti altri territori, al duca Ottone del fu Conone, che, poco dopo, la cede a una badia milanese. Il 21 novembre 1001, in un’epoca di abbondanti donazioni imperiali, Ottone III devolverà a sua volta la parte di Baseniana (così è indicata Bassignana) avuta dal vescovo alla potente badia di S. Salvatore, sita in Pavia.
Da uno dei discendenti del conte Aimone di Vercelli deriveranno i futuri signori di Bassignana, che avranno spesso personalità complesse e convivenze forzate con il popolo. Mugarone esisteva prima del Mille, la chiesa di Santa Maria “ad Perticas” denota una origine longobarda.
Il borgo di Rivarone, che si muove in sincrono con Bassignana, è nel Comitato di Lomello ed è chiamato “Rivassi” in un diploma del 900 di Re Berengario. Nel 977 il borgo passa sotto il controllo del vescovo di Pavia, poi al vescovo di Tortona Liutfredo e per brevi periodi è ceduto alla famiglia del conte di Stazzona e Seprio, Adamo detto “Amizzone”, e al conte del Comitato dell’Ossola Riccardo, che, piombati in avversità, ne pervertono l’eredità. Sono, infatti, designazioni oligarchiche, in nome dei sacri principi che i titoli gentilizi valgono più dei meriti, decise sempre altrove e dall’alto; è la gara a chi fa peggio di un micro-ceto politico imperioso e aggrovigliato che, con mercimoni, indolenza e vicende a sfondo politico-religioso è interessato solo a sopravvivere. E la popolazione è costretta a tacere, perché chi non obbedisce ciecamente è un nemico.
Il promontorio di Montecastello ha una notevole importanza su questo territorio perché domina l’ansa del Tanaro e offre un’ampia veduta della pianura di Marengo tra il Bormida e lo Scrivia sullo scenario del preappennino tortonese che sfuma nell’Oltre Po pavese. È stato per lungo tempo una difesa estrema, sempre in fermento, dalle incursioni dei Saraceni, che si spingevano in Piemonte dalla Provenza e che poi un gruppo di loro si sono insediati qui. Nel 967 Montecastello, estremo confine della preesistente Marca di Savona, risulta infeudato da Ottone I ad Aleramo, un nobile franco primo sovrano della Marca Aleramica, in seguito marche di Savona e del Monferrato, fondatore della dinastia degli Aleramici.
Il primo Monferrato, in seguito allo smembramento della Marca di Aleramo, è riconducibile a un’area che, dalla confluenza tra il Po e il Tanaro, si è lentamente allargata verso occidente risalendo i corsi divergenti dei due fiumi fino a raggiungere, sul finire del secolo XI, la regione collinare compresa tra il Po e il torrente Versa.
Nel nuovo millennio, mediante una specie di passaggio amichevole come servitori del potere, il posto sarà investito, ai Bellingeri di Pavia con facoltà di fortificarlo, poi ai Marchesi del Bosco, così chiamati con riferimento al Bosco di Ovada intorno a Bosco Marengo, quindi poi sarà ceduto alla città di Alessandria, che a sua volta, sconfessando le intenzioni annunciate, lo venderà ai Marchesi di Monferrato.
Alla fine del millennio, a Montecastello – Il toponimo è attestato dal 1199, forse una variante composta di Mons e Castellum – è già presente una precettoria per i pellegrini di San Giovanni Gerosolimitano, detta anche “della Ripa”, che impongono nella zona i loro valori, esibendo una caparbia purezza e forti segnali di vitalità. In seguito, consistenti acquisizioni territoriali renderanno questa commenda la più estesa del contado alessandrino, dominando il campo dei sentimenti e delle passioni degli umani dell’epoca; anche se la classificazione del bene e del male non risponde certo al metro di oggi.
I primi documenti riguardanti Pietra (Pietra Marazzi) contengono le date del 967 e del 999, e si trovano nel Codice Diplomatico Longobardo e nel Cartario Alessandrino. Nel primo il luogo è denominato “locus Petra”, nel secondo “castrum Petra”, ma il borgo di Pavone (Paonum, dall’antico “Pago”) è già indicato in alcuni diplomi di donazione di beni al monastero di S.Pietro in Ciel d’Oro di Pavia da parte del re Liutprando e, più tardi, in diplomi di donazione di diverse terre, fra cui quello che cita la corte di Pavone con la cappella di S. Germano, oggetto di venerazione se non di adorazione, devolute allo stesso monastero da parte degli incontrastati imperatori Liudolfingi, come volontà insindacabile e pressoché divina: a loro i pregi e le colpe in questo mondo al tramonto.
Delle fortificazioni dell’antico castrum di Pietra rimangono alcuni tratti murari in blocchi di arenaria all’interno di alcuni edifici lungo l’attuale via Roma, all’angolo della stessa con piazza del Peso e sul retro della Parrocchiale, e due torri circolari in mattoni, per buona parte inglobate sine die nei corpi di fabbrica edilizi d’epoca successiva.
Oggi, per noi, è facile sentirci perbene, provare disgusto per la malvagità, la codardia e la spudorata sfrontatezza di quei tempi, ma non possiamo crederci immacolati solo per la buona sorte di vivere in un altro tempo.
TORNA AL BLOG DI PIER GIORGIO MAGGIORA