Industria delle armi italiana: tra eccellenza e dipendenza
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Itineraria A.I.  
1 Settembre 2025
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Industria delle armi italiana: tra eccellenza e dipendenza

Leonardo, Fincantieri e l’export in ascesa trainano l’industria bellica nazionale, ma la dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti ne limita l’autonomia strategica

L’Italia è un attore rilevante nella difesa europea e mediterranea, ma affronta sfide complesse nel campo tecnologico. Negli ultimi anni il budget per la difesa si è aggirato attorno ai 25 miliardi di euro, con un picco nel 2022, all’inizio della guerra russo-ucraina.

La NATO richiede ai membri il 2% del PIL: l’Italia non ha mai raggiunto tale soglia, attestandosi all’1,57%, con l’impegno di arrivare al 2% entro il 2028. L’industria nazionale, pur avanzata e capace di attrarre interesse internazionale, non è del tutto autosufficiente e resta dipendente da forniture estere. Per diventare una forza rilevante, l’Italia deve costruirsi un’identità chiara e coerente.

Eccellenza centrale è Leonardo S.p.A., ex Finmeccanica, che nel 2024 ha registrato ricavi per 17,8 miliardi. Opera in cinque settori: elicotteri (NH90, AW101), elettronica per difesa e sicurezza, cyber solutions, velivoli (oltre 1200 in gestione) e spazio, settore in cui è partner di Thales Alenia Space, responsabile di oltre metà della Stazione Spaziale Internazionale. Tuttavia il mercato spaziale, dominato dagli USA, resta difficile, e sistemi come il SAMP/T faticano a competere con i Patriot americani. Leonardo è controllata al 30% dallo Stato; anche Fincantieri, partecipata per oltre il 70%, contribuisce con fregate e portaerei.

Il 6 marzo 2025 Leonardo ha firmato un accordo con la turca Baykar, nota per i droni Bayraktar TB2, avviando una joint venture per UAS. Baykar ha anche acquisito Piaggio Aerospace a fine 2024, con l’approvazione del governo italiano. La Turchia mostra così un chiaro interesse strategico verso l’industria bellica italiana. Oltre a Leonardo e Fincantieri, altre imprese contribuiscono: Beretta, la più antica azienda manifatturiera di armi al mondo, e Iveco Defence Vehicles, produttrice del carro Ariete (200 esemplari in dotazione all’esercito).

Secondo lo SIPRI, l’Italia è il sesto esportatore mondiale di armi (5% del totale). Tra 2020 e 2024 l’export è cresciuto del 138% rispetto al quadriennio precedente, soprattutto verso il Medio Oriente (71%). Qatar, Kuwait ed Egitto da soli assorbono il 64% dell’export italiano. In Qatar l’Italia copre un quinto delle importazioni, in Kuwait il 29%, in Egitto il 27%. Altri mercati sono Polonia (3,5%), Norvegia (2,4%) e Turchia (24%, quota destinata a crescere con Leonardo-Baykar). Taiwan importa solo l’1,2% ma colloca comunque l’Italia al secondo posto dopo gli USA.

Parallelamente, l’Italia resta importatrice netta. Nel 2022 ha speso circa 1,2 miliardi di euro in armamenti, quasi interamente dagli USA, che forniscono il 94% delle importazioni italiane. Ciò evidenzia la dipendenza da Washington, soprattutto in missili e sistemi di sorveglianza. Inoltre, l’Europa mostra estrema frammentazione: 17 modelli di carri armati, 27 di artiglieria e 20 di caccia, a fronte di numeri molto inferiori negli USA. Questa eterogeneità riduce l’efficienza complessiva. In Italia le importazioni coprono elicotteri americani (Chinook, Apache), armi leggere europee e caccia Eurofighter con componenti britannici e tedeschi. L’acquisto degli F-35 dagli USA accentua la dipendenza tecnologica.

L’Italia presenta lacune in droni armati, comunicazioni satellitari e ciberdifesa. Secondo l’Istituto Affari Internazionali, dipende da tecnologie americane e israeliane; l’accordo con Baykar potrebbe rafforzare le capacità nazionali, in un mercato europeo in forte crescita. Anche in campo terrestre e aereo permangono limiti: solo parte dei carri Ariete è operativa, due squadroni utilizzano ancora i Tornado e diversi elicotteri dovranno essere sostituiti.

In sintesi, l’Italia dispone di un’industria solida e competitiva, ma resta vincolata a forniture estere (circa il 5% della spesa militare) e alla supremazia tecnologica USA. La frammentazione europea aumenta i costi e riduce l’efficacia. Tale dipendenza rappresenta una vulnerabilità strategica: senza politiche chiare sugli approvvigionamenti e l’export, l’Italia rischia di non valorizzare le proprie eccellenze e di restare subordinata, pur avendo un potenziale rilevante.

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Matteo-Andreoni-ItinerariaMatteo Andreoni: laureato in Ingegneria Energetica al Politecnico di Milano, collabora dal 2024 con Itineraria Online.

 

 

 

 

 

 

 

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