L’ondata di proteste dell’8 Marzo: il continuo grido di disperazione contro il femminicidio
Moltissime sono le donne che riempiranno le piazze delle nostre Città il prossimo 8 Marzo: vedere le strade “piene di colori e rumore” è un piacere anche se il motivo per cui tanta gente si muove è l’infinita tragedia dei nostri tempi: il femminicidio.
All’indomani del femminicidio di Giulia Cecchettin, la Giornata delle donne di questo prossimo 8 Marzo, si sperava avesse assunto un significato come di uno spartiacque, di una celebrazione di un nuovo modo di vedere il rapporto uomo donna, ed invece ci arriviamo ancora con mesi più crudeli e tristi di come eravamo alla morte della povera Giulia.
Credo che “fare rumore” sia ancora necessario, per sensibilizzare una chiamata alla classe politica ai suoi doveri, ma fare rumore non è spingere la gente alla risposta violenta, a slogan volgari e offensivi come vidi lo scorso 8 Marzo in molte località. Non deve essere un giorno “politico”, deve essere un giorno “sociale”, perché purtroppo la violenza maschile verso le donne, non conosce nord e sud, non conosce destra e sinistra e non conosce italiano o straniero, conosce solo uomini che non accettano le decisioni di una donna, ma che se prendono loro la decisione di interrompere una relazione, allora tutto va bene.
È un male culturale profondo, che non ha giustificazioni logiche, probabilmente ne ha di religiose, conseguentemente politiche, ma che sarebbe insensato condizionare uno sdegno giornaliero alle continue notizie che leggiamo sui giornali, allo scendere in piazza per urlare insulti senza senso, specie contro gli uomini, perché io, proprio come rappresentante del sesso maschile, sono consapevole che gli uomini sono i responsabili maggiori (gli unici responsabili) di questo schifo continuo, ma è anche vero che ci sono uomini che si vergognano di tutto questo e che vogliono manifestare, fare rumore e chiedono al Governo leggi severe e educazione adeguata alle nuove generazioni affinché il tutto si riduca a numeri irrisori.
Tornare a scendere in piazza produce dei risultati se gli obiettivi sono chiari e condivisi tanto che questa volta tutte le forze politiche hanno votato in Parlamento per l’inasprimento delle pene del codice rosso.
Una legge è si uno strumento importante ma il femminicidio ha le sue profonde radici nel passato remoto dell’umana società e solo con cambiamento di mentalità si può sperare in un futuro migliore. Ma è un cambio di mentalità che va fatto assieme, non a livello politico di schieramento, ma a livello sociale, mentale, culturale.
Le donne, divenute soggetti attivi e riconosciuti, possono fare molto per andare oltre la logica della punizione perché prevenire è possibile e si può uscire dall’ incubo di quella violenza e della solitudine che produce nelle vittime schiacciate dentro casa, in auto o nel buio di una notte.
La punizione è l’ultima cosa che m’interessa, perché è chiaro che le punizioni non fermano per nulla i femminicidi, è come la pena di morte negli Stati Uniti, non hai mai fermato o rallentato le violenze, gli omicidi, quello che serve è sempre e solo l’educazione.
Una marea rumorosa ha accompagnato i cortei organizzati in Italia per dire basta ai femminicidi durante l’inverno. “Contro il patriarcato e contro la violenza degli uomini sulle donne”. È servito? Si, per sensibilizzare, forse qualche vita si è salvata, ma intanto ogni giorno le violenze ci sono, e non solo quelle che finiscono con il sangue. Ci sono violenze silenziose, violenze psicologiche e violenze fisiche. Tutti i giorni, nei condomini dove viviamo, nelle strade che attraversiamo, in molti occhi che incontriamo distrattamente al bar la mattina, perfino nel nostro luogo di lavoro.
Tanti gli striscioni presenti nelle scorse manifestazioni, in testa a molti cortei la scritta “Se domani tocca a me brucia tutto”, ispirato alla poesia dell’attivista peruviana Cristina Torre Cáceres. Uno slogan contro il patriarcato, la “mascolinità tossica” e, ovviamente, i femminicidi. E poi la canzone “Fai Rumore”, che è emblematica nel messaggio di ribellione che assume in questo contesto.
A questo punto, dopo queste notizie continue e infinite, di violenza e abusi, di omicidi, prepariamoci sul serio a scendere nuovamente in piazza, perché ci hanno rubato una celebrazione, perché l’otto marzo era solo una festa, mentre ora sta diventando un grido di disperazione e a quelli uomini che dopo un omicidio si suicidano, un consiglio: non fatelo, non fate pena a nessuno, credetemi.