Mafia e indifferenza: il coraggio di dire «No»
Nella Giornata della Memoria e dell'Impegno, Max Biglia analizza il ruolo della società nel fenomeno mafioso e l'importanza di una resistenza concreta.
Oggi, 21 marzo, è la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie.
Per l’occasione ospitiamo la riflessione di Max Biglia.
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La premessa è quella di non generalizzare ma di mettere in fila una manciata di parole definite e libere. Un pensiero capace di suscitare rabbia, frustrazione, consapevolezza, fiducia, disprezzo e stima. Stima per chi fa, per chi non ha paura, per chi si impegna senza approfittarne, per chi ha una visione oltre e, per chi privilegia i fatti alle interpretazioni.
Negli anni, in questi ultimi anni, mesi e settimane, ho compreso che la Mafia siamo noi. Il devoto frustrato, il combattente eroe, il cronista saccheggiatore, l’Altissimo immortale denaro, i parenti d’Italia e l’arte della propaganda, del cattivo governo dove non vi è né destra, né sinistra, neppure malinconici comunisti o tronfi fascisti ma Noialtri, un popolo disordinato e impreparato, assoggettato da opinioni veicolate attraverso social, mass-media e volgari fanatici che generano distrazioni, prepotenze, distorsioni e contorsioni di quella che dovrebbe essere la storia, la realtà, la logica. Una società connivente e troppo spesso ignara. Ignara di cultura, bellezza e buon gusto, educazione e di quel “cosa potremmo o dovremmo fare Noi”, per non diventare complici di dinamiche subdole e tormentate. La Mafia non è più solo quella dei picciotti disperati e dei “boss” incolti, la Mafia è la quotidianità che lusinga, promette, comunica, pianifica, una rete di compromessi, persone, professionisti, piccoli politici, funzionari e burocrati che consente a questo tipo di teppa di sopravvivere e prosperare. Una Mafia profondamente radicata nella nostra società ma vissuta come un fatto a sé stante, dove il grande alleato è l’indifferenza.
In questo modo e proprio in questo giorno, esiste un’antimafia attendibile, onesta, impegnata in scelte che talvolta allontanano, isolano e spaventano. Ma esiste altresì un’antimafia sostanzialmente innocua che vive di narrazioni epiche, commemorazioni, fiaccolate, ma spesso corrotta dalle stesse dinamiche che dovrebbe sconfiggere. Qualcosa che piace ma che non serve a niente e che concretamente, non agisce sul territorio, nel quotidiano, per togliere potere ad un sistema alterato a beneficio di pochi. Quel che conta, conta davvero è cosa succede “dopo”.
Chi ha combattuto e combatte il sistema mafioso sono donne e uomini, cittadini modelli di umanità e civiltà che hanno avuto e hanno la forza di dire “No”, di opporsi al compromesso ingannatore, vile, pagando a caro prezzo queste scelte che hanno ostacolato e ostacolano altre alternative, ostacolano la vita. Nessun eroe, dunque, ma donne e uomini capaci di sentire una forte responsabilità per fare la nostra parte, perché essere “eroi” è davvero un fatto eccezionale ma ci allontana da quella dimensione umana e quotidiana che non è più la norma. Io considero e spero che si possa e debba ritornare ad un “Plurale” cosciente, attivo e uscire dalle nostre comodità e riluttività per fare “quel po’ di più che oggi manca”. Persone che non si accontentano ma credono in una possibilità di riscatto.
Don Puglisi, nel quartiere Brancaccio di Palermo, lavorava per la sua gente, e non si limitava alle omelie ma cercava risposte ai problemi della popolazione sottraendo potere ai “clan” di ogni genere, anche quelli in giacca e cravatta che, si sa, attecchiscono meglio quando proliferano menzogne, promesse, soldi facili e mancano opportunità o alternative. Combattere atteggiamenti mafiosi, sotterfugi, iniquità, un sistema delinquenziale, le parole, la Mafia appunto, non è semplice. Farlo da soli, spesso, è inattuabile.
Provo a guardarmi dentro, nel mio vestito fatto di piccole cose, con quel mio passo incerto e, senza il bisogno di fingere, dov’è rimasto l’orgoglio da sputare, la mia libertà non barattabile, l’arte e la forza di dire “No”. No alla brutalità di una certa politica, No alla follia delle ingiustizie economiche e sociali che ci circondano, No a questa deriva che ha la forma del disinteresse, della superficialità, dove gli scaltri sì, bestemmiano le parole. No all’idea che si possano accettare come ordinarie le guerre, i crimini, la povertà, le disuguaglianze, la prepotenza. C’è bisogno di tornare a pronunciare quella breve ma precisa parola. E invece troppo spesso ne siamo incapaci di fronte a piccole grandi paure, piccoli o grandi interessi individuali, così germoglia l’acquiescenza di tante persone per bene, prigioniere del fatalismo, dichiaratamente scettiche in ordine all’inutilità della protesta, della comprensione, intanto che, un’altra volta, gli elefanti mi sbattono addosso. Io immobile, li osservo prudente come se servisse. Loro alzano terra e polvere, non riesco a vedere a più di un palmo dal mio naso, ma da qui, dovrei farcela perché questo groviglio è lo stesso del sogno. Da qui, da questo povero tempo nostro, loro alzano terra e polvere, banalità, ipocrisie, becere prese in giro, paure, conflitti, che io voglio limitare, attraverso la forza della parola, come mezzo per riflettere e andare oltre il presente e costruire un attuale davvero credibile, per una nuova epifania di sensatezza, doveri e gioie da condividere.
In questo mio prima che sia dopo, concludo con un auspicio per ognuno, di andare, cioè, all’altro mondo, beninteso, questa è l’unica certezza che abbiamo ma che oggi, non vuol dire spegnersi, perire, morire ma passare a un modo e un mondo decisamente diverso da questo, un mondo possibile.
Ambizioso? Sì.