Il governatore Colmenero e l’assedio di Valenza del 1696
Sguardo a un periodo bellicoso
VALENZA – Spostiamo le lancette dell’orologio indietro nel tempo, in un periodo bellicoso di furia distruttiva. Nel 1679, anche a Valenza si celebrano solennemente gli accordi di pace, più sulla carta che nella realtà, conclusi tra Spagna e Francia e mai rispettati (altro che pacta sunt servanda), mentre gli abitanti sperano invano di essere lasciati indisturbati. Ma la storia si ripete, poiché combattere è la loro ideologia, con spregio del buon senso e le conseguenze si valutano in macerie e cadaveri. È l’Europa che lacera se stessa sui campi di battaglia.
Sul finire del secolo si profila un’altra sconvolgente contesa armata. La città è nuovamente minacciata dalla guerra che quasi tutti gli stati d’Europa (Lega di Augusta del 1686) hanno intrapreso contro il dispotismo di Luigi XIV.
Il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, che allo scoppio della guerra era sotto la protezione francese, nel 1690, temendone l’ingerenza, con una pratica di governo spregiudicata, cambia campo e si schiera con le potenze della Lega, ma, avuta poi Casale dal Re di Francia, si allea con lui per scagliarsi contro i vecchi alleati spagnoli: sembra il gioco delle tre carte. Condotte simili, se non peggiori, le hanno messe in atto molti altri. Nell’arte del governo, vale la legge del mai dire mai.
Essendo un luogo fondamentale per il controllo del corso del Po e una porta importante dello Stato di Milano ancora retto dagli spagnoli, Valenza subisce il nuovo assedio nel 1696 (19 settembre – 8 ottobre) e il motivo non differisce molto da quelli che lo hanno preceduto: i francesi uniti ai piemontesi vogliono togliere nuovamente la città agli spagnoli.
È un incubo che non finisce mai. La posizione di questa città è una sorta di maledizione, per cui tutto si ripropone sempre uguale. È una città che patisce senza colpa gli effetti di queste guerre, tuttavia riesce a resistere alle diverse migliaia di francesi e sabaudi – dati, poco credibili, riportano decine di migliaia di fanti e cavalieri, forti di 60 cannoni e molti mortai – guidati dalla pretesa egemonica di Vittorio Amedeo II e all’incessante bombardamento che provoca molte perdite.
L’attacco comincia con un martellante cannoneggiamento concentrato nel medesimo punto in cui i francesi erano intervenuti con successo nel 1656: il lato Nord-Est compreso tra la Porta di Bassignana e il Bastione Caracena.
Sciagure simili agli assedi precedenti sono le scorrerie che fanno terra bruciata dei territori circostanti (Piovera, Montecastello, Pietramarazzi, ecc.), in un caos quotidiano permanente, con vigne distrutte e scomparsa di ogni segno di vegetazione. Anche Lazzarone è saccheggiato; andrà sotto Valenza sino al 1722, quando i Savoia gli concederanno la speciale patente per reggersi come Comune.
Dal 1696 Valenza è comandata dall’ardito governatore spagnolo don Francisco Colmenero (Napoli 1645 – Milano 1719), il quale, ad armi impari che avrebbero dovuto suggerirgli la resa, sa tener testa a tutti gli attacchi degli alleati avversari. È il Leonida delle Termopoli valenzane, un condottiero carismatico che appartiene alla stirpe dei comandanti del rischio, un divo permaloso autoreferenziale, amato e temuto, al quale verrà dedicata la Porta Bedogno, che nel 1696 prenderà il suo nome.
Francisco Colmenero y Gattinara, figlio di Vasco Colmenero de Andrade y de Morais, inizia a prestare servizio giovanissimo nel carcere di Vercelli, dove il padre è governatore fino alla sua restituzione al duca di Savoia (31 dicembre 1659), in virtù della Pace dei Pirenei; poi lo segue in Sicilia, dove diventa capitano della fanteria spagnola nel presidio di Augusta, di cui suo padre è castigliano.
Alla fine del 1693, è nominato feldmaresciallo del Tercio de la Mar de Napoles, praticamente un bellicista predestinato. Egli comanda la presa di Casale Monferrato il 9 luglio 1695. L’anno successivo, ottiene il governo di Valencia del Po (Valenza). Nel 1696, difende la nostra piazza durante l’assedio francese terminato col trattato di neutralizzazione italiano, preludio alla pace di Rijswick, raggiunta l’anno successivo; per la sua meritoria prestazione e per progenie, è promosso a sergente generale di battaglia.
Personaggio quasi leggendario, vigoroso e tenace, destinato a cambiare il destino di Valenza, Colmenero è capace di furori e slanci di generosità, fa parte di quei capi dotati d’ampia capacità di combattere, in virtù della quale si spera che, nei momenti di pericolo e di difficoltà, siano capaci di mantenere coese le proprie soldatesche e di conseguire il successo. In fondo, è preferibile scaricare tutto il peso della battaglia su uno solo, l’uomo della provvidenza; se poi non riesce, si fa presto a sputargli addosso.
L’assedio a Valenza è tolto in seguito alla Convenzione di Vigevano del 7 ottobre 1696 (approvazione dai componenti della Lega di Augusta della neutralità dei territori italiani) e Vittorio Amedeo II ottiene il riconoscimento che cercava: la neutralità dei propri territori. Il frutto tossico di quest’ultima allucinante battaglia che ha riproposto sempre il solito schema, combattuta con nervosismo e isteria, è dunque un sostanziale “fifty fifty”, riacciuffato per i capelli quando già si sentiva intonare il De Profundis. Una risoluzione più politica che militare, che salva capra e cavoli, in cui alcuni hanno ritrovato l’onore e Valenza ha dimostrato di non essere per niente una scarna e inefficace retrovia, ma una città in forze, decisa a combattere ed a resistere. Per alcuni questa situazione è appagante e per tanti altri inquietante, purtroppo, ci sono sempre troppi danni collaterali.
Nonostante la brevità dell’assedio, i danni alle persone, alle abitazioni e a molte strutture sono gravissimi. Ci sono più di un centinaio di vittime. Il monastero dell’Annunziata (attualmente Parco Trecate, secolare Parco de Cardenas-Trecate, dove, nel Seicento, si trovava la residenza dei governatori spagnoli), fondato nel XV secolo dalle religiose di Sant’Agostino, quasi addossato al Forte Caracena, è quasi completamente distrutto e le monache si devono trasferire presso l’Ospedale a Porta Po, messo a loro disposizione dal governatore dello Stato di Milano. Tre anni dopo, nel 1699, la chiesa della SS. Annunziata sorgerà nel nuovo luogo. La vecchia chiesa dell’ospedale non sarà demolita, ma serbata come deposito; il convento verrà soppresso nel 1802 e la chiesa affidata alla confraternita di San Rocco.
Sono ormai troppe le guerre inutili, senza significato né onore, che hanno sfigurato questa città, innaffiandola di proiettili. Nascono sempre dal desiderio di dominare o di vendicare, ma gli uomini sono fragili, cinici, spesso ingrati, e ciò che oggi non è ragionevole lo è tuttavia in questi tempi.
Forse è a causa dell’euforia del successo che l’aitante governatore Colmenero, che ha goduto di molti omaggi dai cortigiani e che, come satrapo babilonese, ama decidere e fare tutto da solo, in seguito non ne azzeccherà più una. Andando a scavare tra storia e leggenda, l’eroe dell’assedio, dalla guida suprema assai spregiudicata e più egocentrico della monaca di Monza, che non sopporta troppo certi emuli irriguardosi e vorrebbe sbarazzarsi di loro, sarà presto isolato nell’angolo in cui s’è cacciato da solo combinando alcuni guai. Secondo lo stereotipo infame, sarà vituperato e accusato, declassato da eroe o santo laico a sciagura da denigratori blasonati, irriconoscenti e forse accecati dall’odio e dall’invidia biliosa. È una casta sovrastante nel privilegio, ingenerosa e senza misericordia, in una società affogata nella miseria.
Passati dall’innamoramento al disprezzo, queste persone gli stracceranno l’eroica aureola da lui conquistata, con un discredito sempre più virulento, raccontando in giro anche un bel po’ di balle dettate dalla volontà di soffiare sul fuoco piuttosto che da ragioni pratiche e dalla verità storica. Tra i suoi principali nemici valenzani, ci sono Giovanni e Alonso de Cardenas e Virginio Bellingeri con alcuni loro sussiegosi sottoposti. L’inchiesta contro Colmenero sarà condotta nel 1697 dal giureconsulto tortonese Claro Antonio Calvino a cui verranno attribuiti enormi poteri, tanto da surrogare governatore e podestà locali: una boria eccessiva e ineludibile, ma senza buona riuscita. Essenziale, Invece, sarà il consenso dell’impavido prevosto Giulio Stefano Lana, instancabile nel sostenere che non esiste ragione per ritenere vera l’accusa in questo inestricabile enigma. Uno scontro snervante e sfinente, vinto a prezzo di dispiaceri.
Promosso sergente generale di battaglia e nuovamente saldamente radicato e affaccendato, nel dicembre del 1700 Colmenero è a Parigi, dove ottiene l’impegno regio di inviare urgentemente truppe francesi in Lombardia e il successo della missione è premiato con la castellania di Alessandria (capitano-castellano di tipo giudiziario e amministrativo), che mantiene nonostante le successive nomine di Generale d’artiglieria (30 luglio 1702) e Generale di campo dell’esercito milanese (20 febbraio 1704).
Il 17 agosto 1705, Colmenero, sale nuovamente sul piedistallo; assurto a luogotenente generale degli eserciti reali, comanda l’ala sinistra della prima linea dell’esercito che fronteggia il principe Eugenio di Savoia a Cassano sull’Adda.
Nel 1709, si batte in modo ritenuto tiepido in difesa di Alessandria e si arrende il 21 ottobre, divenendo prigioniero di guerra. Gli eventi successivi sono contro di lui, perché, sebbene sia stato fatto prigioniero e sia caduto dall’incarico, recitando la parte dell’oppresso, si schiera in modo indecoroso con il nemico, ricevendone molti premi che alimentano il sospetto di un tradimento con l’aggravante della plurirecidiva, provocando anche molte dicerie e tanta perfidia.
Insomma, in un momento di vulnerabilità, si conferma un opportunista disadatto ad affrontare il proprio futuro armato di certi valori; da qualcuno viene indicato perfino come “famigerato e perfido”, cosa non del tutto pertinente e vera. Grazie alla consegna simulata di Alessandria, però, l’arciduca lo nobilita al suo servizio confermandone i titoli.
Colmenero, continuando a declamare da tenore, profitta della litigiosità vigente per rafforzare se stesso e per blindarsi, sarà poi investito di un titolo di contea dello SRI e della più alta dignità dell’esercito imperiale, quella di Feldmarschall, equivalente a quella di capitano generale degli eserciti spagnoli. Finirà al creatore a Milano nel 1719.
Un dato è certo: i valenzani hanno considerato Colmenero un grande. Un grande uomo o un grande briccone inciampato maldestramente, avvinto dallo strafare e dall’ingratitudine e sepolto presto dalla storia, che fece poco per piacere a lungo ai valenzani.
Se durante il periodo della dominazione spagnola i confini del dominio milanese non hanno subito variazioni rilevanti, in seguito alla guerra di successione spagnola (1701-1715) lo stato subirà consistenti smembramenti territoriali a favore del Piemonte sabaudo. Lo Stato di Milano sarà costretto a cedere le città di Valenza e di Alessandria ai domini sabaudi e il passaggio sarà traumatico perché legami e vocazioni del passato saranno troncati irreversibilmente.
In questo tempo di servi e parrucconi, a Valenza, alla fine del Seicento, si fatica a comprendere la nuova situazione densa di turbolenze, si aggravano le condizioni di vita e aumenta il malcontento, pur se il popolo è costretto ad accettare il fatto compiuto come ubbidiente vassallo cercando di vivere e sopravvivere.
Al centro ci sono circa 2.000 abitanti, sfruttati e vessati tra cui tanti reduci, molte cascine con circa 500 abitanti e i piccoli borghi di Monte e Lazzarone con circa 600 abitanti. C’è il castello-rocca, che ormai non serve a nulla, diverso dalla costruzione medioevale residenza dei feudatari demolita verso il 1557 e adesso una cittadella militare generalmente non abbastanza eroica, con le fortificazioni interne ed esterne rovinate e migliorate più volte e un numeroso presidio di soldati frastornati, destinati a vivere poco, e la grande piazza, oggi piazza XXXI Martiri. Ci sono un podestà comunale (sulle soglie dell’irrilevanza), 2 notai, 4 medici salariati, 2 fanti comunali (Polizia urbana), un prevosto, 8 canonici, un curato, 20 cappellani, 3 conventi di frati e 2 di monache. Quasi più religiosi che anime da salvare! Il sacro viene infilato dappertutto, in crisi politiche, economiche, esistenziali, erotiche o sataniche. La parrocchia è la dimensione della vita, che viene scandita dal suono delle campane, dalle orazioni, dalle processioni e dai pellegrinaggi in cerca di miracoli.
In verità, in questi conflitti troviamo inquietanti analogie con l’oggi: si fa sempre troppo presto a fare la guerra a casa e con la vita, degli altri. Anche se i suonatori cambiano, la musica è sempre la stessa, altro che indegnità.