Federica Iandolo al Sobrero parla del ruolo femminile nelle mafie
L’autrice di “Madrine di ’ndrangheta” ospite del presidio Libera per un incontro con studenti e istituzioni
CASALE – «Le donne di mafia non sono un universo a parte»: con questo titolo si è tenuto lunedì 5 maggio presso l’Aula Magna dell’Istituto Ascanio Sobrero l’incontro promosso dal Presidio Studentesco di Libera “Roberto Mancini”. Un appuntamento pensato per educare alla legalità, far maturare coscienza civile, rafforzare la partecipazione democratica e sradicare i pregiudizi di genere nella criminalità organizzata.
Presenti all’incontro gli assessori comunali Irene Caruso e Annalisa Rizzo, che hanno portato i saluti istituzionali sottolineando l’importanza formativa di queste iniziative.
“Madrine di ’ndrangheta”: il dialogo con gli studenti
Protagonista dell’incontro è stata Federica Iandolo, scrittrice e ricercatrice indipendente, autrice del volume Madrine di ’ndrangheta. A dialogare con lei la studentessa Melissa Pozzi, referente del presidio Libera, studentessa di Filologia Moderna e autrice della tesi di laurea “Il sangue non si lava con il sangue. Lea Garofalo e il potere della parole”, basata su “La scelta di Lea” (Marika Demaria) e “Madrine di ‘Ndrangheta” (Federica Iandolo).
Nel corso dell’evento, Federica Iandolo al Sobrero ha guidato gli studenti in un’analisi lucida e documentata dell’emancipazione femminile nella ’ndrangheta. Oggi le donne – soprattutto se fuori dai territori d’origine o non legate da vincoli familiari – ricoprono ruoli sempre più attivi nell’organizzazione criminale.
Storie esemplari tra condanne e repressione
Tra i casi analizzati, il processo Aemilia, che ha coinvolto oltre 200 imputati, tra cui una ventina di figure femminili. Tra queste Karima Baachaoui, oggi unica latitante: secondo l’accusa, svolgeva attività diretta nelle operazioni illecite, redigendo false fatture e intestandosi quote societarie.
Altro caso discusso è quello di Caterina Giancotti, boss arrestata nel 2021 a Rho. La sua incarcerazione ha provocato contrasti interni al clan, che inizialmente si era rifiutato di pagarle le spese legali, accettate solo dopo l’intervento degli anziani.
Dal ruolo di complici al rischio della testimonianza
Ma l’analisi di Federica Iandolo al Sobrero ha anche mostrato la drammatica repressione verso le donne che decidono di uscire dal contesto mafioso. Emblematico è il caso di Maria Concetta Cacciola, testimone di giustizia morta in seguito all’ingestione di acido muriatico, segno di un destino che i clan riservano a chi viene ritenuta una traditrice.
“Una terra di mezzo” giuridica
Secondo l’autrice e i più recenti report dell’OCSE, il non riconoscere la complessità dei ruoli femminili nelle mafie ha finito col deresponsabilizzare le donne colpevoli, condannandole solo per favoreggiamento. Si crea così una terra di mezzo giuridica, che contribuisce a ridimensionare il loro ruolo reale nell’organizzazione criminale.