Chiesa e confraternita di San Bernardino a Valenza
Un'importante istituzione cittadina
VALENZA – La chiesa di San Bernardino è una delle più antiche di Valenza. È un piccolo edificio di una confraternita ubicato nella zona vecchia della città, in fondo a via Cavallotti, angolo via Santa Lucia, già via Provinciale, che nel lontano passato divideva la sorte Astiliano dalla sorte Monasso.
Le confraternite erano associazioni di fedeli create per l’esercizio di opere di pietà e misericordia. A Valenza, alla fine del Medioevo, a cominciare dal Cinquecento, erano presenti diverse di queste compagnie laiche che praticavano la carità, con la fondazione di ricoveri e chiese. A capo delle singole confraternite veniva generalmente eletto il più anziano, con la carica di rettore. Un documento del 1552, il testamento di Gerardo Bontempo, detto Fignazoni, enumera le otto confraternite esistenti a Valenza: S. Bernardino, S.Maria, S. Bartolomeo, S.Giacomo, Misericordia, S.Giovanni, S.Rocco e S.Gerardo.
Una delle più antiche, con una forte impronta sociale e popolare, è quella di San Bernardino, che farà capo alla relativa chiesa. Sembra che nei primi anni del Cinquecento questa congrega fosse già in vita, probabilmente derivata dai disciplinati penitenti, e che la sua piccola chiesa, nata per volontà e sostegno della provvidenziale famiglia Mario – si parla anche della famiglia Marchi o de Marchi – all’epoca residente nella casa Facelli, collocata nella zona delimitata da via Goito e via De Amicis, fosse posta in sorte Astigliano o Astiliano, ma è difficile definire esattamente il punto in cui era posto questo primo piccolo edificio religioso.
Dopo il saccheggio dei francesi del 1557, durante il quale tutte le chiese furono devastate per raccogliere legna da ardere e furono smantellati anche i tetti, i confratelli procedettero alla vendita di questa ormai angusta chiesetta (anno 1587) e ne costruirono una nuova più avvenente, sempre al confine della sorte Astigliano, che corrisponde all’attuale; la chiesa diventerà ancora più autorevole e capiente dopo l’ampliamento che sarà fatto a metà del Settecento.
In questo periodo, si ha il consolidarsi delle confraternite e della loro funzione sociale; esse dispongono di rilevanti patrimoni: ricevono beni, terreni, promuovono questue e provvedono a messe remunerate in suffragio di defunti. Hanno una particolare divisa che fa spicco nelle processioni e celebrazioni pubbliche. Per loro ci si salva solo con la fede e con le opere, mentre per il popolo le frontiere del sacro si confondono e si allontanano: in molti sta svanendo anche il paradiso come scopo della vita.
Nel Seicento, la confraternita di San Bernardino è fortemente sostenuta dalla famiglia Camasio e i suoi confratelli, che nelle cerimonie vestono in bianco con ostentazione, sono quasi un centinaio. Fin dai primi tempi, l’oratorio di questa confraternita è un posto di sosta in preghiera (un intruglio di religiosità, carità e mercato) non solo per i viandanti e i pellegrini, ma anche per i pescatori e i mercanti che percorrono questa strada, ora via Cavallotti, allo scopo di recarsi al traghetto sul Po e per i molti che trasportano granaglie verso i mulini sul fiume.
Nel Settecento, in contrasto con la nuova mentalità liberale e con una certa disapprovazione sociale interna, la confraternita è pervasa da uno sfrenato senso religioso che si manifesta attraverso una sempre più esplicita dipendenza in tutto dal prevosto di Valenza, quindi una subordinazione alla parrocchia che ne governa i desideri e ne detta le mosse. Siamo in una società che vuole il bene e produce il male, che imputa agli altri.
Il 24 marzo 1771, la compagnia si ascrive all’Arci-confraternita del Sudario di Roma e alla Compagnia della B.V. della Divina Grazia e della Misericordia. Sembre che qualche anno prima si sia anche aggregata ai disciplinati di S. Carlo. Ormai da tempo si vanno formando le arciconfraternite, cioè congregazioni che fanno parte di una rete generale, che adempie più opere e più obblighi, soggetti che generalmente non vacillano mai nella loro superiorità morale e religiosa a prescindere, mentre spesso la chiesa, conservatrice e incerta, sta solo a guardare.
Nell’età napoleonica, purtroppo, anche qui si vivono anni di enorme tensione e di tempo perso: nel 1811, il governo francese sopprime tutte le confraternite e ne confisca il patrimonio. Come accade alle altre istituzioni devote, anche la nostra non naviga in buone acque: diversi beni sono assegnati alla fabbriceria parrocchiale, che non dà fastidio a nessuno, e il rimasto subisce le ristrettezze e gli aggravi ingiunti in questo frangente storico, ma, nel periodo successivo di reazione, dopo il 1820,, le confraternite riprendono la loro attività e le contribuzioni dei membri valenzani più facoltosi rendono ben presto opulenta questa congregazione, dalla metà del Seicento possidente anche di terreni e di beni immobili.
La legge Crispi del 1890 mette nuovamente sottosopra queste benemerite organizzazioni: alle confraternite aventi scopi di culto vengono confiscati tutti i beni che creano patrimonio, lasciando a loro solo oratori e chiese. Poi, nel corso del secolo scorso, deformato dal pregiudizio e dall’inerzia, tutto lentamente si scolora, scompaiono molte confraternite, che cascano come vecchi frutti di un albero ormai consunto. Sparite nell’indifferenza generale, ma non tutte.
Nel 1936, nella chiesa viene sostituita la campana, padrini dell’intervento sono Pietro Raiteri e Erminia Pozzi. Ma bisogna essere pragmatici e guardare in faccia alla realtà, così, durante la Resistenza, la chiesa di San Bernardino diventa anche un rifugio abbastanza protetto e pronto all’uso per alcuni partigiani non troppo credenti, sfidando i consolidati luoghi comuni.
Nel corso del tempo, quest’edificio sacro ha subito diversi cambiamenti e attualmente si presenta, per fortuna, in un buono stato di conservazione. La facciata resta molto sobria, con un portone centrale sovrastato da una finestra ad arco. All’interno, è custodito un pregiato organo, creato da Paolo Mentasti nel 1894 per sostituire quello precedente ormai rovinato dall’usura riutilizzando pezzi di un già esistente strumento del Settecento, posto nella cantoria dell’abside. Si tratta di una collocazione alquanto strana, poiché le cantorie erano generalmente situate alle pareti presbiterali e, a partire dal XVI secolo, con l’ampliamento degli organi e lo sviluppo della musica sacra, alla la parete anteriore, al di sopra della porta principale d’ingresso. A San Bernardino, per motivi di spazio, si scelse la posizione absidale frontale, una scelta felice che ancora oggi rende l’organo idoneo a un utilizzo concertistico. Questo pregevole strumento musicale, assieme a quello del Duomo di Valenza, il celebre Serassi, a quello della Chiesa della SS. Annunziata, datato al XVIII secolo, e a quello ottocentesco della SS. Trinità, rappresenta un importante patrimonio artistico della città. L’organo, per il quale Mentasti chiese il compenso di 800 lire, funziona ancora discretamente; era stato garantito per cinque anni, ma è evidente che il lavoro sia stato eseguito in modo eccellente, anche se sarebbe ormai opportuno un restauro.
L’architettura è semplice, ad aula unica, con un’abside semicircolare. La chiesa, che nei secoli passati ha subito lavori di ampliamento e di abbellimento, versava in tristi condizioni fino a qualche anno fa, ma, grazie all’intervento della confraternita, ultimamente si sono effettuati una serie notevole di restauri.
Sono stati eseguiti lavori di risanamento della muratura, della sacrestia e delle volte; sono stati rifatti la pavimentazione, l’impianto di riscaldamento e d’illuminazione; si sono tinteggiate le pareti e la volta a due colori, pittura ravvisabile anche nella facciata tinta in modo bizzarro di giallo; si è collocata una zoccolatura in marmo per tutto il perimetro della navata; si sono aperte due nicchie per il ricovero delle statue dei SS. Bernardino ed Eligio e si sono verniciate e riparate le parti lignee del coro.
Nel giugno del 2015, con l’approvazione della Soprintendenza delle Belle Arti regionale, del Comune e del vescovo di Alessandria, si sono svolti, nell’arco di un paio di mesi, i restauri della facciata principale e laterale. Altri interventi sono stati la sistemazione del cortile interno, la sostituzione dei vetri con vetri cattedrale, il rifacimento del portoncino d’ingresso e l’allacciamento all’acquedotto e alla rete fognaria.
Sono da segnalare alcune opere d’arte conservate nella chiesa, come una tela raffigurante la Madonna che consegna un pianeta a una figura inginocchiata, forse un santo, donata nel 1958 da un certo Ottavio Aceto, che ne aveva curato anche il restauro. La tela, in parte rovinata, era originariamente posta in chiesa, al lato destro rispetto all’ingresso, mentre ora è ricoverata in sacrestia, dove si può anche vedere una interessante bolla di autentica delle reliquie di S. Bernardino datata 4 febbraio 1764.
Per le confraternite, ora come in passato, il momento di più grande interesse è quello della processione, organizzata per la festa del proprio santo. Negli ultimi tempi, quella di San Bernardino e Sant’Eligio, che, come abbiamo narrato, affonda le sue radici in un passato glorioso contrassegnato da sentimenti di carità e di amore verso il prossimo, è quasi ritornata a nuova vita. In un periodo carente di riferimenti morali e con una pedante scristianizzazione in agguato, sono state recuperate le festività dei due accresciuti santi, promuovendo dimostrazioni pubbliche, quale il concorso annuale di Sant’Eligio, patrono di orafi e argentieri. Ce la potranno fare i nostri valorosi a essere fedeli a un certo passato e a mantenere in vita questa piccola perla? Ai posteri l’ardua sentenza.
Pochi valenzani ricordano che, appena alcuni metri più avanti di questa chiesa, c’è una palla di cannone seicentesca murata in un angolo: è il Cantò d’la bala ad fer, ovvero l’angolo della palla di ferro, che ci ricorda la palla di cannone sparata dai francesi durante l’assedio del 1635, che si fermò un poco prima della chiesa; forse il francescano, teologo e predicatore, Bernardino degli Albizzeschi, proclamato santo nel 1450, ne sa qualcosa, ma soprattutto per quel vecchio adagio che dice “scherza coi fanti, ma lascia stare i santi”.