“Smile 2”: l’evoluzione del terrore
Dopo "Smile", l'horror che ha più incassato al botteghino nel 2022, il regista americano Parker Finn torna in sala con un sequel sorprendente e ipnotico
Parker Finn – esordiente di successo nel 2020 con il cortometraggio “Laura Hasn’t Slept”, sul quale ha, poi, basato il suo primo lungometraggio horror, “Smile” – torna a far parlare di sé con “Smile 2”, pellicola divenuta di culto a pochi giorni dalla sua diffusione.
Il plot, ruotante intorno agli strani e terribili avvenimenti che avviluppano una famosissima popstar – Skye Riley, già tormentata dalla sua enorme popolarità e preda della dipendenza da alcol e droghe – in una spirale in cui il confine tra la realtà e l’immaginazione si fa sempre più labile – esplora con efficacia il lato oscuro della fama, con esiti sorprendenti.
La luce scura delle stelle
Spiega Finn, in una recente intervista a “GQ Italia”: «Il film è stato un’esplorazione della caduta di una pop star che non è in grado di superare ciò che le è stato imposto. Ciò che amo del finale di “Smile 2” è che ho voluto creare un momento di meta-sensazione, in cui il pubblico dello stadio guarda attraverso lo schermo il pubblico del cinema. Quello che è successo a Skye ci vede responsabili? Perché trovo intrigante l’idea che siamo complici di tutto l’accaduto».
La storia si avvia proprio a partire dalla nevrosi esistenziale che avvolge Skye, star newyorkese della musica pop dominata da una madre-manager, dalle incombenze del successo, oltre che dal ricordo tormentoso della morte del fidanzato, avvenuta nel corso di un incidente stradale con annessa lite tra i due.
L’incubo inizia quando la ragazza assite alla sconvolgente morte del suo spacciatore di fiducia, Lewis, che si uccide mentre sfoggia un sorriso abnorme e grottesco. Da questo punto narrativo in poi prende corpo una tragedia a metà strada fra l’orrorifico e il grottesco.
Un sorriso che non lascia scampo
Ovviamente, c’entra in quanto narrato un’antica maledizione, già all’opera nel precedente “Smile”, e un demone molto poco rassicurante, mutaforme, feroce: ma al di sotto della struttura di genere è palese come Finn voglia approfondire il tema, attualissimo, della visibilità e della fama, declinati soprattutto sui social media, e del comunicare tramite questi mezzi (vedi le numerose svolte narrative del film che scorrono all’interno delle chat di messaggistica che ormai siamo avvezzi usare con una certa faciloneria), che conduce nella società mediatica a storture e drammatici quanto incontrollabili paradossi.
Il sorriso diabolico, artefatto, raggelante che letteralmente uccide, conducendo alla follia omicida chi lo sfoggia, non è che l’apparato esteriore di una quotidianità da nuovo millennio che non lascia più spazio alcuno a manifestazioni di sofferenza, di incertezza, di crisi.
Anestetizzare il dolore
Stordirsi, sorridere meccanicamente, sfoggiare una finta felicità, una studiata sicurezza: è ciò che tenta di fare la protagonista Skye Riley, tra sounds da palcoscenico, effetti scenici magniloquenti, coazioni a ripetere rassicuranti, mirate pasticche di analgesico: ma demoni, maledizioni, allucinazioni e fantasmi (i quali potrebbero anche essere solo il frutto del suo inconscio malato) tornano con maniacale insistenza, a ricordarle che non è possibile evitare la resa dei conti con la vita e il suo portato di sofferenza.
Naomi Scott – la Jasmine del live-action “Aladdin” di Guy Ritchie (2019) e una delle Charlie’s Angels nel reboot dell’omonima serie cult, diretto nello stesso 2019 da Elisabeth Banks – supporta molto bene con le espressioni trasfigurate del suo volto la nevrastenia e la cupa atmosfera della vicenda, adiuvata da una m.d.p. che la segue ossessivamente da vicino, accarezzandola come la mano di uno stalker; mentre lo stile di regia è serrato, incisivo, teso ma non scontato, con l’obiettivo di chiudere i personaggi (Riley nello specifico) e, in definitiva, noi spettatori, dentro un labirinto, un nero imbuto di vertiginoso spavento esaltato da primissimi piani e jump scare di alta resa spettacolare. Nonostante qualche momento di confusione, di sovraccarico di motivi e di incertezza narrativa, abbiamo – insomma – la sensazione di trovarci di fronte perlomeno a uno tra gli horror più originali dell’anno. L’evoluzione del terrore.